L’editore Quodlibet ripubblica in un formato più grande Creatività di Emilio Garroni, saggio già uscito presso la stessa casa editrice nel 2010. È il segno di due fatti positivi: in primo luogo, che questo testo continua a essere attuale; in secondo luogo, che l’intuizione di recuperare alcune voci significative dell’Enciclopedia Einaudi, tra cui appunto Creatività, era giusta.
Come scrive l’autore nelle pagine iniziali del testo, la creatività è fenomeno difficile da mettere a fuoco. Non tutte le civiltà l’hanno riconosciuto così come facciamo noi; né è lecito confondere la creatività con nozioni analoghe, come la creazione in senso teologico. La creatività è forse, scrive Garroni, una «episteme» tipicamente moderna. Più precisamente è un tratto comune a diverse prestazioni, dal linguaggio all’invenzione di nuovi strumenti, dall’individuazione di strategie utili alla sopravvivenza della specie fino appunto all’arte. E non si tratta nemmeno di un tratto ristretto alla sola specie umana. Informato sulle ricerche all’epoca disponibili in campo biologico e paleontologico, in primis quelle di André Leroi-Gourhan, Garroni tiene diversamente conto anche della creatività degli animali non umani, innanzitutto dei primati a noi più prossimi. Ma Garroni arriverà anche a definire una differenza essenziale tra la creatività di homo sapiens e la creatività degli animali non umani.
Questo saggio pionieristico apre comunque la strada a quella che oggi verrebbe considerata una forma di “naturalizzazione” dell’estetico. Questa naturalizzazione evita però le ingenuità e i facili riduzionismi: lo mette in evidenza Paolo Virno nella sua bella introduzione al testo. Questa prospettiva gode tuttora di una certa fortuna: essa è stata ripresa e sviluppata negli ultimi anni da Pietro Montani, filosofo formatosi alla scuola di Garroni.
Per Leroi-Gourhan ciò che distingue il comportamento creativo di homo sapiens è il fatto di essere capace di produrre strumenti non solo per scopi immediati, ma anche allo scopo di produrre altri strumenti. Questa tesi assume in Garroni una portata filosofica più ampia. Il comportamento creativo umano denota la presenza di una «dominante metaoperativa»: una facoltà di distanziamento riflessivo dagli scopi immediati dell’agire, in vista di una riformulazione profonda delle prassi operative o anche del riconoscimento di nuovi scopi possibili dell’azione.
In altre parole, la creatività non si manifesta come un’attitudine – più o meno casuale ed episodica – a variare le regole dell’azione, bensì come la capacità a ripensare gli obiettivi e la configurazione della propria azione. Garroni riprende qui la distinzione che fa Noam Chomsky tra rule-governed creativity e rule-changing creativity. Ma ne rovescia l’ordine: se per Chomsky la rule-changing creativity è una pura ipotesi teorica, per Garroni è il fondamento della creatività umana, la quale si basa sulla capacità di sentire quale sia la regola più adatta da applicare al singolo caso. Garroni riprende le tesi che aveva sviluppato un anno prima in Ricognizione della semiotica (1977) con riferimento alle condizioni d’uso dei codici linguistici e semiotici e al problema del loro riferimento all’esperienza. Chomsky parte dalla rule-governed creativity per una ragione inerente alla sua teoria sull’origine del linguaggio, che per il linguista americano sarebbe generato da una grammatica innata alla mente umana.
A mio avviso Garroni non intende affrontare la questione dell’origine del linguaggio. Il suo obiettivo è piuttosto quello di mostrare la necessità di condizioni extra-linguistiche che garantiscano il riferimento del linguaggio al mondo. Si tratta appunto di condizioni estetiche: fondate sul sentire e sulla facoltà di giudicare il particolare senza ricondurlo subito a un universale già dato. Senza queste condizioni il linguaggio si avvolgerebbe in una spirale autoreferenziale; smetterebbe di intrecciarsi con la realtà facendone emergere i tratti salienti; perderebbe così, infine, la qualità di essere non solo uno strumento di comunicazione ma anche un formidabile strumento di conoscenza. Garroni non ha mai smesso di pensare tale questione, consegnando al suo ultimo libro, Immagine Linguaggio Figura (2005), gli esiti più avanzati della sua riflessione.
Tornando al testo qui esaminato, si comprende perché la Critica della facoltà di giudizio di Kant sia il referente principale del discorso garroniano sulla creatività. La capacità di stare nel mezzo della contingenza delle cose, presupponendo un possibile ordine delle loro connessioni, pur senza avere già un concetto basato su prove di tale ordine, è esattamente il principio che Kant pone a fondamento della facoltà riflettente di giudizio, distinta dalla facoltà determinante di giudizio, che applica alla realtà regole già stabilite. Ma per Kant è la facoltà riflettente di giudizio a meritare, in quanto è autonoma sia dalla ragione che dall’intelletto, una fondazione trascendentale. Lo spostamento dalla facoltà di giudizio alla creatività provoca comunque uno slittamento del quadro filosofico, forse più di quanto Garroni stesso non voglia ammettere. Kant pensa all’ordine della natura, quale si presenta quando intraprendiamo il compito di arrivare ad avere una conoscenza scientifica della realtà. Garroni tocca invece la questione delle strategie e dei modi di sopravvivenza adottati da homo sapiens nel corso della sua evoluzione. Siamo dunque di fronte a un discorso sulle forme di vita che la nostra specie ha elaborato nel corso della sua storia.
È una prospettiva che dialoga oggi con la recente svolta antropologica intrapresa da Alva Noë nell’ambito dell’enattivismo. Si tratta più in generale della questione, di grande momento nel dibattito filosofico e scientifico contemporaneo, dei limiti e dei paradossi del controllo che comporta una strategia adattativa altamente specializzata e tecnologizzata come quella adottata da homo sapiens: lo sottolinea Stefano Velotti, altro filosofo formatosi alla scuola di Garroni.
Ci si potrebbe chiedere che cosa ne sia dell’arte all’interno di un simile modo di considerare la creatività. All’arte Garroni dedica la parte finale del saggio, in un modo che fa eco alle questioni appena evocate. Se la creatività umana è in linea di principio «a dominante metaoperativa», allora, osserva l’autore, è possibile pensare l’arte come una pura esibizione di creatività, svincolata da qualsiasi finalizzazione immediata o differita. L’arte è un esercizio teso a familiarizzarsi con il carattere stabilmente «metaoperativo» del nostro comportamento. Di conseguenza, pur non avendo una destinazione pratica o conoscitiva determinata, l’arte potrebbe comunque avere un significato che oggi non esiteremmo a definire antropologico.
Una strategia adattativa che in via di principio può sempre rivedere le regole e le condizioni dell’adattamento implica una componente di ansia. Il nostro è un adattamento sempre in parte disadattante. L’arte non ci riconcilia con la perdita di unità che farebbe seguito a fenomeni quali il tramonto del mito o il disincanto del mondo, come vorrebbero invece i romantici. L’arte, piuttosto, ci porta a fare i conti con gli aspetti inquietanti, inafferrabili e tuttavia ineliminabili dei nostri modi di vivere secondo certi usi e certe regole, assumendo un certo punto di vista sul mondo e vedendo di fronte a noi determinati orizzonti.
A differenza di quanto potrebbe suggerire un pensiero troppo ottimista, l’arte non è garanzia di ‘connessione’ con il mondo. Può essere invece un’opportunità per riflessione sugli alterni momenti di connessione e disconnessione di homo sapiens dal suo mondo. È per questo che l’arte continua tutto sommato a essere un oggetto esemplare per una riflessione critica sulla realtà.
Riferimenti bibliografici
E. Garroni, Ricognizione della semiotica, Officina, Roma 1977.
Id., Immagine Linguaggio Figura, Laterza, Roma-Bari 2005.
P. Montani, Destini tecnologici dell’immaginazione, Mimesis, Milano 2022.
A. Noë, Strani strumenti. L’arte e la natura umana, Einaudi, Torino 2022.
S. Velotti, The Conundrum of Control, Brill, Leida 2024.
Emilio Garroni, Creatività, Quodlibet, Macerata 2024.