Cominciando a ragionare su Nino Manfredi mi sono prima di tutto venuti in mente i nomi e i cognomi di molti suoi personaggi entrati nell’immaginario collettivo: sarebbe uno studio interessante quello dedicato alla onomastica e alla antroponimia del cinema italiano, proprio a partire dalle caratterizzazioni delle attrici e degli attori. Marino Balestrini, il barbiere marchigiano innamorato che cerca di eliminare il rivale in amore, Tognazzi sarto sordomuto (Straziami ma di baci saziami, Risi, 1968); Oreste Sabatini, divenuto stregone in Africa (Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?, Scola, 1968); il laido reuccio della baraccopoli Giacinto Mazzatella (Brutti, sporchi e cattivi, Scola, 1976); Armanduccio Girasole detto Dudù, a capo di una banda di delinquenti e poveracci (Operazione San Gennaro, Risi, 1966). Ma anche Omero Battifiori (Gli anni ruggenti, Zampa, 1962); Cornacchia/Pasquino, il “satirico misterioso” (Nell’anno del Signore, Magni, 1969); il commissario Quintilio Tartamella alle prese con le turpitudini della capitale (Roma bene, Lizzani, 1971); Michele Abbagnano, venditore abusivo di caffè sui treni notturni (Café Express, Loy, 1980); Marco Salviati, l’attore alcolizzato che gira lo spot in frac (Grandi magazzini, Castellano e Pipolo, 1986); Stefano Liberati, l’emigrato in Argentina poi miseramente fallito (Il gaucho, Risi, 1964). Nomi, cognomi, facce e corpi di Manfredi ma anche dell’Italia, grazie a una carriera lunga e molteplice.
Saturnino (detto Nino) Manfredi avrebbe compiuto cento anni il 22 marzo: l’anniversario dell’attore si unisce a quello di Sordi, festeggiato nel giugno 2020, e anticipa i centenari dei prossimi anni (nel marzo 2022 Tognazzi, nel settembre 2022 Gassman, nel settembre 2024 Mastroianni), a ricordare i volti maschili più rappresentativi del nostro cinema, paradossalmente ancora poco studiati. Manfredi viene sempre ritenuto una figura “differente” rispetto agli altri divi del nostro periodo aureo, un attore “a lato”, anche per la sua carriera eterogenea e il suo lavoro di interprete. Sono diversi gli elementi che si possono citare in relazione a questa sua “differenza” e lateralità, alle sue caratteristiche di attore. Noi isoliamo, in questo breve contributo a cento anni dalla sua nascita, alcune questioni, che ci sembrano utili e interessanti se rilette in prospettiva.
In primo luogo pensiamo all’eterogeneità della carriera di Nino Manfredi, che ha la particolarità di prendere strade inattese, assomigliando molto a quella di Sordi ma con caratteri propri e peculiari: Manfredi è doppiatore, attore di prosa (dopo essersi laureato e dopo aver frequentato l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica), regista, ma anche autore di canzoni, cantante e figura televisiva trasversale, dalla conduzione di Canzonissima 1959 al ruolo di Geppetto ne Le avventure di Pinocchio, adattamento firmato nel 1972 da Comencini, forse uno dei ruoli più importanti della sua carriera. Ma pensiamo anche a una figura come quella di Nino Fogliani, protagonista di Linda e il brigadiere (andato in onda su Rai Uno dal 1997 al 2000), in grado di far breccia nel pubblico, quando Manfredi ha quasi ottant’anni. Così come le sue incursioni pubblicitarie, che sono variegate e lasciano un’impronta in rapporto allo stardom nostrano e alla sponsorizzazione televisiva: basti pensare a «più lo mandi giù e più ti tira su!» o a «il caffè è un piacere, se non è buono che piacere è?», battute entrate nella memoria collettiva.
In secondo luogo, Manfredi è un attore che raramente ha indossato i panni di figure eccedenti, senza la tracotanza dei personaggi sordiani e sfiorando appena i toni grotteschi di Tognazzi; non ha mai avuto il glamour né la fisicità di Mastroianni o di Gassman, e ha incarnato solo in parte le diverse problematiche del maschio italico che hanno contraddistinto molta commedia e molto cinema d’autore. Manfredi indossa spesso i panni di un personaggio incompreso, anche quando cinico e volgare (Brutti, sporchi e cattivi): soggetti sconfitti, medi senza per forza essere mediocri, con un tratto distintivo che caratterizza buona parte del suo lavoro, una malinconia di fondo nel tratteggiare il personaggio e nel restituirlo al pubblico. Nelle sue prove più celebrate, a partire da quelle da regista (su tutte, l’episodio L’avventura di un soldato nel collettivo L’amore difficile del 1962 e Per grazia ricevuta del 1971), per arrivare a film come C’eravamo tanto amati (Scola, 1974) o Pane e cioccolata (Brusati, 1974), risalta indelebile un tono malinconico, un’interpretazione disincantata e in levare.
I diversi episodi di un film come Vedo nudo (Risi, 1969), in piena erotizzazione del sistema culturale e mediale nel nostro Paese, rendono conto della differenziata modalità di interpretazione dei personaggi, che talvolta raggiunge alti livelli di astrazione ma che – attraverso la performance del protagonista – lascia sempre una traccia amara e malinconica. Si pensi al contadino citato in tribunale per aver avuto rapporti con una gallina, che, per giustificarsi, dopo aver mimato in sede di giudizio le presunte avances dell’animale, dichiara al pretore: “Sor pretò, l’omo nun è di legno!”. Oppure, ovviamente, l’episodio Ornella, uno dei più interessanti del cinema di questi anni, dove Manfredi cela la sua omosessualità al mondo e intrattiene uno scambio epistolare con un ragioniere di Torino (Enrico Maria Salerno): la scrittura del personaggio si affida a toni delicati e tocchi leggeri, che rendono comunque drammatica la performance dell’attore. Attraverso un girovagare melanconico di Manfredi per le stanze dell’appartamento, un rapporto intimo e mai caricaturale con gli oggetti che connotano la sua identità (le ciabattine azzurre, la vestaglietta da casa, le lettere del ragioniere tenute insieme da un nastrino violetto), l’episodio suggerisce una riflessione mesta e profonda sulla solitudine e l’esclusione del personaggio.
La terza questione riguarda la sua tecnica recitativa, affinata negli anni (grazie all’Accademia, al teatro, alla lezione di Orazio Costa) e particolarmente incisiva: basti pensare all’interpretazione di Elio Germano nel biopic televisivo In arte Nino (Manfredi, 2017), dove Germano interpreta un giovane Manfredi sostanzialmente imitando e riproducendo quelli che sono ricordati come i gesti più ricorrenti dell’attore ciociaro. In particolare Manfredi, a seconda dei personaggi che interpreta negli anni, ha, tra altre, due caratteristiche determinanti che si possono menzionare: da un lato, la supremazia della mimica rispetto al parlato. L’episodio L’avventura di un soldato è un saggio sulla recitazione muta, dove Manfredi non proferisce parola e dà prova delle lezioni imparate da Costa, recitare anzitutto con il corpo, dopo aver appreso ad interpretare una nuvola, il cielo, un sentimento, una emozione, e soltanto osservando attentamente la performance imitativa di Manfredi si può cogliere la complessità dell’operazione. Dall’altro lato, la mimica si concentra su una sorta di “tecnica della risposta o della sorpresa”, dove la battuta – o la pausa – è portata avanti attraverso il movimento combinatorio occhi-spalle-testa-mani, a raddoppiare l’intensità del gesto o a sottolineare la profondità (anche ironica) della pausa. Prima di pronunciare le battute del dialogo, o in risposta a quelle dell’attore o attrice comprimari, Manfredi si ferma e si sorprende, spesso con un movimento ondulatorio della testa e le mani tenute sollevate, in momenti rapidi e significativi. Il cinema di Manfredi è ricco di esempi di questo tipo, appartenenti a film molto diversi tra loro.
In C’eravamo tanto amati c’è una piccola ma rilevante sequenza, il momento in cui Gianni (Gassman) deve rivelare all’infermiere Antonio (Manfredi) il suo amore corrisposto per Luciana (Sandrelli), di cui Antonio è da sempre innamorato. Si trovano in una saletta dell’ospedale, Antonio è seduto su un lettino e alla notizia rimane interdetto, guarda nel vuoto, si ferma e cerca di capire. L’attore muove occhi e spalle, tenendo il sopracciglio destro leggermente alzato, fino a quando imita una sincope, chiede l’ossigeno e sta con le mani sollevate e il respiro affannato ad ascoltare Gianni e Luciana giustificarsi e ammettere il loro amore. Le battute di Manfredi si fanno rarefatte, è disteso ma muove ugualmente mani, occhi, parti del volto, ad un certo punto ripreso in primo piano. “Voglio più bene a te che a Gianni, ma vedi… lui è diverso” dice Luciana-Sandrelli, e lui con un filo di voce risponde “Eh”; “Dovevo dirtelo subito” prosegue lei, e Manfredi, di rimando, respirando l’ossigeno e con un tono di rassegnazione ironica, risponde: “Ecco, magari”. Il personaggio esprime la sua vena malinconica e la sua quieta accettazione del dramma del vivere, fino a che poco dopo raggiunge sotto la pioggia battente i due amanti che se ne stanno andando e aggredisce Gianni, pronunciando infine la memorabile battuta che chiude la sequenza: “Se semo stufati d’esse boni e generosi”.
Manfredi, protagonista indiscusso della commedia all’italiana, è stato attore della sconfitta, grande interprete di un’altra italianità – rispetto a Sordi, Gassman, o Tognazzi –, ma anche uomo e artista in grado di intercettare a suo modo il cambiamento dei tempi e alcuni passaggi emblematici della nostra storia e del nostro costume. Citiamo soltanto il suo coinvolgimento, come attore, nella campagna per il Referendum sul divorzio del 1974, in uno spot elettorale del Comitato per il no, un vero e proprio cortometraggio ambientato in una pausa sul set. Oppure, quattro anni prima, il disco di propaganda per il PSI realizzato in occasione delle elezioni del giugno 1970 (con Gianni Bonagura), Dialogo tra due elettori al di sopra di ogni sospetto, in cui Manfredi recita in ciociaro. Ma è anche indimenticabile il suo legame, che ne forma un riorientamento della sua immagine divistica, con Ottavio Missoni: il modo di portare il cardigan a fantasia colorata sopra la camicia, a volte con la cravatta, impone tra anni ’70 e ’80 un nuovo modo di vestire, di concepire e di proporre l’eleganza maschile. Tutti questi elementi caratterizzano Manfredi non solo come grande attore del nostro cinema e del nostro spettacolo, ma anche come volto e corpo indelebile della nostra storia culturale.
Riferimenti bibliografici
A. Bernardini, Nino Manfredi, Gremese, Roma 2021.
E. Giacovelli, Commedia all’italiana, Gremese, Roma 2015.
L. Manfredi, Un friccico ner core. I 100 volti di mio padre Nino, Rai Libri, Roma 2021.
G. Rigola, Immaginario (in) comune. Stili recitativi e koinè italiana nei primi anni Sessanta, in AA.VV., “Fata Morgana. Quadrimestrale di cinema e visioni”, n. 18, Comune, Pellegrini, Cosenza 2012.
A. Ticozzi, Nino Manfredi. L’eroe positivo della commedia all’italiana, Sensoinverso, Ravenna 2019.
Nino Manfredi – Castro dei Volsci 1921, Roma 2004.