Qualche anno dopo lo straordinario documentario di Raoul Peck I Am Not You Negro (2016) sullo scrittore e intellettuale James Baldwin, è recentemente uscito A Choice of Weapons: Inspired by Gordon Parks (2021), diretto da John Maggio e visibile su Sky, che celebra un’altra delle figure afroamericane più significative del secolo scorso. Musicista, romanziere, sceneggiatore, regista, pittore, Gordon Parks (1912-2006) fu soprattutto fotografo e attivista. Primo afroamericano a entrare, nel 1948, nel team di LIFE, Parks era talmente convinto che la macchina fotografica potesse mostrare le ingiustizie e le distorsioni della società con la potenza di un’arma, che nel 1966 intitolò la sua autobiografia A Choice of Weapons. Sintetizzando fin dal titolo l’essenza del suo omaggio a Parks, John Maggio raccoglie testimonianze di illustri fotografi, giornalisti, fotoreporter, registi che hanno trovato in Parks un’inesauribile fonte di ispirazione e di insegnamenti tecnici, sociali, politici e umani. In alcuni casi ne mostra anche il lavoro sul campo. Oltre a registi del calibro di Spike Lee e Ava Du Vernay vediamo dunque all’opera anche diversi fotografi tra cui David Allen, Jamel Jabazz e LaToya Ruby Frazier che, per un reportage sull’acqua al piombo di Flint, segue le vicende di una ragazzina e di sua madre, delle quali diventa amica intima, nella loro migrazione “inversa” dal Michigan al Mississippi.
Il bisogno di instaurare un rapporto di fiducia reciproca con i suoi soggetti fu una lezione che Parks imparò soprattutto durante il suo impiego nel Work Progress Administration – il programma istituito da F.R. Roosevelt negli anni ’30 per alleviare la disoccupazione – quando nel 1942 seguì per mesi la vita di Ella Watson, la donna delle pulizie incontrata nella sede del WPA a Washington. Ne scaturì una delle sue serie più iconiche, intitolata American Gothic come l’altrettanto iconico quadro di Grant Wood del 1930 – quello del contadino con il forcone e la donna con il cammeo davanti alla casa con la finestra gotica –, rappresentativa sia dell’unicità sia dell’emblematicità della quotidianità di Ella che, nella foto più famosa della serie, è ritratta con scopa e spazzolone sullo sfondo della bandiera degli USA. Uno scatto, un titolo ed ecco arrivare come un proiettile il confronto tra l’America bianca, rurale e religiosa che ha sempre orgogliosamente lavorato per il benessere della propria famiglia, e l’America nera il cui lavoro è sempre stato a esclusivo beneficio dei bianchi. L’approccio adottato con Ella fu quello che Parks usò preferenzialmente in tutta la sua carriera: sia che fotografasse, come vediamo nel film, il giovane leader di una gang di Harlem Red Jackson, che la ricca e famosa Gloria Vanderbilt, o Malcolm X o ancora Muhammed Ali.
Maggio si sofferma anche sull’attività cinematografica di Parks, che nel 1969 fu il primo regista afroamericano di una major hollywodiana con The Learning Tree (Ragazzo la tua Pelle Scotta), tratto da un suo romanzo semi-autobiografico sulle tragiche vicende di alcuni adolescenti neri nel Kansas razzista degli anni ’20. Nel 1971 fu la volta del poliziotto nero Shaft, protagonista dell’omonimo film, il cui tema musicale valse un Oscar a Isaac Hayes e dal quale, pur senza volerlo, prese il via il filone commerciale prevalentemente violento con protagonisti di colore noto come blaxploitation.
Ma il valore aggiunto del documentario si deve a una ricerca della Gordon Parks Foundation e dell’Art Institute di Chicago che nel 2016 sfociò nella mostra e nel libro Invisible Man: Gordon Parks e Ralph Ellison in Harlem, curati da Michal Raz-Russo, che non a caso Maggio sceglie come una sorta di Virgilio. Ricostruendo due progetti – Harlem is Nowhere (1948) e A man becomes Invisibile (1952), pubblicati in modi molto mutilati e diversi rispetto alle intenzioni e realizzazioni, quella mostra, che ebbi modo di vedere a Chicago, portava alla luce importanti aspetti ancora sconosciuti del lavoro simbiotico di Parks ed Ellison, che avrebbe poi avuto riflessi importanti sulle rispettive carriere. Harlem is Nowhere diede un sostanziale contributo sia all’assunzione di Parks a LIFE sia all’immortalità letteraria conseguita da Ellison con Invisible Man del 1952. Può dunque valere la pena soffermarsi su quei progetti, sacrificati nell’economia del film, ma utili a integrazione della sua visione.
Anche Ralph Waldo Ellison (1914-1994) era dotato di un notevole eclettismo artistico grazie al quale riuscì, come Parks, a sfuggire alla miseria e al probabile destino di delinquenza così comune tra i giovani neri. Pur lavorando entrambi per il WPA, i due si incontrarono ad Harlem, dove si erano trasferiti negli anni ’40 – come altri artisti, scienziati e intellettuali neri tra cui lo scrittore Richard Wright – per far rivivere il movimento culturale dell’Harlem Renaissance che aveva avuto il suo fulgore nei primi due decenni del 1900.
Con la Grande Migrazione degli ex-schiavi le città del nord si erano ingrandite creando una nuova topografia razzialmente divisa e Harlem, polo di attrazione per persone di cultura e artisti di ogni disciplina, era diventato il fulcro della lotta per i diritti degli afroamericani e dei tentativi di sfatare gli stereotipi imperanti sulla loro razza. Quelli stigmatizzati ad esempio in Birth of a Nation (1915) di D.W. Griffith – al cui enorme successo contribuì anche la propaganda del presidente Woodrow Wilson – dove l’uomo di colore era il bonario servitore e/o clown dei bianchi, inconsapevole della propria condizione e quindi stupido, o lo scaltro approfittatore, o il violento per natura. Quando poi arrivò la Grande Depressione, Harlem subì un progressivo degrado, tanto che negli anni ’40 la stampa mainstream ne fece il simbolo nazionale della criminalità e della devastazione sociale ed economica, senza nemmeno tentare di indagare gli aspetti psicologici dei suoi abitanti.
Richard Wright, che nel 1945 replicò il successo di Native Son (1940) con Black Boy, sosteneva che decenni di false rappresentazioni avevano compromesso l’auto-percezione degli afroamericani, e metteva in diretta relazione la mancanza di servizi sociali con le condizioni di degrado che portavano alla criminalità. Pertanto nel 1946 fondò la Lafargue Clinic, prima istituzione psichiatrica non segregata, che aveva sede in alcune stanze dello scantinato di una parrocchia episcopale di Harlem messe a disposizione gratuitamente. Un altro centro psichiatrico fu aperto dai coniugi Drs. Kenneth e Mamie Clark, inventori del Doll Test, in cui si chiede ai bambini di scegliere tra un bambolotto bianco e uno nero. Di quel test – determinante nella sentenza della Corte Suprema del 1954 Brown vs Board of Education per la desegrazione scolastica – nel 1947 Gordon Parks scattò le foto per il reportage Problem Kids della celebre rivista nera Ebony.
Fu anche per quegli scatti che nel 1947 Ellison, pur essendo un un bravo fotografo, pensò a Parks come partner ideale per il progetto che stava elaborando, Harlem is Nowhere, incentrato sulla Lafargue Clinic: fotografare la vita quotidiana della gente di Harlem e accompagnare le immagini con didascalie che dessero loro un valore simbolico. Concentrando l’attenzione sugli aspetti psicologici comuni a tutti senza distinzioni razziali, Ellison voleva fare di Harlem un’allegoria che rendesse i suoi abitanti l’emblema della complessità della vita contemporanea americana, dando inizio anche a un nuovo tipo di fotogiornalismo. Come scrisse a Richard Wright: «Sto lavorando su un pezzo che descrive come le condizioni sociali di Harlem rendano la clinica una necessità. Ho steso un progetto da realizzare con fotografie che dovrebbero rappresentare qualcosa di nuovo nel fotogiornalismo – se Gordon Parks riesce a catturare quegli aspetti di Harlem che a me sono così chiari.»
Negli appunti sulla Lafargue Clinic, Ellison sottolineava come l’alienazione degli afroamericani, estranei ai normali processi della vita nazionale e sociale, fosse accentuata dall’impossibilità di accedere a istituzioni e cure così necessarie all’individuo della moderna società urbana e industriale. La macchina fotografica doveva dunque catturare «l’affollamento, la delinquenza, il disagio familiare, la disoccupazione», rimandando a «quegli aspetti della vita di Harlem che appaiono nei sogni dell’individuo come simbolo (tunnel sotterranei, labirinti, scantinati, scale rotte, corridoi lunghi e stretti, poliziotti bianchi, distruzione). Essi non sono sogno, bensì la realtà per più di quattrocentomila americani.»
La sintonia tra i due artisti si concretizzò in una magica circolarità. Le indicazioni di Ellison trovarono nelle foto di Parks un’aderenza sorprendente, dando il via ad Ellison sia per le didascalie e per Il saggio di Harlem is Nowhere, sia per alcuni capitoli cruciali di Invisible Man. A sua volta il romanzo fu punto di partenza per il secondo progetto simbiotico tra i due amici, che doveva illustrare le vicende del protagonista del libro di Ellison. In quel caso furono le foto costruite artificialmente e quelle prese dalla realtà a compenetrarsi, a volte a confondersi, sintetizzando nuovamente quell’unione tra realismo e simbolismo perfettamente conseguito in Harlem is Nowhere.
Purtroppo però i due progetti ebbero tristi destini. Nel 1948 The Magazine of the Year, che doveva pubblicare Harlem is Nowhere, fallì poco dopo la consegna del dossier, che andò disperso. Fortunatamente Parks aveva delle copie di diverse foto grazie alle quali trovò il coraggio di presentarsi a LIFE ottenendo il suo primo ingaggio con il reportage Harlem Gang Leaders, che contiene anche foto di Harlem is Nowhere tra cui quella di apertura che raffigura Harlem come un labirinto. Come sentiamo in uno degli spezzoni in cui Parks compare nel film, la sua convinzione giovanile secondo cui un nero doveva essere dieci volte più bravo di un bianco di modo che risultasse impossibile non assumerlo, si erano profeticamente realizzate. Tuttavia l’impiego a LIFE non solo suscitò controversie in quanto la rivista identificava l’americanità con la razza bianca prevalentemente di origine anglosassone e con le sue abitudini, certezze e ambizioni, ma non fu sempre facile per Parks poiché spesso i reportage venivano sottoposti a un editing che modificava le sue reali intenzioni. Comunque fu grazie ai suoi servizi fotografici neri che Parks costrinse almeno parte di dell’America bianca a prendere atto del fatto che l’americanità era una medaglia con facce estremamente disuguali.
Quanto agli scritti di Ellison per Harlem is Nowhere, essi vennero pubblicati nel 1964 sotto forma di saggio e senza le foto di Parks in una raccolta di scritti dell’autore. Le enormi mutilazioni di A Man Becomes Invisibile vennero invece inflitte proprio da LIFE, che aveva commissionato il reportage ma che lo ridusse a tre sole pagine con quattro foto accompagnate da brevi note di redazione.
A Choice of Weapons: Inspired by Gordon Parks. Regia: John Maggio; fotografia: Joe Arcidiacono, Clair Popkin; musiche: Gary Lionelli; interpreti: Kareem Abdul-Jabbar, Jelani Cobb, Anderson Cooper, Ava DuVernay, Nelson George, Spike Lee, Latoya Ruby Frazier, Bryan Stevenson; produzione: HBO Documentary Films, Ark Media; distribuzione: HBO; origine: USA; durata: 89’; anno: 2021.