L’opera d’arte site-specific, ormai da qualche decennio, è portatrice di valori estetici, tematici, formali di altissimo significato, tanto da poterle assegnare, a mio avviso, più di qualsiasi altra forma espositiva in ambito museale o in galleria, il valore di senso artistico complesso e compiuto in epoca contemporanea. Che sia di carattere ambientale e naturalistico o nel chiuso di uno spazio specifico, l’opera si carica di un portato semantico straordinario e si fa interprete della storia e della memoria del luogo per cui è pensata e di cui si fa specchio e riflesso.

Il Monte dei Pegni o dei Panni Santa Rosalia di Palermo, sito all’interno di Palazzo Branciforte, è uno spazio unico, sovrastato dalle scaffalature lignee, in cui scalette, ballatoi e corridoi, carrucole e montacarichi si inerpicano fin sul tetto, creando una scenografia densa di narrazioni, un caleidoscopio di linee verticali e orizzontali in legno grezzo che gridano ancora oggi la sofferenza e la disperazione della povera gente che impegnava la roba in cambio di poco denaro per la sopravvivenza. L’impatto con queste stanze è per il visitatore pregno di emozioni forti, di disagio e inquietudine al tempo stesso, al quale nessuno rimane indifferente. E per gli artisti è forse una delle sfide più difficili, ma rara e straordinaria come nessun’altra.

You Whom I Could Not Save è il titolo che William Kentridge ha scelto per la sua opera site-specific al Monte dei Pegni Santa Rosalia di Palermo, mostra a cura di Alessandra Buccheri e Giulia Ingarao. Un lavoro potente, che si insinua nelle architetture piranesiane del Monte, lasciando un’impronta indelebile, un segno che si incide nel cuore e nella mente, veicolando una messa enorme di riferimenti letterari, sonori e visivi.

L’artista sudafricano è un autore eclettico, con una altissima capacità di mescolare media ed espressività. L’influenza del cinema, dall’animazione in stop-motion ai primi effetti speciali, si scorge nella forza suggestiva del montaggio video. Dal disegno a carboncino, che si anima grazie a un processo originato  da cancellature e ridisegni, ai film di animazione il passaggio è realizzato con una soluzione di continuità sorprendente; dal collage alla scenografia, le dimensioni non lo spaventano; dall’opera tessuta alla performance, tutto è concepito dalla sua mente con una competenza e maestria singolari. È l’attuazione dell’opera d’arte totale: ogni genere e ogni tecnica contribuiscono in armonia a costruire le impalcature delle sue riflessioni intorno all’esistenza, alla storia, alla memoria, al trauma provocato dalla consapevolezza di ciò che siamo stati e che forse non saremo più, dell’impossibilità di salvare gli altri e di salvare noi stessi.

Si rinnova il Gestus brechtiano: in questa situazione la pratica visuale si fa strumento citazionale e traduttivo della pratica teatrale e musicale, in un contesto ricontestualizzato, tale da offrire all’osservatore, con immediatezza, le chiavi di accesso alla drammaturgia espositiva. Mancano gli attori, sostituiti dagli oggetti, dal suono e dalle immagini in movimento, attori e performer di questa perfetta situazione comunicativa. You Whom I Could Not Save, listen to me è composta da sedici disegni, cinque arazzi, sei sculture, due video e una architettura sonora – una grammatica del suono, come la definisce Kentridge – che determina la completa immersività negli spazi, un montaggio di canti e suoni, che si diffondono con una perfezione acustica assoluta, e scandiscono e accompagnano, con il ritmo delle cantilene, con la profondità delle voci e il mélange di lingue, la visione degli oggetti e delle forme in movimento.

Kentridge è poeta dell’immagine, ma anche della sofferenza, del travaglio interiore, della perdita, tutti temi che in oltre trent’anni ha trattato con estrema sensibilità e raffinatezza intellettuale. L’opera pensata per Palermo tratta i temi del viaggio, dell’attraversamento e dell’approdo, cosicché le impalcature del monte si trasformano nelle travi dello scafo di una nave, con i suoi livelli, le scale e i passaggi. Dal ventre di questa imbarcazione si alzano i canti della storia, le parole e i volti di quanti hanno fatto di questi temi, una pagina su cui riflettere.

Già a Palermo, nel 2019, Kentridge aveva portato al Teatro Massimo la sua versione de Il ritorno di Ulisse in patria di Claudio Monteverdi, una rivisitazione dell’opera intorno al tema dell’Umana Fragilità, di come il Tempo, la Fortuna e l’Amore ne condizionano la via e come oggi la fragilità è quella dei nostri corpi. In qualche modo, la riflessione continua nella domanda che sta al centro del testo dell’installazione a Palazzo Branciforte: Perché questa epoca è peggio delle altre? E nell’angosciante e drammatica consapevolezza che non abbiamo potuto salvare nessuno. Se per Majakovskij: «La sfortuna scorre come da un acquedotto», la chiusa di Eschilo apre uno spiraglio verso il futuro: «Cantate il dolore, ma alla fine il bene prevarrà», poiché la storia è un susseguirsi di corsi e ricorsi, e alla morte fa da contraltare la vita, la via della speranza come scelta politica.

L’atmosfera è pregna di una non poco celata malinconia, che ci accompagna nella decifrazione delle citazioni che appaiono, come moniti, nelle opere video. I testi di autori ed epoche diversi, europei, russi, sudafricani formano un collage che si incastra con le figure negli anelli di un astrolabio. La scelta dell’astrolabio è un indicatore forte di senso: la macchina è un misuratore di distanze, un calcolatore astronomico delle posizioni delle stelle sull’orizzonte. E non è forse l’orizzonte il nostro traguardo quotidiano?

È l’orizzonte del viaggio che si compie, tra i cerchi rotanti dell’astrolabio come le onde che muovono la barca, su cui volti e figure, rose e stralci di carte geografiche, collage di natura surrealista, evocano i  personaggi che riconosciamo. Infatti, You Whom I Could Not Save è anche parte di un’opera teatrale in costruzione The Great Yes, the Great No, il cui tema è il viaggio compiuto da un gruppo di noti artisti e poeti surrealisti da Marsiglia alla Martinica nel 1941, per fuggire dalla Francia di Vichy e dei nazisti. Un viaggio che diventa metafora della fuga, dell’abbandono della patria, della traversata insieme a coloro che condividono un ideale, dell’incertezza tra la vita e la morte. Dal coro composto da Nhlanhla Mahlangu, con la direzione musicale di Tale Machete, le voci di sette cantanti donne funzionano come commento a questo viaggio, che noi percepiamo come l’idea di un attraversamento contemporaneo, per noi siciliani sentito fortemente come la rotta dei migranti sul Mediterraneo. Il viaggio nelle barche è terribile, l’approdo è incerto, e la salvezza è affidata al fato, non certo all’umana pietas. I megafoni disposti sui ballatoi di legno amplificano il suono, studiato per essere ascoltato sia nel suo insieme che nelle singole voci, e invade in maniera estremamente pervasiva (del resto è il fulcro dell’intera installazione) il ventre di questa visione.

La libertà immaginifica e politica evocata dal surrealismo fa da sfondo alla scelta formale del collage (Max Ernst è un riferimento preciso nel suo uomo-uccello), sia nelle carte disegnate, che nelle immagini del video e nelle sculture, dove le citazioni ai linguaggi dell’avanguardia è esplicito. Le grandi carte di un registro contabile dell’Ottocento siciliano, dove ben si notano le colonne del Dare e Avere, e che ricompongono la memoria del Monte dei Pegni, ospitano, su una meravigliosa carta porosa, i segni frenetici del carboncino con cui Kentridge dà vita alle sue figure: soggetti in fila, danzanti, in cui la contaminazione tra macchina e uomo rimanda all’ibridismo surrealista; la citazione della frammentazione, della visionarietà, in fondo non è altro che la possibilità di ricomporre nuove realtà, in chiave anticolonialista, come scrive Giulia Ingarao nel catalogo: «Il peso della cultura europea può essere stravolto, tagliato, fatto a pezzi, mescolato per sperimentare l’esistenza di forme nuove». Tra i disegni non mancano i paesaggi mediterranei, o i giardini di Palermo, a cui si aggancia la memoria di questa permanenza in città.

Gli arazzi sono un altro terreno d’indagine: la tessitura presenta delle grandi carte europee, con riferimenti storici e geografici, sulle quali si disegnano le ombre di uomini e donne in cammino. Il tema delle ombre ricorda Alessandra Buccheri: «Diventerà una costante del lavoro di Kentridge, giocando sempre sull’inversione semantica del binomio positivo-negativo e luce-oscurità». Ma è evidente che in ogni lavoro, Kentridge prende posizione, sottolineando l’inevitabilità per l’arte di avere una dimensione politica, di offrire una sponda alternativa alle ipocrisie dei sistemi di potere passati e presenti, senza tuttavia: «Fornire nuove certezze – continua Buccheri – o una nuova ideologia, ma su una decostruzione del sistema in cui l’atto creativo si configura come un metodo di interpretazione dell’intera realtà in tutti i suoi aspetti, compreso quello politico».

You Whom I Could Not Save è una mostra di grande impegno, dove le suggestioni, le evocazioni e le visioni invitano lo spettatore alla considerazione dell’arte come attivazione del pensiero, per scardinare stereotipi e per mettere in connessione, oltre ogni frontiera, i luoghi e il tempo con gli esseri umani.

Riferimenti bibliografici
A. Buccheri, G. Ingarao, a cura di, You Whom I Could Not Save, Catalogo della mostra, Kalòs, Palermo 2023 (in via di pubblicazione).
W. Kentridge, Sei lezioni di disegno. Ediz. Illustrata, Johan & Levi, Monza 2016.
F. Pasini, William Kentridge. Catalogo della mostra, Charta, Milano 2008. 

You Whom I Could Not Save di William Kentridge, a cura di A. Buccheri e G. Ingarao, 8 ottobre 2023 – 12 gennaio 2024, Palazzo Branciforte di Palermo.

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