Padre, madre e tre figli riuniti a tavola per festeggiare il compleanno della matriarca. Cinque attori per cinque personaggi che si incontrano e si scontrano in un corpo a corpo verbale e fisico nella luce livida di una sala da pranzo.

Dopo rappresentazioni teatrali costruite per lo più su sincopate esplosioni monologanti di singoli personaggi (tra le altre, Sabbia, Intrattenimento violento, Squartierati, dEversivo, Benvenute stelle), Eleonora Danco mette in scena una famiglia al completo, nello spettacolo Bocconi amari-Semifreddo, scritto e diretto dalla stessa drammaturga romana, in prima nazionale al Teatro Vascello di Roma. 

Il padre, interpretato dalla stessa Danco, è un capo famiglia prepotente e recriminante nei confronti dei figli, della moglie, del lavoro, della vita stessa. Un “Re Lear del terzo piano”, che dispensa rimproveri e moine con pari aggressività, come unica modalità di comunicazione. La madre – interpretata da una notevole Orietta Notari – ripete meccanicamente frasi fatte (“A ora di pranzo la televisione si tiene spenta!”, “Quante volte lo devo ripetere”, “Si fredda la pasta”), distribuisce i piatti, si concentra sul cibo, chiede conferme sulla bontà delle pietanze, urla, sgrida, fa ricatti psicologici, subisce le villanie del marito, come un automa. I due figli Luca e Pietro, all’incirca quarantenni, si scontrano continuamente, si aggrediscono, si insultano, mentre la figlia Paola è una creatura problematica che lancia biscotti contro il muro, non parla, non esce di casa.

I colori sono cupi, i dialoghi ritmati, serratissimi, fatti di battute martellanti e ripetitive col senso pervasivo di un avvelenamento psicologico. C’è una fisicità fatta di corpi che strisciano a terra, che rotolano, che si sovrappongono in pantomime di lotte, di mani al collo. I figli adulti si comportano e sono trattati come bambini, in una regressione sconsolante, iterativa e inarrestabile.

Nel secondo atto sono passati vent’anni, la madre è morta, la famiglia si ritrova sempre nello stesso luogo domestico fisso e circoscritto, riunita intorno alla tavola, per festeggiare il compleanno del padre (come nel banchetto del film Festen), occasione archetipica e convenzionale di innesco di conflitti insanabili e repressi dentro al focolare domestico, disvelamento delle disfunzionalità di una famiglia comune. Ogni tanto appaiono lampi onirici di ricordi di infanzia, come i tre fratelli che saltano e ballano sulla canzone Mr. Bojangles cantata da Bob Dylan, collocati in un altrove della memoria –  attivato da luci mirate sulla scena  – in cui il tempo si confonde.

I figli sono cresciuti, hanno subito la crisi economica, sono invecchiati, ma nulla è cambiato nelle loro relazioni, anzi tutto sembra essersi fossilizzato. L’invecchiamento si concretizza come una sorta di sbriciolamento fisico, con l’intonaco bianco sui corpi e sui vestiti dei personaggi. La figlia Paola si è trasformata in una sorta di enorme scarafaggio che striscia nella casa.

I bocconi amari sono il cibo quotidiano consumato nei rapporti familiari, che ognuno è costretto ad ingoiare inesorabilmente e che neppure il tragicomico semifreddo finale riesce ad addolcire, perché fatalmente congelato ed immangiabile. I familiari si mangiano l’un l’altro “come pesci in un acquario”.

Questo senso di osservazione in vitro di un microcosmo in decomposizione fa venire alla mente alcuni spettacoli visti negli ultimi anni, come Familie di Milo Rau, dove una famiglia, chiusa in una sorta di casa-teca di vetro, arriva ad un esito macabro e collettivamente autodistruttivo; oppure La ferocia di VicoQuartoMazzini, dal romanzo di Nicola Lagioia, in cui la famiglia è collocata in scena dentro una sorta di casa contenitore nella quale si osservano i comportamenti di lento e progressivo autoannientamento.

In “uno spettacolo che cerca la vita aggredendola”, Danco mette in scena il collasso di una famiglia qualsiasi. La famiglia come covo di inconsapevole brutalità, luogo carico di fiele e di rancore, il cui unico linguaggio verbale e fisico è l’aggressione costante, la ripetizione urlata di vecchie recriminazioni, ferite, frustrazioni. Spazio di implosione regressiva di esistenze bloccate nel cerchio magico di una consanguineità letale e incapace di comunicare. La famiglia come habitat ordinario, violento, grottesco e inguaribile in cui rimane però, nel fondo, un senso struggente di umanità.

Bocconi Amari –  Semifreddo. Regia: Eleonora Danco; scenografia: Francesca Pupilli, Mario Antonini; luci: Eleonora Danco; musiche scelte: Marco Tecce; interpreti: Eleonora Danco, Orietta Notari, Federico Majorana, Beatrice Bartoni, Lorenzo Ciambrelli; produzione: La Fabbrica dell’Attore/Teatro Vascello – Teatro Metastasio di Prato; anno: 2025.

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