Raccontare il mondo (a testa in giù)

di DANIELE DOTTORINI

Il centenario di Gianni Rodari.

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In quello straordinario libro di confine (tra racconto personale e saggio, esperimento letterario e memoir) che è Grammatica della fantasia (1973), Gianni Rodari parla del potere che hanno le storie di diffondersi, trasformarsi, passare da uno spazio ad un altro: una storia può essere raccontata da un solo narratore, o da un gruppo; può diventare un canovaccio per uno spettacolo teatrale, un soggetto per un film, per un fumetto, per uno spettacolo di burattini; può essere infine lo spunto per giochi potenzialmente infiniti. Questa capacità di diffusione, di disseminazione della parola narrata è, continua Rodari, paragonabile all’effetto di un sasso gettato in uno stagno: essa «provoca una serie infinita di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni, in un movimento che interessa l’esperienza e la memoria, la fantasia e l’inconscio e che è complicato dal fatto che la stessa mente non assiste passiva alla rappresentazione, ma vi interviene continuamente, per accettare e respingere, collegare e censurare, costruire e distruggere».

Questo movimento espansivo, che coinvolge attivamente tutto ciò che incontra, mostrando dunque il movimento creativo come un evento collettivo, non singolare, è una delle espressioni principali di quella che Rodari chiama (non senza ironia) Fantastica, materia di studio della fantasia e dell’invenzione narrativa, contrapposta alla Logica, ma dotata anche essa di leggi e forme, di pratiche e modalità proprie. Questa contrapposizione infatti non deve ingannare: la Fantasia non è per Rodari l’elogio di una pura improvvisazione: essa consta di leggi che sovvertono certo quelle della logica tradizionale, ma che appartengono come questa alla ragione umana o all’umano in quanto tale. La parola stessa arriva allo scrittore improvvisamente, come una folgorazione: leggendo i frammenti di Novalis si imbatte in uno che diventerà per lui una guida («Se avessimo anche una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l’arte di inventare»). Anche per questo, dopo la Grammatica, Rodari inizia a scrivere gli Esercizi di Fantastica, secondo una divisione tipica dei manuali scolastici (prima la grammatica e poi gli esercizi). Testo che rimarrà non finito, per la morte improvvisa dell’autore e i cui materiali saranno pubblicati anni dopo da Einaudi, con il titolo Esercizi di fantasia (1981).

Ecco, questo è un buon punto di partenza per ripensare oggi l’eredità di Gianni Rodari, al di là di ogni legittima e giusta elegia, di ogni omaggio e ricordo. Si tratta appunto di pensare la Fantastica come l’arte di osservare quel sasso lanciato sullo stagno, per esplorarne i movimenti, l’espansione e, soprattutto il coinvolgimento attivo di tutti i soggetti che quel movimento incontra. Quella di Rodari è un’idea collettiva di narrazione, non tanto nel senso quasi utopico di una storia frutto di una intelligenza collettiva, quanto nel senso che ogni elemento, anche piccolo, di una narrazione incontra una soggettività che è capace di intervenire su di esso, di farlo proprio o di respingerlo. Una teoria della creazione artistica che è anche una teoria della fruizione come operazione creativa e una pratica pedagogica: «Io spero che il libretto [Grammatica della fantasia] possa essere ugualmente utile a chi crede nella necessità che l’immaginazione abbia il suo posto nell’educazione».

La memoria torna allora alle storie di Rodari, spesso appunto dislocate, quasi casuali, in cui è un piccolo dettaglio osservato per caso che può dar origine al tutto purché quel dettaglio esca dalla percezione ordinaria, diventi appunto movimento centrifugo capace di distorcere tutta la percezione del mondo. In Favole al telefono (1962), il ragionier Bianchi, in viaggio per lavoro, racconta ogni sera una breve favola alla figlia (che non riesce ad addormentarsi senza). Favole brevi e folgoranti, dagli esiti imprevedibili, perché il loro punto di partenza è appunto il rovesciamento – rigoroso – della logica: il fucile del cacciatore che non spara, ma fa “Pum! Pam!” con voce di bambino, il palazzo fatto di gelato che viene leccato golosamente da tutti i bambini della città, il bambino distratto che durante la sua passeggiata perde via via parti del suo corpo.

La forma del racconto qui – ma anche negli altri grandi libri di favole rodariane – come nelle  Filastrocche in cielo e in terra (1960), o nelle Novelle fatte a macchina (1973)– segue regole dello spostamento, dello slittamento surreale di un elemento che irrompe nel mondo infrangendo le leggi della logica, come un coccodrillo che si presenta come esperto di cacca di gatti ad un quiz televisivo («Non le sembra una materia un po’ fecale?». «Ma anche felina». «Giusto, non ci avevo pensato»).

Le narrazioni non sono pure associazioni di elementi incompossibili, non sono legate ad una idea della pura visionarietà, ma appunto seguono delle regole che in fondo sono le tecniche del surrealismo (regole di composizione e di creazione che lo stesso Breton detestava, ma di cui ammetteva l’esistenza): il rovesciamento dello sguardo, capace così di vedere il mondo “a testa in giù”, da una prospettiva che ne sposta gli equilibri, è un metodo prospettico, è il punto di partenza per un processo di creazione e di invenzione narrativa.

Questa idea è probabilmente una delle grandi eredità lasciate da Rodari, soprattutto perché essa può essere declinata, come si diceva all’inizio, in qualsiasi forma espressiva così come nelle pratiche pedagogiche. Anzi, sarebbe affascinante ricostruirne il percorso lungo tutta la storia delle forme narrative, dal cinema (dal vero o di animazione) alla letteratura (per adulti o per bambini), dal teatro (in ogni sua forma) fino a qualsiasi esperienza di racconto. Si potrebbe allora incontrare (anche solo rimanendo nel territorio esteso del cinema) il ragazzo dai capelli verdi di Losey insieme al gatto magico Totoro di Miyazaki; i personaggi della media e alta borghesia di Buñuel con le sfilate carnevalesche dei personaggi felliniani; i mondi e i corpi mutanti di Nichetti con i nonsense visivi e linguistici di Lynch; il mondo veramente “rodariano” di Anatolij Petrov (autore tra l’altro di una versione animata de La passeggiata di un distratto) che incontra gli spazi unici del cinema di Alexandre Alexeieff. Un elenco, un gioco, una fantasia appunto che potrebbe continuare a lungo; ma anche il punto di partenza per  una controstoria del cinema che si rivela poi una storia della creazione delle immagini, delle sue regole e della sua potenza.

Riferimenti bibliografici
Novalis, Scritti filosofici, Morcelliana, Brescia 2019.
G. Rodari, Grammatica della Fantasia, Einaudi, Torino 1976.
Id., Favole al telefono, Einaudi, Torino 1995.
Id., Esercizi di Fantasia, Einaudi, Torino 2016.

Gianni Rodari, Omegna 1920 – Roma 1980.

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