Parigi, 2019. Il più grande sciopero dei trasporti dagli anni ottanta. Un evento ancora non raccontato e che pure ha saputo sconvolgere una città per mesi nel pieno dell’attività lavorativa.
Questo il contesto di À plein temps, secondo lungometraggio di Eric Gravel dopo una carriera di direttore della fotografia. Julie vive in un piccolo paese nella campagna parigina con due figli, è divorziata e ha abbandonato un lavoro da statistica per prendersi cura della famiglia, finendo capo-governante in un hotel di lusso. Quando finalmente riesce ad ottenere un colloquio per tornare a lavorare per la disciplina per la quale si è formata, “la grève” colpisce progressivamente e irrimediabilmente Parigi rendendo alla donna quasi impossibile spostarsi per raggiungere la città.
Quello che colpisce del film di Gravel è senza dubbio la capacità del regista di trattare il movimento dei mezzi di trasporto e in generale dei corpi nello spazio (En mouvement, non a caso, sarebbe dovuto essere inizialmente il titolo del film). Il movimento dei treni all’alba per “la ville”, quello dei metró, dei pullman, dei taxi, delle macchine abbordate in autostop che gradualmente diventano necessari surrogati per raggiungere l’hotel o, la sera, tornare dai bambini. Julie non fa, e non può, che muoversi dalla periferia al centro e dal centro alla periferia, testimoniando una vita pendolare scandita da ritmi forsennati e spesso disumani anch’essi di rado affrontati dal cinema (perlomeno in modo esclusivo, come in questo caso).
Interessante è l’utilizzo del sonoro in diretta connessione con lo “stato di moto” della protagonista. Quando Julie si sposta velocemente da un posto all’altro o riesce in un soffio a salire sull’ultimo bus, i suoi ansimi e il sottofondo metropolitano avvolgono lo spettatore in una bolla sonora volutamente accentuata, quasi a far prevalere il rapporto “moto-suono” rispetto a quello “moto-immagine”. Non è tanto sulla vista di Julie che corre che ci concentriamo, quanto sul suo essere sensorialmente dentro il movimento, in primo luogo attraverso l’udito. Questo diventa tanto più evidente quando nei pochi momenti di pausa (la sala del colloquio, il post-telefonata in cui le viene detto che ha passato la selezione, i bagni serali nella vasca, l’attesa silenziosa dei treni) l’immagine è come svuotata all’improvviso del corpo sonoro e dunque in qualche modo del suo stesso corpo di immagine, fluttuando quasi senza gravità in una dimensione ormai priva di peso, evanescente, ubriaca del vuoto che finalmente si concede.
Ma ancor più radicale è un altro legame: quello tra moto e narrazione. La storia è semplice, l’intreccio esiste appena. Julie, quasi sempre sola, ingloba nel vortice del suo movimento le persone che compaiono nella sua vita quotidiana: il padre dei suoi figli perennemente assente, la baby-sitter che non sopporta più i suoi ritardi, l’amica che gestisce un locale e si lamenta di non vederla più, le colf che lavorano con lei in albergo, la capa che minaccia costantemente di licenziarla, l’usciere dell’albergo con il quale gioca a “strappare le regole”. Tutti questi personaggi sembrano in qualche modo diventare emanazioni del suo moto: le loro identità, sfiorate dal passaggio veloce e metodico di Julie, assumono la forma di punti nello spazio che vivono unicamente della tangenza con la protagonista. Sembra in alcuni casi di assistere ad una danza, aiutata da una macchina da presa che segue la donna senza mai discostarvisi, alla quale chiunque si trovi a far parte è obbligato a rispondere con un passo che sappia incastrarsi esattamente nella coreografia che richiedono i movimenti. Non c’è dunque un reale «tempo del racconto», ma piuttosto un “tempo del moto” a cui la narrazione deve piegarsi, rinunciando a frenare la linea continua della corsa e tentando piuttosto di costruire le sue svolte dentro gli angoli dettati dalla dinamica dei corpi.
Ci sono tre momenti, tuttavia, in cui il movimento si rompe rigettando fuori dallo spazio i corpi assuefatti fino a quel momento dal suo incedere. Il primo, in cui il corpo del figlio maschio di Julie, mentre salta sul tappeto elastico che la mamma gli ha regalato per il compleanno, sbaglia la mira e viene lanciato fuori dal tappeto, “tradendo” letteralmente la continuità dell’azione con una caduta secca fuori di essa e “risvegliando” Julie dal suo moto perpetuo. Il secondo, quando Julie bacia il padre di un compagno di classe del figlio, ex militare e manifestante che le ha fatto da tassista qualche giorno prima, interrompendo le sue parole e lasciandolo stordito da un gesto inaspettato. In effetti è interessante constatare che i gesti capaci di rompere il moto debbano essere gesti di una certa irruenza: il trauma della caduta, il movimento poco naturale a cui Julie si abbandona nel baciare l’uomo, quasi a forzare una frenata nell’ordine delle cose.
In questi casi alla linea del moto si sostituisce la circolarità sospesa dell’imprevisto, che spezza la cieca direzione del movimento riannodando lo spazio narrativo in una prospettiva sconosciuta, ignota, che per forza di cose non conosce ancora direzione. Ecco perché l’ultima inquadratura ci sembra appropriata: Julie, ormai senza lavoro, porta al Jardin d’Acclimatation i bambini, ed ecco che, quando oramai non nutre più speranza, quando il sogno sembra anch’esso essere finito nelle morse di un movimento che incurante l’ha superato e lasciato indietro, arriva la telefonata in cui le viene detto che per quel lavoro è stata scelta. Dietro di lei vediamo la giostra su cui divertiti i bambini richiamano la sua attenzione. La ruota gira, la linea è tornata circolo. Forse si comincia a vivere davvero solo nella temporanea assenza di movimento.
À plein temps. Regia: Eric Gravel; sceneggiatura: Eric Gravel; fotografia: Victor Seguin; montaggio: Mathilde Van De Moortel; scenografia: Thierry Lautout; costumi: Caroline Spieth; musica: Irène Drésel; interpreti: Laure Calamy, Anne Suarez, Geneviève Mnich, Nolan Arizmendi, Sasha Lemaitre Cremaschi; produzione: Novoprod Cinema (Rapahaëlle Delauche, Nicolas Sanfaute), France 2 Cinéma, Haut et Court Distribution; origine: Francia; durata: 85′; anno: 2021.