Sin dall’approvazione della nuova «Legge per la promozione dell’industria cinematografica cinese» (entrata definitivamente in vigore quasi cinque anni fa, nel marzo 2017), si è assistito ad una sistematica intensificazione dei processori censori che ha decretato la negazione del «sigillo del drago» (il visto necessario per la distribuzione ufficiale) a tutti i film ritenuti dannosi per l’immagine del paese, in quanto veicolanti contenuti ideologici in contrasto con quei «“valori corretti” finalizzati alla trasmissione dello spirito rivoluzionario» (come osservato anche nella nuova “Legge sulla sicurezza cinematografica” promulgata nel 2021). Da questo rinnovato contesto industriale ne sono derivate, negli ultimi anni, grandi difficoltà per produttori e filmmaker ad intercedere e dialogare agevolmente con gli invasivi meccanismi censori, decretanti vere e proprie odissee produttive anche (e soprattutto) per i cineasti più celebrati (pensiamo alle tribolate parabole degli ultimi film di Zhang Yimou e di Lou Ye, i cui One Second e Saturday Fiction hanno ottenuto il visto per la distribuzione in sala dopo ben 3 anni dalla prima richiesta di revisione). Tra i percorsi produttivi più incidentati, seppur con le dovute differenze, figura sicuramente Dead Pigs, il debutto di Cathy Yan, girato a Shanghai nel 2017, presentato al Sundance nel 2018 e distribuito, a livello internazionale, solamente nel 2021 grazie alla piattaforma Mubi.

Diversamente dagli esempi precedenti, e nonostante le delicate tematiche sociali affrontate dal film, Dead Pigs è stato favorevolmente accolto in Cina per l’approccio ironico, scanzonato e positivo con cui racconta le differenze, gli intrecci (e talvolta gli scontri) generazionali tra individui cresciuti in epoche temporali diverse. Il film, infatti, mettendo in scena una narrazione corale dall’ampio respiro, racconta la storia di due coppie di personaggi appartenenti a periodi storici differenti: Candy Wang (Vivian Wu) e Old Wang (Haoyu Yang), rispettivamente una proprietaria di un salone di bellezza e un allevatore di maiali, si iscrivono nella generazione di cinesi nati tra la “politica del grande balzo in avanti” e la “rivoluzione culturale” con prospettive, valori e visioni di vita decisamente diversi da quelli dei giovani Xia Xia (Meng Li) e Wang Zhen (Mason Lee), nati nell’epoca riformista di Deng Xiaoping e formatisi nella nuova Cina di Xi.

Se, Candy, di fatto, in virtù di un’eredità culturale per cui il radicamento alla terra, alla propria dimora simbolo dei legami famigliari, si configura quale valore umano imprescindibile e inalienabile, anche di fronte all’incipiente avanzare delle industrie capitalistiche (alle continue richieste di acquisto del terreno in cui sorge il suo domicilio da parte di un conglomerato edile, ella antepone uno strenuo diniego, nonostante il prospetto di una cospicua retribuzione), Xia Xia e Wang Zhen, di contro, non solo sono distanti dal luogo natale, nel rifiuto di un ancoraggio forte all’ambiente di provenienza, ma sembrano nel contempo dispersi, profondamente immersi in uno stato di sfasamento urbano (alla pari di quello esperito dai personaggi dei film di Edward Yang, come in A Confucian Confusion, 1994, e The Terrorizers, 1986, così come nel contemporaneo The Cloud in Her Room di Zheng Lu Xinyuan, 2020) nel quale inseguono, futilmente, valori non ancora definiti. E diversamente dai protagonisti adulti, che vivono drammi esistenziali egualmente (se non maggiormente) drammatici, essi non sembrano in grado di reagire alle difficoltà incontrate, in una situazione che «accentua il disagio dei giovani lavoratori che non vedono realizzarsi i loro diritti alla mobilità sociale e a un’occupazione dignitosa nonostante siano loro, nelle parole di Xi Jinping, i responsabili del minzu fuxing ((…) “ringiovanimento nazionale”) e destinatari dei benefici del socialismo con caratteristiche cinesi» (Giro 2021).

Se, dunque, i personaggi sia giovanili che adulti, nel momento in cui interagiscono nella loro precisa dimensione sociale/generazionale non sono in grado di superare, né tanto meno affrontare gli ostacoli che gli si parano davanti (stesso discorso vale anche per Old Wang, che preso dalla disperazione per la morte dei propri maiali, cerca di convincere la sorella Candy a cedere la casa di famiglia agli spietati acquirenti, chiedendo nel contempo al figlio squattrinato un prestito in denaro), ecco che Cathy Yan, acutamente, imposta una narrazione non più incentrata sulle “differenze intergenerazionali”, la cui conseguenza diretta sarebbe stata la separazione (e l’isolamento) dei quattro personaggi (e quindi l’impossibilità, per gli stessi, di portare a risoluzione i propri conflitti), bensì focalizzata sugli “intrecci tra generazioni”, in una commistione catartica di esperienze.

In Dead Pigs, infatti, è solo attraverso l’intersecazione delle varie linee narrative relative ai percorsi diegetici dei singoli personaggi, e conseguentemente, mediante la condivisione di visioni, valori, prospettive, disagi ed emozioni tra persone appartenenti a categorie anagrafico/culturali differenti, che i protagonisti hanno la possibilità di stabilire tra loro una connessione emotiva tale da superare le situazioni avverse, non più incluse in una dimensione di “singolarità”, ma in quella ancor più purificante (e culturalmente più affine al contesto sociale cinese) di “collettività”.

Ritornando, allora, al punto di partenza, è forse da rintracciare nella suddetta contrapposizione tra spirito individualista (che separa drammaticamente i percorsi dei personaggi, non consentendone una concreta elaborazione dei conflitti) e puro collettivismo (che conduce i protagonisti ad una catartica e positiva condivisione delle esperienze, con una netta prevalenza del secondo sul primo) il consenso favorevole mostrato dai censori cinesi a Dead Pigs, nonostante la centralità assunta nella narrazione da tematiche sociali concernenti i disagi esistenziali vissuti dai cittadini comuni nella Cina contemporanea. Un ulteriore spunto di riflessione, in merito, ci viene proposto anche dal particolare approccio estetico adottato dalla regista, che lungi dallo scadere nel registro del melodrammatico, restituisce alla storia (e all’immagine) un tono da commedia sofisticata, il cui epilogo musicale, in un’esplosione di suoni, colori e emozioni, si articola quale conseguenza diretta (e coerente) di una parabola narrativa esacerbante lo spirito collettivista di una intera nazione.

Riferimenti bibliografici
E. Gagliardi, Wenchan Ban – La nuova legge cinese sul cinema, in “China Files”, novembre 2016.
L. Giro, Lavoro straordinario con caratteristiche cinesi: il “996” riaccende lo scontro generazionale, in “China Files”, 20 maggio 2021.
L. Lamperti, La scure della censura cinese si abbatte sul cinema di Hong Kong, in “Gariwo”, 15 novembre 2021.

Dead Pigs (海上浮城). Regia: Cathy Yan; sceneggiatura: Cathy Yan; produzione: Clarissa Zhang, Jane Zheng; cinematografia: Federico Cesca; musiche: Andrew Orkin; interpreti: Vivian Wu, Haoyu Yang, Meng Li, Mason Lee; distribuzione: Mubi; origine: Cina, Stati Uniti d’America; durata: 121′.

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