«Moglie-bambina in un sobborgo di Catania», così recita la laconica didascalia a pagina 21 dell’edizione illustrata di Conversazione in Sicilia. L’immagine mostra un ritratto quasi annegato negli scuri di uno sfondo imprecisato dove si cela presumibilmente l’abitazione della bambina. Che forse non è nemmeno una bambina ma è una ragazza, o forse già una donna. Impossibile decifrarne l’età, che appare comunque giovanissima nonostante il pentagramma di rughe che ne scava la fronte, segno indubitabile di una vita breve ma già segnata dalla fatica. Il muro sbreccato che fa da cornice alla foto ricalca il senso di una fatica che subiscono anche le pietre. La bambina guarda dritta nell’obiettivo, senza sorrisi, senza sfide, senza patetismi, solo con una debole curiosità, come a chiedersi che mai potranno volere da lei e quando se ne andranno questi visitatori.

Vittorini non era contento che Crocenzi avesse dedicato tanti scatti alle bambine della Sicilia, «che il diavolo se lo porti» fu l’elegante commento dello scrittore a questi soggetti, commento fatto al sodale Giovanni Pirelli in una lettera privata. Viene però naturale da chiedersi se Vittorini, prima di allora, avesse mai guardato bene i lavori di Crocenzi, quei lavori che egli stesso aveva pubblicato sul Politecnico alla metà degli anni ’40. Perché in quei «racconti fotografici» i bambini sono sempre presenti, e nelle immagini e nelle didascalie.

Quando Vittorini, all’inizio del 1950, si risolse a organizzare il viaggio in Sicilia per realizzare le fotografie che dovevano corredare la nuova edizione del suo romanzo più riuscito, edizione che sarebbe poi uscita nel dicembre del 1953, egli doveva quindi avere almeno una minima idea dello stile e delle predilezioni di Crocenzi. Ma forse non è azzardato pensare che in realtà Vittorini non tenesse in gran conto il ruolo del fotografo, ritenendolo al più un mero esecutore delle indicazioni altrui; una mancanza di considerazione che non era rivolta tanto a Crocenzi in particolare, quanto a qualsiasi fotografo di per sé. Già nel 1942 infatti, quando diede alle stampe la seconda edizione dell’antologia Americana, Vittorini, nel corredare la nuova pubblicazione con quasi 150 fotografie, non si peritò neanche lontanamente di omettere il nome degli autori nelle didascalie; e si trattava in quel caso di Walker Evans, Edward Weston, Lewis Hine e tanti altri giganti della fotografia modernista d’oltreoceano. Lo scrittore arriva anche, in un celebre (ma sarebbe meglio dire famigerato) articolo su Cinema Nuovo, a rivendicare con orgoglio il suo sprezzo per i fotografi: «a me non importava nulla del valore estetico o illustrativo che la fotografia poteva avere singolarmente ciascuna per sé», le foto anzi venivano scelte «proprio come avrei potuto scegliere, presso, dei rigattieri gli oggetti di cui ammobiliare una stanza, senza minimamente badare a provenienza, qualità, tecniche e pretese di stile».

C’è dunque poco da stupirsi della ingenerosità con cui Vittorini trattò Crocenzi al momento dell’uscita dell’edizione illustrata di Conversazione in Sicilia. Il fotografo viene degradato a “collaboratore” e il suo lavoro congedato con una rapida nota in fondo al volume. Nota densa di ambiguità che lascia addirittura trapelare l’ipotesi, del tutto fantasiosa, che fosse stato Vittorini stesso a scattare le foto. Non c’è allora da stupirsi neppure della reazione di Crocenzi, che minaccia le vie legali e che monta su un caso mediatico che si fa strada nelle cronache letterarie dei primi mesi del 1954. Crocenzi osa ciò che allora era inosabile: chiede parità di trattamento tra scrittore e fotografo, chiede di avere il nome in copertina, chiede il riconoscimento dei diritti, quelli morali e quelli pecuniari; chiede soprattutto che lo scrittore non sia legittimato a impaginare, ritagliare, modificare, le fotografie senza prima confrontarsi con il fotografo. Queste richieste vengono accolte dal mondo editoriale alla stregua di una mitomania; Valentino Bompiani ostenta indifferenza e rifiuta anche solo di parlare con Crocenzi, i critici si schierano compatti con lo scrittore irridendo le sconclusionate pretese del fotografo, i giornalisti di cronaca trattano la cosa come se fossero di fronte al proverbiale uomo che morde il cane. In molti faticano anche solo a capire le ragioni della battaglia di Crocenzi, una difficoltà che ci dice quanto la fotografia fosse subalterna alla parola scritta nella cultura visiva italiana del Dopoguerra.

Quando solo un anno dopo uscirà il celebre Un paese, pubblicato da Einaudi in una curatissima veste editoriale, i nomi di Paul Strand e di Cesare Zavattini avranno pari spazio nella copertina così come nella ricezione critica del lavoro. Si dirà che sono due casi diversi, che Conversazione in Sicilia esisteva già molto prima delle fotografie di Crocenzi, che Paul Strand era una leggenda della fotografia mentre Crocenzi un semisconosciuto fotografo delle Marche, che la consapevolezza dell’importanza delle immagini che aveva Zavattini non era paragonabile a quella di Vittorini. Tutto vero, certo. E però rimane anche la sensazione che la dura polemica tra Vittorini e Crocenzi abbia avuto un peso decisivo nell’aprire la strada a un mutamento nella concezione del rapporto tra immagine e parola scritta. Chissà se, senza la polemica di Crocenzi, una decina di anni dopo il ventenne Scianna avrebbe potuto stampare il suo nome sulla copertina delle Feste religiose in Sicilia accanto a quello di Leonardo Sciascia.

Sono passati ormai settant’anni della pubblicazione della Conversazione illustrata, abbastanza per cercare di mettere a fuoco quella vicenda con il debito distacco. Il volume, se considerato per il suo valore intrinseco, rimane uno dei più riusciti ed interessanti esperimenti di commistione tra fotografia e letteratura nell’Italia del dopoguerra ma anche di tutti i decenni successivi. Quasi una pietra miliare nel suo genere. La polemica tra scrittore e fotografo appare invece come lo spartiacque decisivo per il riconoscimento culturale della fotografia e della dignità del fotografo come autore nel nostro Paese. Dobbiamo essere grati a Crocenzi per essersi battuto in difesa di un principio che all’epoca non appariva a nessuno sacrosanto come appare oggi. Ma in un certo senso dobbiamo essere grati anche a Vittorini: senza la sua esibita insofferenza per il lavoro del fotografo, forse non sarebbe mai scoppiato il bubbone che ha portato a riconsiderare il valore delle immagini nella nostra cultura editoriale e visuale. E tanti importanti fotolibri ce li saremmo allora persi per strada.

Riferimenti bibliografici
E. Vittorini, a cura di, Americana. Raccolta di narratori, Bompiani, Milano 1942.
Id., Conversazione in Sicilia, edizione illustrata a cura dell’autore con la collaborazione fotografica di Luigi Crocenzi, Bompiani, Milano 1953.
Id., La foto strizza l’occhio alla pagina, in “Cinema Nuovo”, A. III, n. 33, 15 aprile 1954.

Luigi Crocenzi, Moglie-bambina in un sobborgo di Catania, 1950.
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