La consegna alle stampe di Colpa e tempo. Un esercizio di matematica esistenziale, pubblicato per la Piccola Biblioteca dell’editore Neri Pozza, ha coinciso con la chiusura del quasi cinquantennale percorso accademico di Eugenio Mazzarella. Il testo potrebbe essere letto come una sorta di prezioso dono lasciato da Mazzarella a tutti i suoi numerosi allievi, a coloro che in un modo o nell’altro lo hanno incrociato nel loro cammino universitario o di formazione, a quelli che hanno faticato studiando sulle pagine dei suoi volumi. Un dono che, non abbandonando mai lo spessore teoretico che attraversa da parte a parte le parole di Mazzarella, nonostante appaia nella forma di un saggio filosofico, può essere letto come una lunga e struggente poesia, in cui l’autore fa i conti con quella “mestizia del finito” di hegeliana memoria che intride altresì la poetica delle Elegie Duinesi di Rainer Maria Rilke.

E, d’altra parte, il tema in questione, o meglio, il mathema, in quanto ciò che «la vita conosce in anticipo di sé come contenuto concreto del suo orizzonte esistenziale» (Mazzarella 2022, p. 9), si presta benissimo a una lettura che è al contempo filosofica e poetica, ossia la colpa. Senza naturalmente dimenticare che tutta la questione della colpa potrebbe benissimo essere letta sotto la lente ermeneutica della religione. E l’opera qui in esame non si sottrae certo a questo compito; intense sono, infatti, le pagine dedicate da Mazzarella tanto all’analisi di Qohelet, in cui gli interrogativi sul bene e il male si intrecciano a quelli sulla finitezza, quanto a quelle di Genesi, in cui la questione della colpa si annoda in maniera inscindibile a quella della caduta e del “peccato”. Infine, di uguale se non maggiore intensità sono le analisi dedicate ad alcune opere d’arte (le cui immagini sono riportate nelle pagine finali del testo), in cui il tema della colpa sprigiona la propria rappresentazione plastica.

Diversi sono, dunque, i piani di lettura attraverso cui la colpa viene problematizza da Mazzarella nel suo breve e densissimo volume. E tuttavia a fare da sfondo e a riunificare le diverse concezioni del tema vi è una considerazione ontologicamente più pregnante, qualcosa di più profondo e radicale che precede ed eccede tutte le altre determinazioni a cui facevamo cenno in precedenza. Laddove nel titolo del volume colpa e tempo sono giustapposti l’una accanto all’altro su uno stesso piano di immanenza, inoltrandosi nel discorso di Mazzarella si comprende come sia il tempo ciò che costituisce il movente della colpa; detto in una battuta: la colpa è il tempo.

Il nostro essere nel mondo, il nostro venire al mondo, il nostro venire-al-tempo sono irrimediabilmente segnati dalla colpa. Ancor prima di essere un ente pensante, come riteneva Cartesio, il quale riconduceva l’essere originario dell’uomo al cogito, il punto zero del vivente uomo va individuato nel suo essere-in-colpa; «cioè a dire, l’esperienza della colpa è l’esperienza in cui l’uomo si affaccia a se stesso, e al suo stare al mondo. È l’esperienza fondativa di sé, fondativa del Sé» (ivi, p. 11). L’uomo è in quanto essere-colpevole. Una sorta di ontologico mito della caduta; un originario distacco da una natura primigenia nel cui grembo materno eravamo nudi e innocenti – sebbene non abbia alcun senso parlare di nudità e innocenza in quanto esse diventano intellegibili sono in maniera privativa rispetto al loro corrispettivo “positivo”.

Divenire uomo (Mensch) significa, dunque, tagliare (messen) il cordone ombelicale di questo rapporto biologico primigenio; significa decidersi (sich entscheiden) per qualcosa di altro rispetto a una «intimità edenica con (la) pura vita animale» (ivi, p. 33), significa individuarsi come spazio e come tempo, ovvero come singolarità. La fuoriuscita dell’uomo dalla natura rappresenta una forma di violenza nella violenza, di una Gewalt nel Walten originario di cui parlavano tanto Heidegger quanto Derrida, in cui l’uomo proclamatosi “signore dell’ente, occupando dunque un posto speciale tra tutti gli altri viventi, si fa carico di un debito e al contempo di una colpa – in tedesco Schuld indica tanto il debito quanto la colpa – inestinguibili.

Lungi dall’essere un peccato esclusivamente etico, il peccato originale per Mazzarella ha allora natura gnoseologica. Abbandonato il porto sicuro della physis, dove viveva in “dissonante consonanza ciò che lo circondava, sospeso in parte il rapporto con la propria naturalità e con la propria animalità, il vivente uomo è pronto a compiere il “grande passo esistenziale e divenire Dasein. Non un dato di fatto pre-stabilito, né una mera fattualità biologica; ma un compito progettuale a-venire. Un vero e proprio esercizio ascetico, nell’accezione data al termine da Sloterdijk e da Foucault, di continuo “perfezionamento esistenziale. A partire da queste considerazioni si comprende forse meglio il perché Mazzarella abbia potuto sottotitolare il proprio volumetto Un esercizio di matematica esistenziale.

La colpa è, dunque, legata alla lacerazione della propria vita animale, della propria integrità originaria. Il male è una diretta conseguenza di ciò. Ora, seguendo il ragionamento di Mazzarella, si tratterebbe di ripensare anche l’origine della filosofia e del pensiero in generale. Al thauma, allo stupore, alla meraviglia provati dagli antichi greci di fronte all’essente nel suo apparire e nel suo mostrarsi, bisognerebbe sempre affiancare il trauma del distacco, della scissione dall’originario e dall’elementale. È la  “fascinazione del sapere a spingere l’uomo ad andare oltre l’ambiente [Umwelt] che lo circonda, provando a diventare signore (Herrdell’essente. Qui risiede il punto di convergenza tra conoscenza, coscienza e colpa, ed è precisamente in questo momento che l’uomo si scopre colpevole in quanto tale. Un uomo che, nell’indiarsi, «sa come Dio, […] fa come Dio, ma egli non è come Dio e non lo diventerà» (ivi, p. 32). E nel rimando continuo «di volontà e coscienza, di autocostituirsi del Sé nel suo differenziarsi dal mondo (autocostituirsi che insieme istituisce il “mondo)» (ivi, p. 16), l’uomo scopre che la colpa è un bagaglio di cui egli stesso si è fatto carico ‘volontariamente’. Forse a questo allude Giorgio Caproni nella poesia Rivelazione: “Mi sono risolto/ Mi sono voltato indietro/ Ho scorto/ uno per uno negli occhi/ i miei assassini/ Hanno/ – tutti quanti – il mio volto”.

Così come la voce della coscienza richiama l’Esserci a se stesso, allo stesso modo il primo passo che l’uomo deve compiere nello spazio e nel tempo di un’ontologia della colpa consiste nel «decidersi per il suo essere-colpevole, mantenersi in esso, in un nesso retributivo ineludibile con la pena di vivere scoperta nell’angoscia» (ivi, p. 51). Ma non è tutto. Se, infatti, l’essere dell’uomo è intimamente caduta e colpa, comprendere l’uomo significa comprenderlo nella sua totalità e nella sua interezza, nel suo darsi come gioco gnostico di luci e ombre – non era, con i dovuti distinguo, forse questo il progetto sotteso a Essere e tempo che culminava nel riconoscere l’essere dell’Esserci nella Cura? Ma è anche la verità ultima a cui rimanda intimamente il cristianesimo; scrive, infatti, Mazzarella: «La verità del cristianesimo, certamente la sua verità antropologica, è che l’uomo pneumatico, l’uomo che può essere visitato dallo Spirito, o è tutto l’uomo, o non è» (ivi, p. 61).

La salvezza, se salvezza c’è, se soteriologia è ancora possibile, è, dunque, salvezza che si dà nel tempo e nel mondo, «il “vasto ospitaledel mondo “luogo ben più deplorabile che un cemeterio di Leopardi, che pure resta l’unico luogo, l’unico ricovero nel cosmo in cui possiamo ricevere assistenza, in cui Qualcuno o Qualcosa può adsistere al nostro exsistere, al mistero o enigma del “nostro” venir fuori a noi, a me che dico  “io”» (ivi, p. 60).

Riferimenti bibliografici
G. Caproni, Il franco cacciatore, Garzanti, Milano 1982.

Eugenio Mazzarella, Colpa e tempo. Un esercizio di matematica esistenziale, Neri Pozza, Vicenza 2022.

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