Artista ecclettico e multimediale, Craig Quintero esordisce alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia nel 2022, con un’opera a 360° in concorso nella sezione Venice Immersive. Il suo All that Remains (2022) è il primo titolo della trilogia Just for you, performance one-to-one ispirate alle sue precedenti esperienze teatrali, volte a interpretare in chiave metaforica i grandi temi della memoria, della morte e del desiderio. I successivi titoli Over The Rainbow (2023) e A Simple Silence (2024), sempre realizzati nella forma di video a 360°, privi di interazione, in un ibrido tra la tradizione audiovisiva del cinema e la performance teatrale, consacrano la figura di Quintero come uno degli artisti più sperimentali della Mostra.

Nel 2025, Quintero torna a Venezia con un progetto più ambizioso, co-firmato dalla scrittrice e produttrice Phoebe Greenberg, fondatrice del centro d’arte digitale PHI Center. Ne deriva una coproduzione internazionale tra la canadese PHI Studios, la società taiwanese Riverbed Theatre – di cui Quintero è direttore artistico – e la greca Onassis Culture. In Blur, lo sperimentalismo tecnico di Greenberg incontra lo stile espressivo di Quintero dando profondità spaziale alle sue opere immersive. Le attrici che nella serie Just for you osservano lo spettatore in profonde e inquietanti esibizioni a 360° ora accolgono gli utenti in una live performance che comincia prima dell’accesso allo spazio virtuale attraverso i visori. La curata fase di onboarding vede gli utenti accedere singolarmente in un asettico laboratorio clinico, presi per mano da un’attrice e marchiati sulla mano con un numero in apparenza casuale. Insieme ad altre cinque utenti – o soggetti sperimentali, nella diegesi della performance – si è quindi invitati a indossare un visore, seguire le poche indicazioni pratiche per regolare i movimenti nello spazio, e accedere così all’esperienza virtuale.

Come caratteristico dello stile di Quintero, Blur rinuncia a una logica consequenzialità narrativa per dar forma a concetti in immagini metaforiche, spesso tetre, volutamente disturbanti. Il tema è quello della clonazione, in una riflessione poetica sul futuro dell’umanità attraverso la spersonalizzazione e la riproduzione artificiale. Il progetto offre una combinazione sperimentale di tecniche, unendo al classico video a 360° anche momenti in Mixed Reality (MR) in cui il reale e il virtuale si confondono, insieme a passaggi interamente digitalizzati in cui la Virtual Reality (VR) guida lo spettatore in spazi simulati in CGI. Agli utenti è offerta un’illusione di libertà di movimento nello spazio, guidata però da input visivi e sonori che canalizzano l’attenzione e le conseguenti scelte nella fruizione dell’esperienza immersiva. Nonostante lo spazio fisico delimitato, un’oculata ricostruzione del percorso virtuale permette agli utenti di percepirsi parte di un ambiente insieme sconfinato e controllato, dove 6 persone riescono a muoversi senza mai incontrarsi. Le tecniche uniscono live performance, riprese a 360°, scene a 180°, riproduzioni digitali, disegno animato, creando un effetto insieme affascinante e angosciante, declinando così il tema dell’immortalità come promessa e come minaccia.

Dopo i primi giorni del festival di Venice Immersive, si sparge la voce che Blur sia uno dei progetti più ambiziosi e raffinati della selezione. Essere tra i 6 utenti di una sessione, occupare uno dei 396 posti disponibili nelle 11 giornate dell’evento, diventa una sfida che si alimenta del passaparola e delle critiche entusiastiche. L’opera accoglie infatti una delle principali tendenze del festival, o del mercato immersivo in generale: si presenta come un progetto multiplayer e site-specific, quindi fruibile da più persone contemporaneamente in un ambiente controllato e non replicabile su scala. A differenza di altri progetti in competizione, questa moltiplicazione degli utenti è pensata per dividere e non per unire, sentirsi parte di un’unica grande esperienza e insieme diventare nuclei indipendenti e spersonalizzati – gli utenti sono a loro volta cloni, rappresentati nello spazio digitale nella forma di organismi particellari, insistendo su quella minaccia dell’immortalità che attraversa il tema della riproduzione artificiale.

Blur personifica il valore di progetti pensati per il Location-Based-Entertainment (LBE), che tolgono all’Extended Reality (XR) l’immaginario di strumenti isolanti e spersonalizzanti, pur tematizzando il messaggio opposto, quale la standardizzazione e la riproducibilità. La complessità dell’immaginario di Quintero e la raffinata cura progettuale di Greenberg promettono quindi di assaggiare le vere potenzialità tecniche ed espressive del medium, insieme ai suoi più affascinanti limiti – solo 396 persone hanno potuto accedere al laboratorio clinico di Blur, alle altre non rimangono che l’eco di quel passaparola, poche immagini rappresentative, e qualche articolo riassuntivo che non può rendere la dimensione esperienziale di un’opera immersiva così poliedrica.

Blur. Regia: Craig Quintero, Phoebe Greenberg; sceneggiatura: Craig Quintero, Phoebe Greenberg; montaggio: Audrey Poulin, Martin Beaudoin, Alexandre Lapointe, Luc Sansfaçon, David Gagné, Ming-Yuan Chuan, Ming-Yang Yeh, Ping- Ying Yen; interpreti: Ning Chang, Yu-Hsin Yu, Yu-Ling Wang, Maxine Denis, Sia-Jhih Lin, Chang- Hao Wang, Yu-Chen, Chien, Shiou-Ling Sheng, Gesine Moog, Phoebe Greenberg, Xin-Qi Chen, Eirini Mpountali, Hsiang Lin, Alfonso Lee, Kai-Wen Chuang, Avery Lin, Vanessa Cheng, Craig Quintero, Mei-Chun Hsiang, Yi-Hsuan Chen, Shu-Lian Wong, Mei- Chun Hsiang; produzione: PHI Studio, Riverbed Theatre, Onassis Culture; origine: Canada, Taipei, Grecia; durata: 50′; anno: 2025.

Share