Behzad e Sima, marito e moglie, sono stanchi uno dell’altra e cercano altrove le soddisfazioni che la vita coniugale non può più offrire. La loro unica figlia, la giovane Minoo, incontra per caso il coetaneo Keyvan e, dopo qualche esitazione, comincia a frequentarlo. Le relazioni, nel primo lungometraggio del regista iraniano Shahab Fotouhi, non funzionano come fusioni assolute: non sono sorrette da “affinità elettive”, capaci di superare gli ostacoli e le crisi. Nel suo romanzo della maturità, Goethe aveva d’altronde messo in guardia contro gli inganni delle passioni amorose eterne. L’immagine dell’amore è invece quella di un continuo gioco di dissonanze: un rapporto comincia lì dove sembrava che non dovesse nemmeno nascere (Minoo e Keyvan); un’unione si interrompe quando era forse invece sul punto di ricomporsi (Sima e Behzad). Non è nelle armonie che l’amore compie le sue svolte fondamentali, positive o negative, ma nelle dissonanze. Il regista pare quasi voler aggiungere il suo apologo dell’eros a quelli che Platone riporta nel Simposio; d’altra parte,  se volessimo cercare un ponte tra le concezioni dell’amore in Oriente e Occidente, potremmo ricordare il richiamo quasi platonico alla figura dell’“Amato” che impregna la poesia persiana, da Rumi a Khayyam.

Fotouhi ci offre al contrario un’immagine molto più moderna e vicina alla realtà del sentimento amoroso. Non potrebbe essere diversamente, nella misura in cui l’amore, come mostra Roberto De Gaetano, è uno dei modi di offrirsi dell’immagine cinematografica. Il senso del film è affidato al titolo. L’amore è un boomerang: tutti noi lo lanciamo, sperando che ci riporti indietro gioia e felicità. Non è detto però che il gioco torni indietro, o che noi siamo capaci di afferrarlo al volo. Stanco della sua vita e con la sensazione di non avere più vie d’uscita, Behzad va a cercare Sadaf, la sua ex fidanzata, che non lo ha dimenticato e tuttavia lo ricorda con rancore. L’amore torna, ma nella forma del risentimento. Sima forse vorrebbe evitare il ritorno del boomerang. Il suo ingresso in scena avviene in una sequenza strepitosa, in cui l’attrice Leili Rashidi mette a frutto il suo talento di interprete teatrale. La donna rientra a casa dalle spese e trova l’appartamento deserto, il computer del marito accesso su una call. Dal bagno arrivano strani rumori. Sima si accorge che il marito sta spiando i vicini che fanno sesso, forse addirittura si sta masturbando o compie qualche atto osceno. Senza scomporsi, esce dall’appartamento, torna in macchina e ripete la scena, questa volta suonando al citofono, come se il primo ritorno non fosse mai avvenuto. Ma il marito si era accorto del primo rientro e, durante un breve e teso pranzo insieme alla moglie, affronta la questione. Potrebbe essere il punto di partenza per un chiarimento e magari per una riconciliazione. Invece, alla fine del film, vediamo Sima che visita un appartamento dove, come dichiara all’agente immobiliare, andrà a vivere solo con la figlia.

D’altra parte, quando Behzad affronta lo spiacevole incidente con la moglie, la reazione di lei è di rimproverarlo, lui che è dalla parte del torto, per aver voluto toccare un argomento che lei, dalla parte della ragione, aveva scelto di ignorare. Sima è in un certo senso il simbolo della forza delle donne iraniane: con il suo continuo mettersi e togliersi il velo ogni volta che esce o entra di casa; con la sua imperturbabilità e la sua determinazione di fronte a ogni evento, come quando citofona alla vicina per farle presente che i muri dei loro appartamenti sono comunicanti e si sente ogni rumore da una casa all’altra. Behzad, con la sua “inerzia” che fa spuntare aculei difensivi a chiunque gli stia accanto, come gli ha rimproverato Sadaf nella loro conversazione “rubata” in macchina, non può nulla: riesce perfino a farsi scippare da una ragazza in moto il mazzo di fiori che aveva comprato alla moglie per farsi perdonare. Ma di fronte all’inerzia nemmeno la forza della resistenza può qualcosa: finisce per trasformarsi in un’inerzia peggiore. L’atto originario dell’amore è comunque andato perso. Sono possibili solo ripetizioni, come il secondo bouquet che vediamo apparire sul tavolo da pranzo della coppia. Ma le ripetizioni servono solo a far sentire l’assenza di qualcosa. È questo il dramma di Sima, e forse delle donne iraniane oggi.

Minoo, dal canto suo, aveva dichiarato a Keyvan che la loro conoscenza sarebbe iniziata e finita con quella passeggiata cominciata con un incontro casuale in strada. Questo incontro sembra quasi una messinscena da film della Nouvelle vague tra due giovani ribelli: lei con la chioma colorata, che un berretto copre a stento, lui con il suo look da “capellone” romantico e un po’ svitato, in mezzo a una folla indifferente, tra donne austere nei loro chador. Eppure la loro conoscenza prosegue, tra incontri silenziosi e malinconici, uno accanto all’altra appollaiati su un albero, fino alla presentazione di lui agli amici di lei per la festa di compleanno della ragazza su una terrazza abbandonata, dove Keyvan si esibisce in seducenti giochi di prestigio. L’amore dei giovani è come il capello strappato che, nella scena finale del film, Minoo offre a Keyvan per danzare insieme, distanti ma legati. Potrebbero perdersi in ogni momento. Per ora, però, i due ragazzi restano uniti. Gli innamorati sono condannati a vivere il loro sentimento come un boomerang che potrebbe scomparire all’orizzonte, o tornare nell’attimo in cui non ce lo aspettiamo. Forse nessuno può davvero amare, se innamorarsi significa legarsi per sempre.

Allora chi ama veramente, se gli esseri umani non ne sono capaci? Forse è il mondo stesso ad amare: sono le strade brulicanti di persone e di traffico, in cui a tratti vediamo muoversi i personaggi; è la natura che circonda la città, brulla e desertica, dove Shahab coltiva il suo amore per gli animali e dove forse cerca di ridare forza alla sua voglia di vivere; è l’imponente montagna che sovrasta la metropoli, vegliandola in maniera quasi minacciosa. Ma il film non ci trasmette un sentimento romantico della natura: i luoghi non sono i testimoni fedeli dei ricordi degli esseri umani. Il mondo è piuttosto ciò che decide della possibilità o dell’impossibilità di fare di questo concerto di dissonanze il tempo di un amore. Non è la struggente canzone di Haydeh – una cantante da generazioni popolarissima in tutto l’Iran – ad accompagnare la danza finale di Minoo e Keyvan. Sono loro a danzare per lei. È il mondo, con i suoi tempi, i suoi ritmi e le sue dissonanze, a decidere dell’amore.

Riferimenti bibliografici
W. Benjamin, Le affinità elettive, in Angelus Novus, a cura di R. Solmi, Einaudi, Torino 1962.
R. De Gaetano, Le immagini dell’amore, Marsilio, Venezia 2022.
J.W. Goethe, Le affinità elettiva, a cura di P. Capriolo, Marsilio, Venezia 2020.
O. Khayyam, Quartine, a cura di A. Bausani, Einaudi, Torino 1956.
Platone, Simposio, a cura di G. Colli, Adelphi, Milano 1979.
J. Rumi, Poesie mistiche, a cura di A. Bausani, Rizzoli, Milano 1980.

Boomerang. Regia: Shahab Fotouhi; sceneggiatura: Shahab Fotouhi; fotografia: Faraz Fesharaki; montaggio: Alexandre Koberidze, Pouya Parsamagham; musica: Panagiotis Mina; interpreti: Arash Naimian, Yas Farkhondeh, Leili Rashidi, Ali Hanafian, Shaghayegh Jodat; produzione: New Matter Films, Rainy Pictures, Zohal Films; origine: Germania, Iran; durata: 83′; anno: 2024.

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