Un uomo cieco cerca di togliersi la vita. È nel bagno di casa, completamente vuoto, solo una doccia e un gabinetto. Bagna la propria maglia, se la mette attorno al volto, copre la testa con un sacchetto di plastica ma viene interrotto da dei colpi alla porta, qualcuno sta bussando con ripetuta veemenza. Una donna è scappata dall’arresto della polizia, non si sa ancora cosa abbia compiuto, e si nasconde all’interno del palazzo, gli comunica quello che sembrerebbe essere l’ammistratore/portinaio. Ali è prigioniero della propria condizione, scopriamo che sta perdendo gradualmente la vista a seguito di un incidente. Attraverso la sua soggettiva vediamo flebili figure che si stagliano nella luce, nessun elemento è a fuoco. L’uomo si muove goffamente dentro casa, sembra non riconoscerne gli spazi seppur la casa sia completamente vuota, spoglia, inciampa più volte contro il letto provocandosi dei tagli. La fuggitiva è dentro l’appartamento. I poliziotti entrono in casa e scoprono delle tracce di terra sul pavimento, lasciate dalle scarpe. Ali non può essere stato perché non può uscire. La polizia vuole interrogarlo con insistenza, non per sapere della fuggitiva, ma per avere informazioni sulla misteriosa donna che continua a mandargli delle lettere, senza indirizzo del mittente. Lui cerca di leggere queste lettere avvicinandole il più possibile ai propri occhi ma a delinearsi sono solo dei contorni sfocati. Ali e Leila condividono la situazione di prigionieri nello stesso ambiente, lui impossibilitato a uscire per la propria condizione, lei perché la polizia ha circondato il palazzo ma nessuno è ancora venuto realmente a ispezionare l’appartamento. La donna è accusata di aver causato la morte di un poliziotto.

I rumori di fondo, i colpi sulla porta, le voci fuori campo, come l’intimidazione della polizia fanno da raccordo sonoro alla storia della donna narrata attraverso diversi flashback. Recatasi nella fabbrica dove lavora per richiedere la paga che non le veniva versata da quattro mesi, Leila si ritrova coinvolta in scontri tra gli operai e la polizia, perde di vista il figlio nel momento in cui viene caricata sul blindato della polizia. Dopo aver chiesto disperatamente al poliziotto di fermare il furgone, hanno un incidente, uno scontro contro un camion, non si capisce la dinamica. Insieme a lei altri prigionieri rimangono feriti. A quel punto riesce a scappare e la vediamo rifugiarsi nella casa di Ali.

Se con Il dubbio – Un caso di coscienza (Bedun-e tārikh, bedun-e emzā, 2017) e con Un mercoledì di Maggio (Čahāršanbe, 19 ordibehešt, 2015), presentati entrambi in Orizzonti alla Mostra del cinema di Venezia, Vahid Jalilvand si concentra sulla corruzione, la miseria e l’ineguaglianza sociale mettendo i personaggi di fronte fin da subito a divisive scelte morali, in Beyond the Wall (Shab, Dakheli, Divar) questo medesimo meccanismo è celato da un intricatissimo incastro di linee narrative. Se la forma allegorica è diventata uno strumento di critica sociale contro il regime iraniano, per svincolarsi dalle strette maglie della censura, è anche vero che ha portato ad una vera e propria ridefinizione del linguaggio stesso, come dimostra anche la struttura ad orologeria del cinema di Asghar Farhadi, ad esempio.

In Beyond the Wall, l’episodio traumatico scatenante viene rivelato solo nel finale. I segni della memoria traumatica, invece, emergono fin da subito, lasciando continuamente spiazzato lo spettatore. I flashback di Leila si intrecciano con quelli di Ali, alcuni piccoli frammenti si ripetono cambiando prospettiva ma iniziano a vacillare, a non coincidere, in atti di disremembering, che riflettono la natura traumatica dell’esperienza, immagini e suoni mentali relativi ad eventi passati ma alterati per certi aspetti. La casa diventa una prigione fisica e mentale, uno spazio coercitivo che sembra assomigliare sempre di più ad un luogo di detenzione, le persone del palazzo a dei carcerieri che sorvegliano Ali con una camera di sorveglianza.

Il particolare diventa universale e la condizione di prigionia attanaglia un paese intero, sia chi è rinchiuso dietro alle sbarre di un carcere sia chi è latitante dopo aver ritrovato il figlio ed è costretta alla vita da esule. Qualunque spazio sembra potersi trasformare in prigione, il cinema cerca quindi di portare ad un possibile scavalcamento di quel muro, di quella recinzione verso “l’aria fresca da respirare, la speranza di alzarsi”, di cui parla il regista nel commento al film.

Beyond the Wall. Regia: Vahid Jalilvand; sceneggiatura: Vahid Jalilvand; interpreti: Navid Mohammadzadeh, Diana Habibi, Amir Aghaee, Saeed Dakh, Danial Kheirikhah, Alireza Kamali; fotografia: Adib Sobhani; montaggio: Vahid Jalilvand; produzione: Ali Jalilvand; distribuzione internazionale: Michael Weber – The Match Factory; origine: Iran; durata: 126′; anno: 2022.

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