Cinema italiano: forme, identità, stili di vita può essere considerato il punto di raccolta e di decantazione di una ricerca che ha contraddistinto gli ultimi cinque anni dell’attività di Roberto De Gaetano. Si tratta di un periodo particolarmente fecondo dei suoi studi sul passato e sul presente cinematografico del nostro Paese, in cui ha ideato il Lessico del cinema italiano. Forme di rappresentazione e forme di vita, un’opera monumentale in tre volumi che ha coinvolto un’intera comunità di ricercatori, seguendo il metodo delle parole-chiave (da “Amore” a “Zapping”) già delineato nella rivista «Fata Morgana», di cui De Gaetano è fondatore e direttore.
Come si evince fin dai sottotitoli sia di questo libro sia del Lessico, i concetti fondamentali sui quali lavora l’autore sono quelli di forma e di vita. Il cinema italiano viene esaltato quale iniziatore delle forme estetiche della modernità cinematografica, riprendendo il pensiero di André Bazin e di Gilles Deleuze. Questa primogenitura, che emerge nel dopoguerra, si lega, per De Gaetano, alle particolarità della nostra tradizione. La debolezza delle istituzioni statali e culturali ha determinato una continua vicinanza alla vita, che contraddistingue l’arte e il pensiero italiani, come sottolinea Roberto Esposito sul versante più strettamente filosofico. La mancanza di un «società stretta» – secondo le parole di Leopardi – è alla base di quel «popolo senza uniforme» che viene indicato da Godard nelle sue Histoire(s) du Cinéma per celebrare il cinema italiano del dopoguerra. All’assenza dei concetti forti di patria e di identità nazionale fa riscontro un continuo «sentimento della vita», che porta a immergersi nella contingenza, a privilegiare le dinamiche dell’esistenza su quelle della storia. In questo quadro il neorealismo comporta una continua apertura al mondo, un “incontro” – termine ricorrente nelle teorie zavattiniane, ripreso da Deleuze – con le cose e con i corpi immersi nel flusso del presente.
Le particolarità della nostra storia politica e istituzionale sono all’origine per De Gaetano di un «ethos della forma» che, al di là del periodo dell’immediato dopoguerra, si radica nel cinema italiano continuando a determinarne la grande forza espressiva ed espansiva. Nel quadro di una opposizione netta con il cinema americano, basato sulla «potenza dell’azione» e degli ingranaggi narrativi, il cinema italiano si caratterizza per essere fondato sulla «potenza della vita», che oltrepassa le dinamiche strettamente mimetiche della rappresentazione e le norme canoniche del racconto. De Gaetano si muove in un terreno pieno di ascendenze filosofiche e concettuali, che non segue itinerari storiografici e men che mai storicistici. In questo quadro l’essere e il divenire del cinema italiano si consumano alla luce di alcune idee forti, come quella di romanzesco e di scetticismo, che ritornano nel suo testo con una vera e propria “ossessività” dimostrativa.
La «potenza della vita» si manifesta nella «potenza del romanzesco» che, nell’accezione di De Gaetano, non ha niente a che vedere con la concatenazione narrativa, ma anzi la scardina esaltando l’incontro con la quotidianità e la “qualsiasità”. Il senso del romanzesco si lega alla passività di un personaggio “errante” e “veggente” (in termini deleuziani) che interroga e percorre il mondo, facendosi «intercessore» diretto dell’autore. A questo proposito uno dei riferimenti principali per esaminare la modernità degli anni sessanta diventa la teoria pasoliniana della “soggettiva libera indiretta” attraverso la quale l’autore-regista guarda la realtà con gli occhi del personaggio della finzione. Il romanzesco si connota, perciò, come immersione nella vita e nella contingenza, che privilegia gli intervalli e gli scarti tra le azioni, i gesti senza finalità, assumendo tutte quelle caratteristiche che siamo soliti attribuire all’antiromanzo novecentesco: assenza di gerarchie negli eventi, temporalità non cronologiche, azioni insignificanti, personaggi in crisi, secondo una lettura che già Proust e Lukács hanno dato dell’Educazione sentimentale di Flaubert. Citando le distinzioni di Jacques Rancière sul «regime mimetico-classico» e sul «regime estetico» della modernità, iniziato appunto da Flaubert, De Gaetano inserisce il neorealismo in questa trasformazione del romanzo che si manifesta già nella seconda metà dell’Ottocento.
Il suo passo ulteriore consiste nel collegare il neorealismo alla commedia all’italiana, sempre sulla scorta di tale attitudine romanzesca, che confligge con quella dell’epos, praticamente assente nella tradizione italiana. Le teorie di Bachtin, già utilizzate da Maurizio Grande nella sua analisi della forma commedica, forniscono la base per evidenziare il radicamento del romanzesco nell’arte comica popolare su cui si innesta la nostra commedia. Un’attenzione particolare viene riservata alle manifestazioni del grottesco, su cui l’autore si è già soffermato in precedenti studi. Sempre alla luce delle suggestioni bachtiniane, De Gaetano indaga le connotazioni delle maschere del nostro cinema le quali assumono tonalità “nere” ed esprimono un giudizio morale sferzante sulla società italiana, delineando un percorso che da Monicelli, Risi, Germi, Petri, Ferreri arriva fino a Ciprì e Maresco, Moretti, Sorrentino e Garrone.
Pur nelle sue diverse coniugazioni, il cinema italiano gli appare fondato su un persistente “sentimento scettico” nei confronti della società e della storia, che è in stretta connessione con la nostra tradizione, basata sulla lontananza dell’individuo dallo Stato e sull’assenza di una vera identità nazionale. Riprendendo le indicazioni di Leopardi, De Gaetano sottolinea la particolarità della situazione italiana, in cui la mancanza delle illusioni, che costituiscono il perno delle istituzioni socio-politiche, conduce, da una parte, a un perenne disincanto e dall’altra a una maggiore vicinanza al senso dell’«umano» e della «vita indeterminata». La prospettiva scettica si radica nelle forme del melodramma (che non costituiscono un oggetto diretto di trattazione) e della commedia di costume degli anni sessanta, mentre il genere comico-sentimentale degli anni trenta e cinquanta è ancora imperniato sulle illusioni e sui valori sociali. Attraverso il filtro della sconfitta, dell’esclusione e della privazione di qualsiasi illusione vengono lette le opere di Eduardo De Filippo così come quelle di Antonioni o di Visconti, al di là delle loro enormi diversità. Per De Gaetano esiste una terza via tra l’illusione e lo scetticismo: è quella della croyance, ovvero della fiducia nel mondo, che si manifesta assai raramente nel cinema italiano. L’esempio massimo è costituito da Viaggio in Italia di Rossellini, anche se vengono notati bagliori di positività in qualche film neorealista quale, per esempio, Umberto D. di De Sica.
Lo studio di De Gaetano è sempre propositivo, volto a rintracciare linee di continuità e persistenza tra passato e presente. Il panorama cinematografico della contemporaneità offre, ai suoi occhi, un altro terreno fertile di confronto con le forme della vita, che passa attraverso un costante spirito critico e una continua prossimità ai problemi dell’esistenza nella sua dimensione più contingente. Delineando una genealogia del cinema italiano attuale, De Gaetano riconnette i film di Bellocchio, di Martone, di Moretti, di Sorrentino – per citare solo alcuni nomi – alla tradizione italiana del romanzesco e del grottesco, che elude «ogni subordinazione al mimetico, al diegetico e al verosimile» producendo un’immagine «più reale del reale», intenta non tanto a documentare il mondo esterno, quanto a immergersi in esso e a rifondarlo.
Al di là di ogni intento descrittivo e onnicomprensivo di tipo storiografico, emerge in questi scritti un atteggiamento militante che usa la parzialità e l’esclusività degli itinerari conoscitivi come sonde interpretative, come strumenti di appropriazione e di riflessione. L’atteggiamento apertamente apologetico di De Gaetano si fonda sul riconoscimento di «un legame stretto tra i caratteri del cinema italiano e l’essenza del cinema tout court», che è basata, secondo il dettato deleuziano, sull’indiscernibilità di reale e immaginario. Così il suo libro risulta improntato su un duplice atto d’amore: per l’ontologia del cinema e per la tradizione italiana che ha portato questa ontologia al massimo grado di decantazione.
Riferimenti bibliografici
R. De Gaetano, Cinema italiano: forme, identità, stili di vita, Pellegrini, Cosenza 2018.