A Palazzo Reale l’arte è in bilico tra mito e realtà e ricorda i maestri del Novecento.

Si è aperta il primo aprile Pastorale, la nuova mostra ospitata dal Palazzo Reale di Milano e dedicata al video artist Nico Vascellari, una retrospettiva che, in un tempo concentrato sul progresso tecnologico, sembra invertire la direzione dello sguardo e puntare in basso, a quel sottosuolo mitico e ancestrale dal quale emerge, a fatica, l’umano. La retrospettiva, curata da Sergio Risaliti, è interessante, innanzitutto, per il forte legame che stabilisce con il luogo scelto per accoglierla. La personale, infatti, organizzata nella storica Sala delle Cariatidi, prende spunto proprio dalla storia della stanza che, rasa al suolo dai bombardamenti di Milano del 1943 e poi ricostruita, rimanda ad una prospettiva di stratificazione di significati, concetti e piani d’espressione che è alla base del lavoro di Vascellari.

L’artista trevigiano torna a Milano dopo più di 15 anni senza perdere quella contaminazione underground che aveva caratterizzato la sua ultima performance nella città meneghina «I Hear A Shadow» del 2009 e propone Pastorale come proseguimento ideale di Melma – esposta al Forte Belvedere – e della performance Alessio, messa in scena nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, a Firenze, nel 2023. Pensata per muoversi tra piano personale e collettivo, l’artista sceglie per la retrospettiva opere note e inedite, nel tentativo di indagare il rapporto tra uomo e natura attraverso fenomeni ancestrali e rituali, passando per folklore e per le tradizioni popolari, in una danza di forme espressive che spazia dalla performance, alle installazioni, al video, al suono.

Per il nuovo appuntamento milanese, l’artista resta in bilico in quella che Il Giornale dell’Arte ha definito una “dialettica degli opposti” in cerca di ricomposizione, un tentativo di riconciliare spinte contrastanti quali Caos e Cosmo o Eros e Thanatos. In questa lotta all’armonizzazione – che, tuttavia, non ricerca mai il bello o l’armonico nella sua accezione estetica – Vascellari racconta un archivio, una stratificazione (appunto) di concetti che sono all’origine di quello studio psicoanalitico e antropologico che, dalla fine dell’era moderna ad oggi, ha forgiato una nuova concezione dell’umano e dei fenomeni sociali, influenzando profondamente l’espressione artistica, dall’arte figurativa, alla letteratura, al cinema.

Mito, mistero, sottosuolo, sono alcuni dei termini (e dei concetti) utilizzati da Vascellari per raccontare l’orizzonte che vuole rappresentare ed è probabilmente questa sapienza del sottosuolo ciò cui l’artista vuole dar voce coprendo il suolo dell’imponente Sala delle Cariatidi con un enorme campo seminato, quasi a rappresentare la terra nuda dopo la distruzione, ma comunque abitata dal seme della rinascita. Non solo. Nella stanza prende vita un mondo abitato da creature umane, animali e immaginarie che si muovono tra la vita e la morte, tra la resistenza alla minaccia della dissoluzione e la propensione speranzosa al futuro. È proprio questo che rappresentano i boop, una comunità di personaggi immaginari creati dall’artista per “accompagnare” le opere esposte e che dall’8 marzo sta “invadendo” Milano grazie ad una collaborazione con Urban Vision che li proietta in 8 maxi schermi disseminati per la città. Vascellari immagina queste figure come esistenze autonome, parallele all’esser-ci dell’umano, creature del sottosuolo che, nel loro emergere, portano con sé un messaggio di resistenza e di guida alla realtà circostante.

Quella della “resistenza” sembra essere una categoria fondamentale nella visione proposta dall’artista trevigiano: in un’epoca di guerre e disastri climatici, infatti, Vascellari interpreta un sentimento di angoscia che non riesce a prendere la forma della pace, ma che non rimane sterile nell’inattività della distruzione. Il titolo stesso della mostra rimanda ad una durezza del suolo che, tuttavia, porta con sé una forza proattiva, che si oppone all’annientamento.

A dominare la scena è, non a caso, una struttura metallica di forma cilindrica, apparentemente in forte contrasto estetico con le pareti della sala e con il suo nuovo terreno, eppure espressione, da sola, della tensione che Vascellari cerca di rappresentare. A intervalli regolari, infatti, un boato risuona tra gli spettatori, mentre un rigonfiamento del terreno genera, proprio attraverso il cilindro metallico, la fuoriuscita disordinata di particelle di materia (semi, frammenti florali) che si disperdono nell’ambiente per poi ricadere, inevitabilmente, a terra.
Siamo di fronte a quello che è, a tutti gli effetti (considerando anche l’elemento reiterativo), un rituale che, come la sapienza ancestrale e come tutte le altre forme d’espressione umana che si fondono con la natura circostante, sembra uscire, nella visione di Vascellari, dallo spazio del sacro e diventare quasi una forma di militanza, una lotta alla conservazione.

Le opere dell’artista – e Pastorale ne è ulteriore conferma – danno forma visiva, suono, consistenza all’incessante lotta tra forza e fragilità, al conflitto continuo dell’uomo con se stesso e con ciò che lo circonda, uno scontro che, nel Novecento, ha trovato la sua massima espressione scientifica nelle voci di studiosi quali Aby Warburg ed Ernesto de Martino. Ed è proprio a Warburg che potremmo far risalire una simile idea di resistenza, in particolare, al suo fondamentale lavoro sul rituale del Serpente nelle tribù indigene dei Pueblo, ma anche – con contorni meno definiti – al grande lavoro che fu l’Atlante Mnemosyne.

Il saggio – che lo studioso presentò alla clinica psichiatrica Bellevue di Kreuzlingen per dimostrare ai suoi medici l’opportunità di un suo reinserimento nella comunità civile e scientifica – nasce innanzitutto per l’esigenza personale dell’autore di resistere all’angoscia che ne attanagliava la mente ed è, quindi, il risultato tangibile di quella tensione tra forza e fragilità umana cui Vascellari vuole dare espressione artistica. Ma c’è di più. Al di là della fondamentale (e suggestiva) componente personale, Il rituale del serpente racconta la dominazione della potenza distruttrice che la natura ha sull’uomo e, allo stesso tempo, il continuo strabordare della natura rispetto ai tentativi umani e rituali di ricondurla ad uno spazio controllabile e conosciuto. In modo molto diverso, ma in un certo senso ancora più vicino all’idea di Vascellari, Mnemosyne raccoglie e cataloga, nell’accostamento delle immagini o di parti di immagini, una molteplicità di segni che costruiscono un archivio simbolico che racconta l’uomo nel suo esprimersi nel mondo, dal sacro, al rito, alla sessualità, all’arte.

L’arte di Nico Vascellari, così come le frontiere dell’arte figurativa e visuale che affrontano l’elemento ancestrale e simbolico all’insegna del riemergere di un sentimento sottostante e sopito, si inserisce (consapevolmente o meno) in un background filosofico-culturale che ha dato vita, nel secondo scorso, alle più alte espressioni di ricerca antropologica e psicoanalitica e che ha visto nell’immagine e nel suo utilizzo uno dei campi principali di indagine. L’artista, a Palazzo Reale, si cimenta nel difficile tentativo di dare forma all’informe per eccellenza in quella che è, di nuovo per eccellenza, l’epoca della dissoluzione della forma stessa.
Al pubblico, non resta che immergersi nella maestosità della Sala e farsi trascinare dalla forza della natura che vi irrompe ponendoci radici. 

Riferimenti bibliografici
A. Warburg, Il rituale del serpente. Una relazione di viaggio, Adelphi, Milano 1998.
Id., Mnemosyne. L’atlante della memoria, Aragno, Torino 2002.

Nico Vascellari. Pastorale, a cura di Sergio Risaliti, 01 aprile 2025 – 02 giugno 2025, Palazzo Reale, Milano.

* In copertina foto di Melania Dalle Grave DSL Studio.

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