Un Picasso in età barocca

di DANIELA CARDONE 

Borromini e Bernini. Sfida alla perfezione di Giovanni Troilo.


In un ritratto del biografo contemporaneo Filippo Baldinucci (1624-1696), Francesco Borromini, al secolo Francesco Castelli, «era un ragazzo poco più che ventenne, pareva di indole tormentata, eccentrico, uomo di grande e bell’aspetto, fanatico della propria arte, fanatico della perfezione» (Argan 1952, p. 8). Del confronto tra il  Borromini e il Bernini, infatti, lo stesso Baldinucci e Paul Fréart de Chantelou hanno lasciato scritti che rivelano la genialità e la razionalità del Bernini in continuo contrasto con la mente altrettanto geniale, ma audace, rivoluzionaria e controcorrente del Borromini.

Borromini e Bernini. Sfida alla perfezione (2023), diretto da Giovanni Troilo, è il docufilm che ci fa guardare al sangue e alla violenza endemica della Roma barocca, in cui l’eccentricità dell’ideazione, il capovolgimento delle regole classiche e della cultura stilistica del secolo fecero del Borromini un artista, uno scultore e prima di tutto un architetto contro le leggi della sovranità ecclesiastica del Seicento. Borromini era un profondo conoscitore delle regole e dell’ “apoteosi” del Barocco, di quei contenuti classici che ne nutrivano le bizzarrie e ch’egli aveva osato stravolgere, con un’operazione sovversiva che solo chi conosce le regole del gioco può compiere.

La “sfida alla perfezione” non è tuttavia per il Borromini, in linea con il linguaggio irregolare del Barocco romano. Definire le irregolarità del Borromini come un adattamento o un condizionamento agli aspetti più sfarzosi, ricchi e brillanti del Barocco sarebbe improprio. Francesco Borromini possedeva un’energia emotiva che gli conferiva un gusto unico e speciale. Un grande potenziale mentale, unito alla vastissima conoscenza che aveva acquisito avevano fatto sì che – grazie alla guida di Carlo Maderno, maestro e architetto – il Borromini ventenne passasse da semplice scalpellino a disegnatore, ad architetto.

In questi termini l’esuberanza delle architetture borrominiane irrompeva contro la grandiosità e la potenza espressiva del Barocco in una Roma epicentro di tutta l’arte occidentale, ricorrendo alla scultura ellenistica, alle forme classiche, all’uso degli spazi e delle dimensioni senza servirsi degli eccessi e delle contraddizioni della cultura e dell’arte del secolo. Alla regia di Giovanni Troilo e al soggetto di Luca Lancise il merito di aver disegnato Roma come “grande bellezza” del Barocco, quando nel 1623 Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini cominciano a nuotare nelle acque della capitale che ha appena nominato il nuovo Papa, Urbano VIII, un Papa della famiglia Barberini, una delle famiglie più potenti di Roma. Urbano VIII vedeva in Gian Lorenzo Bernini una sorta di clonazione michelangiolesca, a cui egli commissionava sistematicamente tutte le opere architettoniche e scultoree della chiesa romana.

Da questo momento in poi, come recitano nel film le autorevoli voci narranti di Paolo Portoghesi, Jeffrey Blanchard, Giuseppe Bonaccorso, Aindrea Emelife e Daria Borghese, il Borromini e il Bernini cominceranno ad allontanarsi. Gian Lorenzo Bernini è il “sovrano” dell’architettura di Roma mentre Francesco Borromini intraprende un percorso alla ricerca di una propria identità artistica, cosicché potesse essere individuato dalle committenze solo ed esclusivamente come il Borromini. Un’operazione complicata che passerà prima dalla realizzazione delle architetture di Palazzo Barberini, a quelle colossali di S. Pietro.

Quella del Bernini e del Borromini è una genialità che si sviluppa a ritmi diversi. Vero è che il Bernini è un uomo carismatico, benvoluto da tutti, è un pesce che nuota bene o meglio che sa come nuotare nelle acque torbide dei giochi politici e del potere della Roma seicentesca, consapevole che per raggiungere grandi obiettivi occorre avere grandi committenti. Il Borromini per suo conto, sa di essere unico, ma è conscio del fatto che quella medesima unicità sarà la sua condanna. Non è capace di scendere a compromessi, di cedere il passo all’immaginazione e alla scenografia seicentesca per modulare la propria architettura in favore dei potenti.

La massima espansione spaziale, la grandiosità dei prospetti, la magnificenza dei fregi, degli architravi, sono una sfida al fervore che invece anima il Borromini, mentre quella del Bernini non è un’architettura chimerica, è la grandiosità della forma naturale ricondotta alla realtà, una realtà celebrativa e allo stesso tempo evocativa, così come al tempo doveva essere, della solennità di Roma e della sacra Chiesa.

Il primo esempio citato nella “sfida alla perfezione” tra Gian Lorenzo e Francesco è Palazzo Barberini (1625-1633). Alla morte del Maderno e sotto il governo spirituale di Urbano VIII, il cantiere passa alla direzione del Bernini: all’epoca il Borromini è ancora un semplice collaboratore, eppure, sono evidentemente riconoscibili i particolari costruttivi e decorativi a lui dovuti. Se il Bernini conosceva tutte le tecniche utilizzabili su Palazzo Barberini poteva lavorare sviluppando il corpo del palazzo in tre corpi ortogonali, unendo nell’opera la funzionalità architettonica al  gioco prospettico. Il Palazzo è una villa di cui la facciata, la corte e il giardino sono un esempio di quella funzionalità che deve contenere  scenografia e teatralità barocche insieme. Tutto ciò che l’immaginazione poteva concedere alla progettazione poteva essere rimodulato secondo la realtà e lo spazio a disposizione. Sull’immaginazione il Borromini agisce invece con impeto, con arbitrio ed emotività, realizzando però ciò che realisticamente poteva sembrare impossibile.

È questa la chiave di volta con cui il film riesce a rappresentare la sfida tra il Bernini e il Borromini. È possibile che tutto il problema, quello dell’artista e dell’uomo, possa ridursi all’immaginazione, al modo di rapportarsi e percepire la dimensione reale nell’uno e nell’altro. Tutta la vita sembra essere regolata da un impulso verso ciò che è trascendente e irraggiungibile e, così come appare la storia nell’inquadramento stilistico della critica d’arte, per il Borromini gli spazi, le luci, le ombre, sono invertiti, sono geometrie rimodulate, sovrapposte e contratte, per cui cerchi, semicerchi, triangoli e semiarchi sono tutto il contrario di quanto le leggi della natura e della progettazione avevano previsto finora.

Eppure, nella ricostruzione della storia del Borromini fatta da Giovanni Troilo, tutto ciò che pareva irreale e immaginario, per Francesco Castelli diviene possibile. Mentre Gian Lorenzo aveva risolto tecnicamente il problema con la realtà, Francesco non risolveva il problema dell’immaginazione: la metteva in atto. L’associazione del Bernini al Caravaggio fatta da Giulio Carlo Argan è pari all’associazione che i critici d’arte fanno nel film del Borromini al Picasso contemporaneo.

Contro tutto e tutti il Borromini utilizzava lo spazio in una visione verosimile, ma mai realistica, una dimensione spaziale che nelle sue mani poteva contrarsi o allargarsi naturalmente fino ai limiti del possibile. Identica cosa per le colonne, come quelle del Baldacchino di San Pietro, soltanto a lui riconducibili per la sinuosità e l’elasticità fluttuante verso l’alto, o come il perimetro bizzarro giostrato in Sant’Ivo alla Sapienza (1642-62), su cui si erge la cupola e il tamburo lobato quasi come un proseguimento dallo spazio interno verso l’esterno, su una sommità tendente all’infinito. Le geometrie del Borromini derivano da una conoscenza profonda e soprattutto da un amore viscerale per la natura, così la botanica, la fauna, divengono forme geometriche che giocano con la luce, come accade in S. Carlo alle Quattro fontane (1634-37): nell’interno della cupola non vi sono più simmetrie, le forme ottagonali e le ellissi sfidano la luce con un ritmo vorticoso.

Solo una mente geniale come quella che Giovanni Troilo riscatta nel docufilm da una memoria bruscamente accantonata sulla figura dell’artista, poteva pensare di riprodurre prima della costruzione architettonica un modello in cera, un esemplare della struttura attraverso cui il Picasso contro corrente, a ritroso nell’età barocca, aveva provato a configurare lo spazio lavorando alla ricerca della terza dimensione.

Siamo lontani dal ritratto di un’epoca come nel Bernini di Francesco Invernizzi del 2018 e dalle identificazioni psico-scenografiche de La Sapienza di Eugéne Green del 2014. Vis à vis nel film il Bernini con il Borromini o meglio il Borromini contro il Bernini, nella magistrale interpretazione mimica di Pierangelo Menci  (Gian Lorenzo) e di Jacopo Olmo Antinori (Francesco).

Riferimenti bibliografici
C. Argan, Borromini, Mondadori, Officine grafiche veronesi 1952.
Id., Borromini, Abscondita, Milano 2023.

Borromini e Bernini. Sfida alla perfezione. Regia: Giovanni Troilo; sceneggiatura: Luca Lancise; fotografia: Marco Tomaselli; montaggio: Antonello Pierleoni; musica: Remo Anzovino; produzione: Sky e Quoiat Films; distribuzione: Nexo Digital; origine: Italia; durata: 105’; anno: 2023.

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