Nel 1997 Laurent Jullier faceva coincidere l’uscita di Guerre stellari (G. Lucas, 1977) con l’avvento simbolico della stagione postmoderna nel mondo del cinema. A 46 anni dalla sua uscita, e a 26 dalla teorizzazione dello studioso, Star Wars appare non più solo come un evento di rottura all’interno della storia del cinema e delle intersezioni con altri media, ma come una cartina di tornasole che mostra lo stato di salute e le traiettorie delle svolte ecosistemiche vissute dalla serialità tout court.

Il franchise della galassia lontana lontana, nel tempo, si è infatti sviluppato facendo sistema tra una serie di pratiche poi incorporate da molti blockbuster e, in generale, da un certo cinema mainstream americano, che sono poi andate ad incidere nel mediascape internazionale in più settori: si pensi almeno alla brandizzazione del worldbuilding, alla spiccata tendenza alla transizione dal prodotto-film al franchise transmediale, alle partnership con altri settori dell’industria culturale, all’influenza pervasiva nell’immaginario, al crossover con pratiche di gaming e all’infinita possibilità di espandere segmenti narrativi tramite logiche sia top-down che bottom-up.

Anche la miniserie Ahsoka, l’ultimo (ad oggi) prodotto targato Star Wars, strutturata in otto parti e trasmessa su Disney+ tra agosto e ottobre 2023, sembra confermare questa ipotesi, rappresentando un ottimo esempio della nuova sistematicità ecosistemica degli universi seriali complessi. Questo livello è raggiunto grazie al rinsaldamento dei due macro-orientamenti intrapresi dal brand con l’acquisizione di Lucasfilm da parte di Disney nel 2012, ossia il ripristino di quello sguardo unificatore top-down su un piano direzionale, organizzativo e autoriale che era venuto meno negli ultimi anni della gestione di George Lucas (questo nonostante il creatore abbia tentato più volte e in modi diversi di dare coerenza a una continuity fortemente frammentaria, minacciata da prodotti, personaggi, pianeti e vicende tra le più disparate tra loro), e la messa in atto di un tentativo (neanche mai troppo velato) di reboot dei materiali narrativi originali per permettere al franchise di acquisire nuovi fan, e soprattutto di accrescere la fidelizzazione dei vecchi o di quelli che, negli anni della trilogia prequel (1999-2005), sembravano aver perso interesse per le vie della forza. Ahsoka rientra consapevolmente e con grande maturità in questo nuovo percorso, intraprendendo però una nuova direzione narrativa che sembra portare il franchise ad evolversi dal circoscritto Mandoverse, costruito tra il 2019 e il 2023 e già ricolmo di citazioni ai grandi personaggi della saga originale, ad un più ampio e complesso Starwarsverse, un ecosistema ancora tutto da costruire.

La trilogia seriale di The Mandalorian e il corollario The Book of Boba Fett, che avevano riscosso un buon successo di pubblico (soprattutto le prime due stagioni della serie madre) riuscendo a rinvigorire il franchise con la sedimentazione di personaggi inediti nell’immaginario delle nuove generazioni, ha infatti occupato – per usare le parole del duo Favreu-Filoni, a cui è attribuibile la paternità autoriale di questo universo – un segmento piuttosto ristretto della continuity, quello tra la fine della trilogia originale e l’inizio della trilogia sequel, andando al contempo a recuperare alcune linee narrative nate in prodotti a cui il pubblico era particolarmente legato (su tutte, la serie animata The Clone Wars).

Con Ahsoka, la Disney procede per la medesima strategia ponendo al centro della narrazione un personaggio inventato da Lucas (e poi alimentato narrativamente da Filoni) amato da tempo dai fan, andando sì ad occupare il medesimo segmento cronologico, ma legando le nuove vicende a linee narrative del passato provenienti sia da prodotti ufficialmente riconosciuti (ancora The Clone Wars, di cui vengono ricreate alcune sequenze in live action, con rimandi che vanno dall’easter egg alla pura prosecuzione narrativa, ma soprattutto Rebels, serie animata di cui Ahsoka si configura come una nuova stagione in live action), che attingendo a quelle Legends messe fuori canone dalla Disney stessa.

Il risultato è un prodotto narrativamente poco autonomo, le cui vicende dei protagonisti (Ezra, Sabine, Thrawn e persino la stessa Ahsoka) diventano complesse da seguire se non si conoscono le linee narrative del passato. Eppure, la serie manifesta una sua specifica forza eversiva recuperando, come non avveniva da tempo nel franchise, l’intuizione mitologico-esoterica originale di Lucas, intorno alla quale è costruita una storia che si salda profondamente alla mitologia starwarsiana su un piano etico, intimistico e persino religioso, allargando però la traiettoria originale tramite un’esplicita ricerca cosmogonica mai così apertamente intrapresa in un prodotto live action, che riesce a mettere d’accordo i fan ancora di più che le prosecuzioni di segmenti il cui arco, invece, sembrava ormai esaurito (è il caso dello scarso successo della mini-serie Obi-Wan Kenobi, nonostante l’alto potenziale emotivo impiegato, e del poco interesse nei confronti della storyline principale di The Book of Boba Fett).

La stessa protagonista togruta appare, nella sua maturazione sia fisica che caratteriale (sottolineata da un’interpretazione particolarmente efficace di Rosario Dawson, che si fa ancora più solenne dopo l’evoluzione di sapore tolkeniano al termine della quinta parte), come un’anamnesi del fan stesso di Star Wars: cresciuta e messo da parte il suo carattere irriverente tipico della giovane età, si trova ella stessa a dover compiere sia grandi scelte da cui dipende il futuro della galassia (anzi, di due galassie), che piccole scelte, soprattutto nell’educazione dell’apprendista Sabine, che non solo rappresenta un anello di congiunzione con la vicenda di Mandalore, ma mette la sua stessa maestra nella condizione di rivedere retrospettivamente il suo ruolo di allieva poco conforme agli ordini costituiti.

Pur apparendo relativamente poco sullo schermo, soprattutto se si pensa al fatto che la serie porta il suo nome nel titolo, la parabola dell’atipica Jedi riesce così a fare breccia nella leggenda di Star Wars anche laddove la Rey protagonista della trilogia sequel (2015-2019) ha invece faticato. Le ragioni stanno in una capacità maggiore, da parte degli showrunner, nel far convergere tra loro molteplici linee narrative con una coerenza diegetica notevole anche sul piano espressivo (Taylor Gray nei panni di Ezra e Lars Mikkelsen in quelli di Thrawn non solo rievocano a livello estetico e figurativo i loro predecessori animati, ma riescono a ricostruirne anche l’anima, il temperamento e lo spirito), e soprattutto nella paziente sinergia mostrata nel saldare traiettorie ecosistemiche che permettono al Mandoverse di svincolarsi dalla vicenda mandaloriana e di aprirsi all’intero cosmo di Star Wars. A questo intento contribuiscono anche alcune brevi schegge di immaginario starwarsiano che si inseriscono nel tessuto narrativo senza soluzione di continuità, rappresentate per esempio dalla corposa ma discreta e dosata presenza dello Anakin Skywalker di Hayden Christensen, ma anche dalla citazione della principessa Leila in bocca a C3PO ad apertura della parte sette.

Ahsoka appare allora come un prodotto che si inserisce consapevolmente in un mito e in una serie di leggende che, per rifarsi all’Han Solo de Il risveglio della forza (2015), non sono solo storie, ma sono “vere, tutte vere”. Con questa nuova miniserie il nuovo Starwarsverse si configura come un saldo ecosistema che riconduce la transmedialità allo schermo, piccolo e grande, contribuendo a riportare Star Wars ai fasti originali di quel formato audiovisivo che lo ha sedimentato nel mito, recuperandone l’essenza esoterica e dando nuova linfa a personaggi che il grande pubblico affezionato al prodotto-film ancora non conosce, e che sembrano poter generare nuove storie.

L’inquadratura finale del Baylan Skoll del compianto Ray Stevenson, misterioso force user e villain della miniserie, sembra esprimere al meglio la nuova direzione della Disney: il pubblico, condividendo lo sguardo dell’apprendista Sith, appare in ricerca con lo sguardo rivolto verso un’area misteriosa che potrebbe racchiudere l’origine della mitologia starwarsiana – e chi ha visto Clone Wars lo capirà ancora meglio – ossia l’origine della Forza. Il brand allora, più consapevole del suo passato, ri-disegna, ri-configura e ristabilisce le sue fondamenta (dopo averle ribadite tramite riferimenti alla forza, alla magia e al tripudio di spade laser, e ampliate spostandosi in una nuova galassia) partendo cosmogonicamente da una ricerca delle origini che si muove nel presente diegetico senza ripiegarsi su personaggi ormai non più sviluppabili, pur occupando il medesimo e limitato spazio cronologico.

In questo modo, Ahsoka mostra il carattere auto-moltiplicativo e replicante del brand, che Filoni e Favreu sono riusciti a ristabilire ricreando quel «tessuto connettivo» (Sunstein 2016, p. 209) che i primi prodotti targati Disney avevano faticato a realizzare; in questo modo, con la vicenda della Jedi (indubbiamente destinata a proseguire sul grande o sul piccolo schermo) il franchise sembra aver intrapreso una strada e una scelta non facile, ma giusta, imparando da quel “maestro” Lucas a cui i due showrunner e registi sembrano assomigliare sempre di più, proprio come quell’Ahsoka che, sul finale, viene provocatoriamente paragonata da Thrawn al suo maestro Skywalker, prima di lasciarsi andare ad una sentenza di «lunga vita all’impero» che ci mostra come il mito starwarsiano possa, ancora oggi, intercettare le istanze attive nella nostra società con una risposta sia mistica che epica e politica.

Riferimenti bibliografici
H. Jenkins, Cultura convergente, Apogeo-Maggioli, Milano-Sant’arcangelo di Romagna 2007.
L. Jullier, Il cinema postmoderno, Kaplan, Torino 2006.
G. Pescatore, Ecosistemi narrativi. Dal fumetto alla serie TV, Carocci, Roma 2018.
C. R. Sunstein, Il mondo secondo Star Wars, Università Bocconi Editore, Milano 2016.

Ahsoka. Ideatore: Dave Filoni; interpreti: Rosario Dawson, Natasha Liu Bordizzo, Mary Elizabeth Winstead, Ray Stevenson, Eman Esfandi, Lars Mikkelsen, Hayden Christensen; produzione: Lucasfilm; distribuzione: Disney+; origine: USA; anno: 2023.

Tags     ecosistemi, Star Wars
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