Non avendo familiarità con le sfilate di moda, nel loro declinare spettacolo e mercato, mi interessa affrontare in questa nota l’aspetto plastico-visuale, l’environment creato/allestito per accogliere l’evento effimero della sfilata, curata da Alessandro Michele per la maison Valentino (che conta oltre sessanta anni di vita) in occasione della “Fashion week” di Parigi (23/09/24 – 01/10/2024). Pavillon des Folies è il titolo del defilé, definito dalla stampa come uno “scenario onirico” per le luci smorzate, le riflessioni dei corpi delle modelle, restituite raddoppiate dalle immagine sul pavimento di specchi in frantumi (mille metri quadri di superficie) che accoglie Passi, l’opera che l’artista Alfredo Pirri ha realizzato per l’evento di questa sfilata.

Il carattere che colpisce di questo, e credo che sia anche il tratto di originalità del nuovo “direttore creativo” Alessandro Michele, che fatto un gran lavoro di ricerca negli archivi della maison, è l’integrazione fra ambientazione – la scena allestita – e le presenze vive dei performer-modelli “allestiticon gli abiti e i relativi accessori di cappelli, scarpe, borse, gioielli, della maison Valentino. Il visitatore/spettatore della sfilata si trova inserito non tanto nello spazio neutro delle sfilate di moda, dove l’unica attrazione che si offre allo sguardo dello spettatore/compratore è la passeggiata delle modelle abbigliate con i capi della collezione, quanto in un ambiente in cui corpo/abito/oggetti/dècor stanno fra il bassorilievo, la scultura e l’installazione.

Pavillon des Folies è stato progettato e allestito come un complesso apparato scenico che sta in between fra la scena teatrale, l’installazione ambientale e i magazzini di antiquariato per il cinema. È un ambiente “abitabile”, in cui il visitatore-spettatore si trova cooptato in uno spazio disseminato dove non ha più l’oggetto da afferrare “a colpo d’occhio”, un formato installativo che favorisce la mobilità dei punti di vista, oltre l’implicazione percettivo-sensoriale e ludica del visitatore. Siamo in sintonia con l’estetica del nuovo millennio in cui formati e linguaggi si scambiano le proprietà, per cui il teatro da arte del tempo diventa arte dello spazio e l’evento sfilata di moda si fa arte plastica, installazione.

Lo spazio dove viene allestito Pavillon des Folies è una palestra per le gare di judo (in Avenue de la Porte de Chatillon a Parigi) dove vive in un duplice regime, ossia detiene il suo carattere di evento, animato dalla presenza delle modelle che espongono gli abiti della sfilata Valentino Spring/Summer 2025, la cui scrittura di scena e regia è di Alessandro Michele, evento cui assistono circa 500 spettatori per una durata non superiore ai18 min. I tratti sono quelli dello spettacolo performativo: scena, spettatori, performer, dimensione effimera. Nello stesso tempo è environment, perché la liveness della sfilata, assume una dimensione plastica grazie al modo in cui sono vestiti i corpi delle modelle che si integrano nell’ambiente con una postura composita e stratificata: la testa è arredata da cappelli, a volte ornati di piume esageratamente lunghe, occhiali scuri ricoprono gli occhi, le narici sono chiuse da gioielli e così anche il mento; fra le mani, oltre alle borse, dei pupazzetti che rimandano agli oggetti di affezione dei bambini, orecchini vistosi, scarpe con fiocchi, balze e scolli a cuore, calze di pizzo, giacche con paillettes, ricami vistosi, vestaglie con piume sulle maniche, pois, fiocchi, rouches di seta.

L’altro carattere di questa scrittura di scena – che si imprime efficacemente al visitatore – è la dimensione fantasmatica, qualcosa di luminoso e nello stesso tempo sfocato, di brillante e opaco (riverbero degli specchi lesionati del pavimento di Passi dove sfilano le modelle, e tendaggi chiari con pieghe e drappeggi alle ampie finestre che occludono il mondo all’esterno): mobili di antiquariato ricoperti con teli bianchi, vestigia da occultare di cui si percepisce forma e materia, fantasmi della civiltà occidentale, come voliere, grammofoni, poltrone, paralumi, paraventi con il ritratto di Garibaldi, librerie zeppe di volumi rilegati, un’arpa, un mappamondo, un forziere, un pianoforte, un cavalletto, un triclinio che connotano un tempo e un mondo trascorso e lontano. Ci sembra che questo environment/installazione abbia esaltato l’evento della sfilata in cui corpi e spazio, couture e scrittura di scena si sono sostenute reciprocamente e con eleganza.

In Pavillon des Folies si riscontra una polarità in cui l’horror vacui dello spazio stracolmo convive con l’azzeramento dato dal fatto che tutte le testimonianze di un mondo non più agito, abbandonato, diventano invisibili grazie alle stoffe che le velano. Polarità che viene espressa anche dalle parole della passacaglia della vita di anonimo autore che recita, nella versione originale: “Bisogna morire”, modificata nella versione che ascoltiamo al Pavillon in “bisogna gioire”. Dunque, cancellare le tracce della vita, trasformare le variate e vivaci forme della vita quotidiana con le velature: il Pavillon mette in scena questa ambivalenza e questa duplicità del vivente che si presta a trasformarsi in inerte, che si spezza e si rompe e che in questa azione acquista una nuova linfa, quella della trasformazione, del divenire. E allora, se questa è una ipotesi plausibile, il Pavillon des Folies allestisce un ambiente in cui si rappresenta il trascorrere del tempo e il tentativo di congelarlo, privarlo delle trasformazioni e renderlo uniforme.

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