Ogni giorno assistiamo, spettatori distratti e indifferenti, alle conseguenze di una “corsa agli armamenti” sempre più globale. Proprio da una delle infinite, drammatiche storie che questa disumana corsa lascia dietro di sé e dal racconto di una corsa in direzione opposta, verso la libertà e la speranza di una vita migliore, nasce Blind Runner, una delle proposte più significative di Biennale Teatro 2024.

Protagonisti poetici e politici – nel senso più alto del termine – di questo spettacolo scritto e diretto dal regista iraniano Amir Reza Koohestani (Mehr Theatre Group) sono due donne, interpretate dalla stessa attrice (Ainaz Azarhoush), e un uomo (Mohammad Reza Hosseinzadeh). I tre personaggi vivono vite che si muovono tra poli opposti, reali e simbolici: esterno-carcere, libertà-prigionia, corsa-immobilità, cecità-visione, speranza-non speranza, immaginazione-realtà, parole-silenzi, migrare-restare.     

La storia ruota attorno a una coppia di sposi costretta a vivere separata a causa di leggi che vietano di manifestare liberamente, soprattutto pensieri dissidenti rispetto alla politica governativa: colpevole di aver compiuto un simile reato, la giovane sposa è stata imprigionata e può vedere il marito una sola volta a settimana. Ogni colloquio è controllato. Le orecchie e gli occhi invisibili puntati senza tregua su questa coppia contribuiscono in modo determinante a scavare una distanza incolmabile, settimana dopo settimana: il mondo fuori sembra non trovare parole e gesti per poter dialogare con il microcosmo chiuso fra mura impenetrabili e viceversa. Prima che l’incomunicabilità fra i due prenda del tutto il sopravvento, la donna convince il marito ad allenare una ragazza per la maratona di Parigi e ad affiancarla nella gara: è una giovane iraniana diventata cieca dopo essere stata colpita da un’arma da fuoco durante una manifestazione. Correre insieme significa andare alla ricerca, faticosa e impagabile, di sincronie, ritmi, respiri e pensieri condivisi: e questo accade fra il ragazzo iraniano e la blind runner. Lui dice: «Correre con una persona cieca è come ballare un valzer. Un cervello e due corpi. Acceleriamo e rallentiamo insieme; inspiriamo ed espiriamo insieme».

Il terzo posto nella competizione parigina e la grande visibilità ottenuta dalla ragazza non vedente, che si definisce «una migrante privilegiata», spinge i due maratoneti a porsi un nuovo obiettivo per richiamare l’attenzione sui tanti non privilegiati che non hanno voce: attraversare correndo il tunnel della Manica e riuscire ad arrivare in Inghilterra prima che parta il treno del mattino. Una corsa verso la libertà ma anche verso il paese che ha venduto le armi corresponsabili della cecità della giovane iraniana. L’improvviso e assordante rumore del treno con cui si chiude lo spettacolo lascia svolgere all’immaginazione di ognuno il finale della corsa dei due giovani.

Nel ripercorrere la genesi di Blind Runner, Koohestani ha ricordato quanto siano state determinanti le storie di Mahsa Amini e della giornalista Niloofar Hamedi, il cui reportage sulla morte di Mahsa,

a causa di un pestaggio da parte della polizia morale», ha «scatenato una rivolta sociale al grido di “Donna, vita, libertà”. Niloofar Hamedi è stata arrestata pochi giorni dopo la pubblicazione del suo reportage […] Lei e il marito, anch’egli maratoneta, hanno lanciato diverse campagne per portare la situazione dei prigionieri politici all’attenzione dell’opinione pubblica, tra cui l’annuncio di Niloofar […] che avrebbe corso due volte alla settimana nel cortile della prigione, in ciabatte. Anche suo marito ha trasformato la corsa fuori dal carcere in una campagna per il rilascio di Niloofar e molti atleti hanno corso per la liberazione di Niloofar in diverse maratone (in Niger et albus).

Questa vicenda si è intrecciata ad altre storie, di atleti non vedenti ai giochi Paralimpici, di prigionieri politici in luoghi diversi dall’Iran, di migranti in fuga da quasi ogni angolo della terra, si è intrecciata a esperienze personali e riflessioni di Koohestani sulla libertà e sul valore reale e metaforico della corsa. 

La compresenza di più storie è distillata da Koohestani attraverso una chiarezza di visione e intenti che portano a una essenzialità di scrittura e messa in scena in grado di dare senso poetico e rivoluzionario al rumore dei passi di una corsa che è una maratona ma è anche altro, ai respiri dei tre protagonisti, alla fatica che si è disposti a sostenere per il traguardo vitale della libertà e di reali condivisioni, alla forza necessaria per non farsi privare della capacità di vedere e immaginare quando si è costretti a vivere chiusi tra la cella e il cortile di una prigione.

In Blind runner, come in En transit, altro importante spettacolo di Koohestani, la contaminazione di storie, emozioni, pensieri riflette e si riflette nella contaminazione fra linguaggi ed estetiche teatrali, cinematografiche, fotografiche. Che questo accada è inevitabile: il percorso formativo e professionale del regista e drammaturgo di Shiraz, tra i più rilevanti nel suo paese e non solo, è segnato fin dai primi passi da cinema, fotografia, teatro, scrittura e dalla volontà di far dialogare questi mondi. A indicare tale direzione di lavoro in Blind runner è proprio l’inizio: il palco è dominato, sul fondo, da un grande schermo dove compare una scritta in iraniano e in inglese, una scritta che ognuno di noi ha visto più volte nei film, dai docu-dramas ai biographical films ai true story movies: «Based on a true story».

Questa frase, che è diventata anche il titolo di un film – D’après une histoire vrai / Based on a true story di Roman Polański (2017) – viene man mano sottoposta a minime ma sostanziali modifiche, diventando «based on an actual story», poi «on an actual history», e ancora «on factual history», infine «based on a fact / fiction». Questa progressiva decostruzione e ricostruzione mostrata sullo schermo rispecchia la volontà del regista di rendere partecipe il pubblico di momenti fondamentali del processo creativo alla base di Blind Runner: le cancellazioni e le nuove scritture, parziali o totali, proiettano tracce dei percorsi di una mente teatrale alla ricerca di un approdo da cui ripartire per far iniziare l’opera.

Una grande fotografia con il primo piano dei volti dei due attori, di cui colpiscono soprattutto i grandi occhi di Ainaz Azarhoush, prende il posto, sullo schermo, delle parole appena ricordate. I corpi in scena dei due attori, immersi nella penombra e appena percepibili, compiono intanto esercizi di riscaldamento e/o scioglimento muscolare per una corsa – è chiaro dal tipo di scarpe ai piedi. Una voce fuori campo elenca in lingua persiana nomi di detenute e i numeri delle loro postazioni in carcere.

Nella memoria di uno spettatore resta molto di Blind runner. Delle parole soprattutto queste, che suonano come l’inizio di una poesia: «Per essere libero, accetta di essere legato mani e piedi».

Riferimenti bibliografici
Niger et Albus, catalogo del 52. Festival Internazionale del Teatro, La Biennale di Venezia, Venezia 2024.

Blind Runner. Testo: Amir Reza Koohestani; regia: Amir Reza Koohestani; drammaturgia: Samaneh Ahmadian; interpreti: Ainaz Azarhoush, Mohammad Reza Hosseinzadeh; assistente alla regia: Dariush Faezi; luci, scenografia: Éric Soyer; video: Yasi Moradi, Benjamin Krieg; musica: Phillip Hohenwarter, Matthias Peyker; costumi: Negar Nobakht Foghani; produzione, amministrazione, promozione: Pierre Reis; produzione: Mehr Theatre Group, Paris; coproduzione: Kunstenfestivaldesarts, Berliner Festspiele, Athens Epidaurus Festival, Festival d’Automne à Paris, Théâtre de la Bastille, La rose des vents – Scène nationale Lille Métropole – Villeneuve d’Ascq, La Vignette, scène conventionnée Université Paul-Valéry Montpellier, Théâtre populaire romand – Centre neuchâtelois des arts vivants, La Chaux-de-Fonds, Triennale Milano Teatro, Festival delle Colline Torinesi/Fondazione TPE, Noorderzon Festival of Performing Arts & Society.

*Foto di Benjamin Krieg.

Share