Gli ultimi anni hanno visto un vero e proprio rinascimento degli studi sul pensiero di John Dewey, nel quadro di un generale ritorno di interesse per il pragmatismo, di cui Dewey è una delle figure di riferimento insieme a Charles Sanders Peirce e a William James. Il percorso intellettuale di Dewey, che si estende tra la fine del XIX e la prima metà del XX secolo, si caratterizza tanto per la sua fecondità quanto per la sua poliedricità: Dewey non fu solo un filosofo impegnato in diverse branche di questa disciplina, dall’etica alla teoria politica, dall’estetica all’epistemologia, ma fu anche un autorevole pedagogista e una delle voci più ascoltate nel dibattito pubblico del suo tempo. Queste caratteristiche fanno sì che gli studi su Dewey non siano di natura squisitamente storica: si tratta al contrario di lavori che mettono in luce l’attualità di una riflessione ricca e originale.

Va ricordato almeno il fatto che Dewey pensa tra i primi la democrazia non solo come un sistema fatto di istituzioni e norme che regolano la vita associata, ma come un’autentica forma di vita che impregna tutti gli aspetti dell’esistenza di individui appartenenti a una società democratica di massa. Per quanto riguarda l’epistemologia, egli si sforza di superare il dualismo tra soggetto e oggetto della conoscenza, pensando il processo conoscitivo come una forma di “transazione” tra l’individuo e il suo ambiente vitale.

All’interno del pensiero di John Dewey rivestono una particolare importanza le riflessioni sull’arte e sull’esperienza estetica, così come le teorie sull’educazione. Questi due campi di ricerca condividono un aspetto fondamentale: in entrambi l’elaborazione di pensiero a proposito del concetto di esperienza raggiunge punte di profondità probabilmente superiori ai risultati che ritroviamo nei lavori dedicati ad altre questioni. L’esperienza svolge un ruolo centrale in tutta la filosofia pragmatista: si pensi all’enfasi posta da Peirce sul superamento di qualsiasi residuo di idealismo ereditato dalla filosofia moderna. Lungo un’altra traiettoria filosofica, ma con un uguale attenzione al significato dell’esperienza, William James ipotizza la possibilità di costruire una concezione del mondo tratta integralmente dall’esperienza.

Rispetto a questi primi tentativi di restituire all’esperienza il posto che le è dovuto ai fini di una comprensione del rapporto del soggetto con il mondo, il percorso di Dewey compie uno salto di qualità. Ora l’esperienza non è più un dato di fatto ovvio e diventa un processo di cui occorre comprendere la dinamica. In questo contesto torna centrale l’esigenza di avere un concetto di esperienza. È proprio nel carattere processuale che Dewey trova il tratto fondamentale dell’esperienza: in essa il soggetto giunge a cogliere il significato delle cose e a conoscerle, non mediante un’intuizione immediata, come vorrebbe l’empirismo, né per sovrapposizione di astrazioni precostituite, come vorrebbe l’idealismo, bensì attraverso un movimento espansivo, che porta il soggetto da un lato a intensificare le sue funzioni vitali e dall’altro a stabilire relazioni di scambio e di interazione, tanto con le cose quanto con gli altri.

Poiché una definizione del concetto di esperienza fa da filo conduttore a tutta la riflessione di Dewey, il suo punto di vista sull’estetica e sull’educazione acquista un rilievo particolare. Entrambi i campi di ricerca sembrano infatti far emergere aspetti centrali del fare esperienza: se nella relazione educativa è di particolare importanza la trasformazione del discente da soggetto inesperto a soggetto esperto, cioè dotato di esperienza, nell’esperienza estetica il sentimento di piacere provato per il bello sembra corrispondere alla conquista finale del “significato” della cosa esperita attraverso un percorso di progressiva e sempre più intensa compenetrazione con essa. Esperienza educativa ed esperienza estetica mettono insomma in risalto aspetti diversi, ma collegati, dell’esperienza in genere, nella misura in cui ogni esperienza ha un carattere dinamico e processuale.

Comprendere i rapporti tra estetica e teoria dell’educazione assume allora un significato particolare. A colmare tale lacuna giunge a proposito il volume di recente uscita Arte, educazione, creatività (Feltrinelli 2023), impeccabilmente curato da Francesco Cappa, professore di Pedagogia generale all’Università di Milano-Bicocca e specialista del pensiero di John Dewey: di Cappa è pure la riedizione di Esperienza e educazione per i tipi di Raffaello Cortina (2014). Il volume riunisce tutti i saggi in cui Dewey affronta il rapporto tra le arti e l’esperienza educativa, riprendendo e uniformando le edizioni parziali che studiosi, tanto filosofi quanto pedagogisti, avevano in precedenza approntato. Per questa ragione, e per una ragione teorica di fondo che enuncerò a breve, l’opera curata da Cappa getta un ponte tra l’estetica e le scienze dell’educazione, avviando un dialogo reale con esperti del pensiero di Dewey — mi limito qui a menzionare filosofi tuttora in attività — del calibro di Simona Chiodo e Giovanni Matteucci tra gli altri. Arte, educazione, creatività sarà pertanto uno strumento imprescindibile per filosofi, pedagogisti e cultori delle scienze umane, interessati a conoscere il pensiero di Dewey e scoprirne l’attualità.

Come mostra Cappa, per Dewey l’educazione va pensata come una forma di “arte”: essa «ha allora a che fare con un “imparare a vedere”, a “sentire”, il che implica un passaggio da un agire senza scopo a una vera esperienza» (Dewey 2023, p. 25). Si profila qui il carattere felicemente paradossale del rapporto tra dimensione estetica e dimensione educativa dell’esperienza. Dal punto di vista del percorso formativo individuale, fare esperienza significa rafforzare la presa sul mondo, rendendo più stabile e organizzato il percorso di individuazione che accompagna l’intera esistenza di ciascuno, specie nell’età della crescita. L’esperienza educativa insegna, in altre parole, a fissare in modo autonomo e consapevole gli scopi che determinano il corso dell’esistenza: si tratta innanzi tutto di un’educazione della facoltà di giudizio e solo in via complementare di un avviamento professionale e di un apprendimento nozionistico.

D’altronde l’opera d’arte — esibizione paradigmatica, ma non esclusiva, di un’esperienza estetica — è dotata di un’esemplare «risonanza formativa», in quanto «l’arte “intensifica” il senso della vita perché ogni esperienza che sia un’esperienza, compiuta, irripetibile e individualizzata, ha un’unità che la stacca dal continuo fluire della coscienza» (ivi, p. 23). Ma ciò è possibile perché l’opera d’arte riuscita non si chiude in un’interpretazione predeterminata, ma apre al fruitore un orizzonte di sensi possibili: è proprio l’indeterminatezza dell’opera a costituire una sfida e un esercizio per l’immaginazione e per il giudizio del fruitore.

È in questo circolo paradossale — ma felice, perché inserisce il soggetto dell’esperienza non in una singola esperienza, ma in una serie di esperienze attraverso cui costruire il proprio percorso di crescita — che si trova il punto d’incontro tra arte ed educazione. È evidente che per Dewey — come già per Schiller, forse l’autore più apprezzato dal filosofo americano tra i classici dell’estetica moderna — anche quando è in gioco una relazione educativa direttamente impegnata con un fare artistico, non si tratta solo di educazione all’arte, bensì di educazione attraverso l’arte. Sul tema dell’educazione estetica vale la pena ricordare i recenti lavori di Annamaria Contini; sull’estetica di Schiller si vedano inoltre gli importanti lavori di Giovanna Pinna.

Alla prospettiva aperta da Schiller, con il suo progetto di educazione estetica dell’umanità, Dewey aggiunge la visione concreta di un’operatività condivisa tra maestri e allievi, tra docenti e discenti, tra esperti e individui in via di formazione, secondo un processo che si sviluppa a spirale dalla sfera educativa strettamente intesa (la scuola, l’accademia, l’università) per arrivare a toccare tutte le istituzioni culturali (il museo, la galleria d’arte, la biblioteca, la fondazione) chiamate a garantire percorsi di formazione continua aperti tanto ai professionisti (artisti, designer, artigiani) quanto all’intera cittadinanza di una società democratica. Ce n’è abbastanza per far ripartire un proficuo dialogo tra le discipline filosofiche, l’estetica in testa, e le scienze dell’educazione secondo una prospettiva scientifica e civile.

Riferimenti bibliografici
J. Dewey, Esperienza e educazione, a cura di Francesco Cappa, Raffaello Cortina, Milano 2014.
J. Dewey, Arte come esperienza, a cura di Giovanni Matteucci, Aesthetica, Milano 2020.

John Dewey, Arte, educazione, creatività, a cura di Francesco Cappa, Feltrinelli, Milano 2023.

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