Qual è il prezzo delle bugie? Non che le confondiamo con la verità.
Il vero pericolo è che abbiamo ascoltato tante di quelle bugie da non riconoscere più la verità.
Cosa fare allora? Non resta che abbandonare anche solo l'idea della verità e accontentarci delle storie.
In queste storie non importa chi siano gli eroi.
Quello che vogliamo sapere è a chi dare la colpa.
(Chernobyl, incipit)
Come si intrecciano oggi fiction, verità storica e medialità? In che modo una serie televisiva, che affronta eventi storicamente traumatici, riesce a coniugare istanze apparentemente inconciliabili come finzione e documentazione? E soprattutto, quali strategie adotta non tanto per raccontare la verità, quanto per generare un effetto di realtà?
Il volume Chernobyl Calling. Narrative, Intermediality and Cultural Memory of a Docu-Fiction, curato da Nicola Dusi e Charo Lacalle, tenta di rispondere a queste domande attraverso un’indagine articolata e multidisciplinare, prendendo come caso studio la miniserie Chernobyl (HBO/Sky, 2019). Creata da Craig Mazin, la serie affronta il disastro nucleare, le sue conseguenze e il contesto politico e sociale del tempo, parlando nella sua trama del rapporto tra verità nascoste e menzogne istituzionalizzate – come già evidenziato da Giacomo Manzoli – ma, al contempo, essa adotta strategie narrative e discorsive che conferiscono alla serie, pur con numerosi elementi di finzione, l’aspetto di una rappresentazione oggettiva di fatti realmente accaduti. Il volume, concentrandosi su quest’ultimo aspetto, si propone non solo esclusivamente come analisi puntuale di un prodotto televisivo contemporaneo, ma anche come esempio di metodo per lo studio delle relazioni tra una pluralità interconnessa di media differenti e, più in generale, come riflessione sulle nuove forme di narrazione audiovisiva che reinterpretano e raccontano la realtà storica.
Il principale punto di forza del lavoro curato da Dusi e Lacalle è l’ampiezza dello sguardo analitico, che non si limita ai confini della miniserie. Chernobyl Calling difatti intende esplorare i molteplici punti di vista e i diversi livelli di significazione della serie Chernobyl, stabilendo dei confini analitici più ampi rispetto a quelli dati dai titoli di testa e di coda. Gli autori hanno infatti allargato lo sguardo verso gli elementi paratestuali (come materiali promozionali e contenuti di commento come i podcast ufficiali) e intertestuali (tutti quelle forme testuali legate all’immaginario e alla memoria della tragedia di Chernobyl).
In questo studio i diversi autori coinvolti includono nelle loro ricerche una vasta gamma di materiali come film, reportage giornalistici, documentari, immagini storiche, podcast e libri. Lo studio è quello di un “ecosistema mediale” che ben descrive il complesso ambiente in cui la miniserie di HBO si inserisce, un’idea che rimanda a una rete di relazioni e connessioni tra forme testuali diverse. Non si tratta solo di un’analisi di un prodotto isolato, ma di una riflessione sulla miriade di interazioni che lo legano ad altri contenuti, creando dinamiche di traduzione e rimediazione di senso. Gli studi raccolti nel volume mettono in evidenza come ogni singolo pezzo di questo ecosistema, che sia una produzione ufficiale come i trailer, gli episodi o i podcast, o una risposta del pubblico come video dei fan, remix o commenti, contribuisce a dare forma al racconto, arricchendolo e ampliandone i confini dell’esperienza di fruizione.
Diversi tra gli autori coinvolti costruiscono le loro riflessioni e studi nel confronto tra la serie e altre forme testuali. Dusi, nel suo saggio personale, ad esempio, esplora le relazioni tra la serie e i vari documenti visivi di archivio, analizzando come le fonti storiche vengano usate per ricostruire un effetto di realtà storica coinvolgendo lo spettatore in un processo critico di comparazione. Andrea Bernardelli, invece, confronta i personaggi della serie con quelli del film russo Chernobyl 1986, evidenziando le differenze nella rappresentazione e l’efficacia della serie HBO nel delineare figure complesse e ambigue.
Gli autori osservano come questa rete complessa di relazioni non presenti confini rigidi e si sviluppi su piani temporali diversi. Le connessioni, infatti, possono nascere già nella fase di ideazione della serie, proseguire durante la narrazione – con l’inserimento di elementi intertestuali come una vera chiamata registrata o fotografie d’archivio – e continuare anche dopo la messa in onda, ad esempio attraverso i podcast che confrontano immagini storiche e inquadrature della serie. Questa dinamicità riflette la natura fluida e articolata delle interazioni nei media contemporanei. Confini che coincidono con quelli di una lotmaniana semiosfera transmediale, dove i contenuti si spostano e si espandono su diverse piattaforme e vengono reinterpretati, tradotti e riadattati attraverso pratiche culturali e mediali.
L’obiettivo – pienamente raggiunto – di esplorare questo “ecosistema mediale” è quello di analizzare i cosiddetti effetti di realtà: tecniche narrative ed espressive impiegate, nel caso specifico dalla miniserie Chernobyl, ma più in generale da numerosi prodotti cinematografici e televisivi contemporanei, per conferire al racconto un senso di verosimiglianza e autenticità, anche quando esso è costruito su basi fittizie.
Nel volume, diversi contributi si concentrano sul tema della costruzione dell’effetto di realtà, analizzando le strategie adottate dalla miniserie per convincere lo spettatore della verosimiglianza del racconto, nonostante la presenza di elementi fittizi. Come è il caso, ad esempio, del personaggio di Ulana Khomyuk – figura composita e inventata – o della scena del processo, significativamente rielaborata rispetto ai fatti reali. La serie riesce tuttavia ad apparire credibile grazie a un uso sapiente e selettivo delle fonti storiche d’archivio. Come sottolineano diversi autori, queste fonti non sono impiegate esclusivamente per ricostruire la sequenza cronologica degli eventi, ma piuttosto per evocare un’atmosfera, fatta di scelte cromatiche, inquadrature e configurazioni spaziali. La ricostruzione ambientale non serve solo a generare un effetto di realtà sugli avvenimenti – anche quando questi non si sono verificati realmente – ma contribuisce a figurativizzare il pericolo invisibile delle radiazioni, rendendolo percepibile attraverso espedienti visivi.
Héctor J. Pérez, ad esempio, evidenzia come l’uso di tonalità smorzate, in particolare il grigio e il verde, contribuisca a creare una percezione spaziale di cupezza e oppressione. Paolo Braga, invece, mette in luce l’efficacia delle luci fluorescenti nel ricreare un’atmosfera malsana e insalubre, rafforzando la sensazione di disagio e contaminazione che pervade l’intera narrazione.
Questa ambiguità tra le istanze di finzione e di documentazione, tra l’intrattenimento e la vocazione del racconto della verità è messa bene in evidenza dal lavoro di Federico Montanari. Nel suo saggio, Chernobyl si configura come un filtro che costruisce una versione della verità storica, selezionando e omettendo aspetti significativi come il conflitto e la dimensione collettiva della catastrofe. Le strategie di veridizione – di creazione di quell’effetto di realtà sopracitato – pur volendo educare lo spettatore alla gravità degli eventi, escludono elementi cruciali, creando una narrazione che, sebbene potente, lascia deliberatamente in ombra alcune problematiche sociali e politiche. Questo approccio, pur dando un forte impatto visivo ed emotivo, solleva interrogativi critici sulla selezione della realtà e sulla responsabilità sociale della rappresentazione storica.
In conclusione, Chernobyl Calling dimostra come una miniserie possa andare oltre i confini del racconto televisivo, diventando il fulcro di un dibattito più ampio sulla memoria, la cultura e i modi non del tutto innocenti in cui ci raccontiamo la verità. Grazie alla varietà di approcci disciplinari, il volume curato da Dusi e Lacalle apre lo sguardo partendo da una miniserie per arrivare a rispondere ad alcune domande poste dalla società contemporanea. Domande che, riprendendo le parole di Legasov nelle prime battute della serie, appaiono più attuali che mai: “Qual è il costo della menzogna? […] Che altro resta se non abbandonare anche la speranza della verità e accontentarsi invece di storie?”
Chernobyl Calling. Narrative, Intermediality and Cultural Memory of a Docu-Fiction, a cura di Nicola Dusi e Charo Lacalle, Punctum Semiotics Monographs, Hellenic Semiotics Society, 2024.