Attorno alla categoria di comunità si strutturano molteplici coordinate del mondo contemporaneo. Dai modi dello stare assieme, sempre più mediati da dispositivi tecnologici che rischiano di canalizzare l’esperienza sensibile ma che possono anche sollecitare nuove forme di creatività, all’invasività dei dispositivi biopolitici, capaci di esercitare un controllo sulla vita biologica, dall’intensificarsi delle relazioni a distanza ai dispositivi di sorveglianza delle frontiere: sulle comunità si indirizzano le paure ma anche i bisogni e i desideri che contraddistinguono il tempo presente. Se il paradigma comunitario è tanto caratterizzante da far emergere una nuova e rinnovata voglia di comunità (Bauman 2001), è altrettanto necessario individuare in questo bisogno una risposta all’esigenza di sicurezza. La comunità non è più soltanto il luogo del comune sentire e della comprensione reciproca, bensì uno spazio di confinamento e immunizzazione che separa e protegge i suoi membri dalla paura dell’alterità (Esposito 1998).

A partire dagli anni Duemila, le forme della collettività e i processi di costruzione e disgregazione che le caratterizzano hanno assunto una preminenza negli ingranaggi narrativi del racconto seriale. Dalle famiglie disfunzionali de I Soprano, Ozark e Succession ai drammi familiari che scavano nel tempo come This is Us, dalle comunità segnate dal trauma della perdita di Lost e The Leftovers alla messa in scena dei conflitti sociali che uniscono e dividono i gruppi all’interno degli spazi urbani come in The Wire e Gomorra – La serie, dalla società distopica di Westworld a quelle che anelano e progettano un futuro alternativo in Station Eleven: negli ultimi venti anni la serialità ci ha messo a disposizione un catalogo molto ampio di racconti sulle forme di vita comunitarie.

I mondi costruiti dalla serialità consentono ai loro spettatori di sentirsi accomunati dalla condivisione di un’esperienza e dalla possibilità di contribuire alle diverse espansioni narrative. Ecco allora che il concetto di comunità si allarga, prolungandosi al di fuori del testo e fornendo chiavi di lettura per comprendere i modi dello stare assieme e di esercitare quella creatività che prende le forme di una scrittura estesa (Montani 2020). Si pensi alle comunità di sapere frutto dell’intelligenza collettiva in Rete (Lévy 1996), da cui discendono anche le comunità mediali che secondo Henry Jenkins «si definiscono attraverso affiliazioni volontarie, temporanee e tattiche, rinsaldate da imprese intellettuali comuni e da comuni investimenti emotivi» e, pur essendo sorrette da “legami deboli”, «sono cementate dalla mutua produzione di conoscenza e dal suo reciproco scambio» (2007, p. 4). Nella cultura partecipativa l’appropriazione e la circolazione dal basso (grassroot) da parte delle comunità mediali dialoga ed è presa in seria considerazione dalle industrie culturali. Queste ultime stimolano le azioni creative delle audience, senza per questo poterle controllare nei loro sviluppi né predeterminarle a pieno, progettando testi mediali adatti alla diffusione (spreadable) anziché virali, e quindi disponibili sempre e ovunque, riusabili e di ampio interesse (Jenkins, Ford, Green 2013).

Un altro esempio di comunità, che si sviluppa attraverso la fruizione dei testi seriali, è il fandom investigativo (Mittell 2017). Il suo obiettivo è di accresce il volume dei discorsi sociali attorno alla serialità e allargane così i confini e le dinamiche transmediali. Secondo Mittell, la complessità assunta dalla narrazione seriale alimenta il desiderio spettatoriale. Un desiderio di costruire e raccontare storie, di appassionarsi a esse al punto di penetrare, con il piglio dell’investigatore, nei meandri della loro complessità per indagare i meccanismi di funzionamento del racconto, i suoi punti di forza e di debolezza, ed espandere la narrazione tra le diverse piattaforme mediali.

Immersi in una rete complessa di pratiche di visione, sempre più decentrate e distratte, gli spettatori agiscono e patiscono, condividono e rielaborano creativamente gli immaginari necessari a generare i significati e i sentimenti dello stare insieme. Se i media hanno perso gran parte della loro riconoscibilità in quanto specifici apparati tecnologici, i contenuti audiovisivi hanno assunto un ruolo decisivo nella rappresentazione dei rapporti sociali, nella costruzione della partecipazione e del senso di appartenenza. Allo stesso tempo, il formato seriale è diventato un vasto serbatoio di racconti che alimentano il bisogno di comunità e ne ridefiniscono i significati. Grazie ai mondi raccontati dalla serialità, gli spettatori si riconoscono e costruiscono comunità lungo quel confine, sempre più labile, tra soggettività e mondo, tra corpo e ambiente, che è lo schermo nelle sue molteplici declinazioni tecnologiche (Carbone 2016).

Per comprendere il nostro tempo abbiamo bisogno che venga raccontato. Sarebbe riduttivo confinare il ruolo delle narrazioni seriali a una forma di intrattenimento che conferma le paure e i bisogni degli spettatori. Le serie televisive sono una forma di rappresentazione che abita criticamente il contemporaneo: i processi di produzione e distribuzione, i temi che trattano e le modalità della loro ricezione restituiscono, nel loro insieme, un paesaggio grazie al quale è possibile osservare le trasformazioni delle forme di vita comunitarie.

Questo volume analizza le narrazioni seriali del nuovo millennio con l’obiettivo di offrire una mappatura – inevitabilmente parziale, vista la scelta di focalizzarsi su fenomeni ancora in corso – dei modi con cui le comunità si trovano rappresentate e interagiscono con esse.

Il primo capitolo prende avvio da una riflessione sulle logiche di serializzazione che hanno caratterizzato la cultura di massa e soprattutto la progettazione di contenuti audiovisivi, dal cinema alla televisione, per poi offrire degli strumenti teorici utili a orientarsi nella complessità che caratterizza le serie televisive contemporanee. La complessità viene affrontata a partire dalle proprietà riflessive del racconto seriale, che lo rendono uno spazio in cui il coinvolgimento dipende anche dalla messa in forma dei suoi stessi modi di funzionamento, e dai concetti di mondo e di ecosistema, grazie ai quali emergono sia i caratteri strutturali di apertura e replicabilità della narrazione sia la performatività dei pubblici. […]

I due capitoli successivi si focalizzano sugli eventi che hanno segnato maggiormente gli inizi del ventunesimo secolo e che hanno alterato profondamente sia i modi dello stare assieme sia la produzione e la circolazione delle immagini.

Il secondo capitolo, a partire da una ricognizione sulle rappresentazioni mediatiche dell’11 settembre 2001 e della conseguente Guerra al terrore, si concentra sull’immaginario costruito dalla serialità televisiva attorno a questa catastrofe e alle guerre che ne sono seguite, per offrire un’analisi dei modelli narrativi che hanno problematizzato la retorica della paura contro il terrorismo. È solo provando a separare il comune dai processi di autoimmunizzazione che lo minacciano, e dunque superando la metafora biologica della comunità come organismo che inasprisce le sue difese contro gli attacchi esterni a tal punto da considerare estranee le sue stesse componenti interne e così danneggiarle, che è possibile restituire allo spazio sociale il suo carattere di apertura all’alterità.

L’impatto della pandemia sulle relazioni affettive, le conseguenze sul panorama audiovisivo delle misure restrittive adottate per fermare la curva dei contagi, l’utilizzo intensivo delle tecnologie per l’interazione a distanza, sono al centro del terzo capitolo. Secondo la prospettiva mediologica da cui questo capitolo prende le mosse, la diffusione del nuovo coronavirus non ha prodotto una rottura epistemica dei paradigmi sociali, culturali e tecnologici preesistenti, piuttosto ha contribuito all’accelerazione dei processi di mediazione e rimediazione che, già a partire dal secolo scorso, coinvolgono l’esperienza sensibile. In modo tempestivo la serialità ha tematizzato gli effetti della pandemia per offrire ai pubblici storie in cui ritrovarsi, per prospettare strategie di resilienza che sopperiscano alla carenza della socialità in presenza, per immaginare futuri distopici oppure alternativi ai drammi del presente.

L’ultimo capitolo è dedicato alla serialità europea di genere crime, che viene analizzata dal punto di vista delle forme di rappresentazione, dei processi produttivi e delle strategie di ricezione. Grazie a questo approccio multiprospettico emergono le ragioni della popolarità e della longevità del crime, la sua capacità di adeguarsi a specifici contesti geografici e di renderli appetibili per un pubblico internazionale. Infine questo genere può essere pensato come un habitat narrativo per la costruzione di comunità fondate su un immaginario comune, sugli incontri culturali e sulla costruzione di memorie condivise (Anderson 1996), anche a partire dai traumi che hanno attraversato l’Europa nel Novecento.

L’intelaiatura di ciascun capitolo è fatta in modo tale da intrecciare molteplici prospettive teoriche, dai visual studies agli studi sul cinema e la televisione, con specifici eventi e processi della contemporaneità. Per comprendere la struttura delle serie televisive, le loro funzioni nel mediascape e il loro impatto sui discorsi sociali è necessario contestualizzarle all’interno dei meccanismi produttivi e delle pratiche di fruizione che le riguardano, ma è altrettanto fruttuoso metterle in relazione con le immagini e le narrazioni con cui entrano in dialogo.

Riferimenti bibliografici
B. Anderson, Comunità immaginate. Origini e fortuna dei nazionalismi, Manifestolibri, Roma 1996.
Z. Bauman, Voglia di comunità, Laterza, Roma-Bari 2001.
M. Carbone, Filosofia-schermi. Dal cinema alla rivoluzione digitale, Raffaello Cortina, Milano 2016.
R. Esposito, Communitas. Origine e destino della comunità, Einaudi, Torino 1998.
H. Jenkins, Cultura convergente, Apogeo, Milano 2007.
H. Jenkins, S. Ford, J. Green, Spreadable media. I media tra condivisione, circolazione, partecipazione, Apogeo, Milano 2013.
P. Lévy, L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano 1999.
J. Mittell, Complex tv. Teoria e tecnica dello storytelling delle serie tv, minimum fax, Roma 2017.
P. Montani, Le emozioni dell’intelligenza. Un percorso nel sensorio digitale, Meltemi, Milano 2020.

Tags     comunità, serie tv
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