Con Vitam instituere. Genealogia dell’istituzione si conclude la trilogia che Roberto Esposito ha dedicato a questo tema. Un percorso, attraverso cui la sua lunga e articolata ricerca sui rapporti tra vita e politica ha trovato un fertile terreno di riflessione in un ambito classico, ma da lui declinato in una forma del tutto originale e innovativa, oltre che ricca di molteplici stimoli anche per interpretare questioni centrali della nostra contemporaneità.

In Pensiero istituente. Tre paradigmi di ontologia politica, del 2020, Esposito aveva messo a fuoco l’ambito in cui intendeva collocare la sua indagine sulle istituzioni: un’ontologia politica post-metafisica, che non si riferisce genericamente alla zona dell’essere che ha a che fare con la politica, quanto piuttosto alla relazione essenziale che congiunge essere e politica. I tre paradigmi indagati in questo libro hanno tutti a che fare con la necessità di un’instaurazione del politico a partire dalla constatazione della consumazione di qualsiasi fondamento metafisico e dall’urgenza di definire un ruolo del negativo, che emerge dalla mancanza di fondamento. Ma, al contrario del paradigma destituente – che per Esposito fa capo a Martin Heidegger e a una certa ricezione del suo pensiero fondamentalmente volta alla disattivazione dell’azione politica – o del paradigma costituente – che vede in Gilles Deleuze il suo promotore nell’elaborazione di una modalità costantemente creativa della politica che rischia di non trovare una forma –, il paradigma istituente mira all’elaborazione di una configurazione affermativa della politica, che si iscrive nel movimento sempre collettivo e per questo conflittuale dell’istituire, senza neutralizzare la negatività da cui è attraversato.

In Istituzione, del 2021, l’urgenza della pandemia ha implicato un fruttuoso approfondimento della relazione tra istituzioni e vita, proprio a partire dalla necessità di ripensare al ruolo della sopravvivenza senza accenti riduttivi e al carattere immunitario delle istituzioni in grado di potenziare la creatività propria della vita umana, più che negarla semplicemente imponendosi sulle libertà individuali. Si può dire che l’obiettivo di questo ultimo lavoro di Esposito sia fondamentalmente storico. Ma in gioco, qui, non è soltanto la possibilità di ripercorrere il pensiero occidentale classico e moderno semplicemente avvicinandosi alle filosofie più in armonia con una semantica istituzionale. Il punto, piuttosto, per Esposito, è quello di guardare alla stessa storia della filosofia da un punto di vista istituente. Di qui l’inevitabilità di un approccio genealogico intento all’indagine di un’origine delle istituzioni, oltre che dello stesso processo istituente proprio della vita umana, in definitiva inafferrabile con gli strumenti della storiografia o della filologia.

All’origine di questa genealogia Esposito colloca la locuzione latina di incerta provenienza vitam instituere, che dà anche il titolo al volume. Estremamente fertile è il modo in cui questo lemma viene affrontato con l’intenzione di potenziarne aspetti ancora inesplorati a partire da una critica interna della sua stessa derivazione dal diritto romano. Il valore potenzialmente emancipativo, in grado di abbracciare l’intero genere umano che l’espressione latina contiene, cozza sin dall’origine con i processi di naturalizzazione di quella stessa vita che essa esprime, perché in gioco è piuttosto una dimensione non passiva, ma essenzialmente e attivamente istituente. Nonostante, infatti, a Roma tutto sia istituito o suscettibile di istituzione giuridica, non esiste in questo contesto un processo istituente che incontri la vita senza sottoporla a dispositivi escludenti (primo fra tutti quello della schiavitù, ma ancora più problematico, perché per certi versi maggiormente paradossale, quello della patria potestas, in cui il diritto di vita e inestricabilmente connesso a quello di morte).

Esposito riflette allora sul carattere enigmatico e altamente complesso dell’espressione vitam instituere, senza mai dimenticare il duplice carattere, allo stesso tempo istituente e istituito, della vita in essa contenuto, oltre alla dimensione potenzialmente vitale delle istituzione che pure contiene. Il maggior limite del carattere “giusnaturalistico” del diritto romano viene individuato soprattutto nel fatto che oggetto delle operazioni istituenti è, qui, una natura totalmente passiva, che resta tale nel mondo cristiano fondato sul diritto romano, in quanto natura originata da Dio e normata da leggi conformi all’eterno ordine divino.

Solo con la modernità la storia irrompe nella natura, ma soprattutto tutto quanto appare naturale non risulta statico e eternamente uguale a sé. Emerge così una dimensione differente, conflittuale, da cui le istituzioni possono sorgere con risultati diversi rispetto a quelli definiti dal diritto romano. Le figure centrali di questa genealogia moderna sono Machiavelli, Spinoza e Hegel. Tre autori che non delineano un percorso continuo. Piuttosto, coerentemente al metodo genealogico seguito, rappresentano punti di emergenza di questioni imprescindibili per un nuovo pensiero istituente. Dall’interesse di Machiavelli per l’esistenza effettiva delle comunità e per i loro conflitti interni, Esposito trae il senso delle istituzioni dalla dinamica delle contingenze e delle mutazioni: è il primato dell’istituente sull’istituito  a permettere di cogliere il conflitto politico come lo spazio in movimento tra istituzione e vita.

La peculiarità dell’ontologia spinoziana, in cui la natura è l’orizzonte in cui ogni cosa è iscritta in un continuo movimento potenziante, consiste nel fatto di esprimere una condizione in cui non si dà alcun passaggio definito alla stato civile, com’è in Hobbes. In questo senso Spinoza, per Esposito, esprime il significato più intenso dell’istitutio vitae, attraverso cui il diritto di ciascuno o ciascuna coincide con la potenza di cui è capace. Una dimensione che, secondo lui, Hegel rafforza attraverso un’esplicita elaborazione della storia e dell’eticità come dimensione propria delle istituzioni nello spirito oggettivo.

L’interesse di Esposito, in definitiva, è quello di recuperare il potenziale creativo del processo istituente e i suoi possibili risvolti di innovazione sociale. Di qui la ripresa, nell’ultima parte del libro, di un lessico concettuale istituente elaborato nel Novecento e ancora non sufficientemente valorizzato. Si tratta di un percorso affatto lineare, che va dalla tradizione giuridica italiana (in particolare Santi Romano), alla fenomenologia francese (con Maurice Merleau-Ponty), fino ad arrivare all’antropologia tedesca (con particolare attenzione ad Arnold Gehlen). Ciò che interessa, qui, è definire una vera e propria “svolta istituzionale”, che sorge dalla ripresa di categorie moderne rivitalizzate. I binomi concettuali attorno a cui ruota questa svolta e che vengono dichiarati nell’introduzione sono quattro: natura/storia, libertà/necessità, ragione/immaginazione e ordine/conflitto. Ma il libro si conclude che con l’elaborazione di un interesse specifico per il rapporto tra ragione e immaginazione, che vede in Spinoza il suo precursore e in Gilles Deleuze, Claude Leford e Cornelius Costoriadis i suoi più illuminanti interpreti novecenteschi.

In gioco, come sostiene Costoriadis nel testo L’istituzione immaginaria della società, citato da Esposito, «è la creazione incessante e essenzialmente indeterminata (sociale-storica e psichica) di figure/forme/immagini, a partire da cui soltanto si può parlare di “qualche cosa”. Quelle che noi chiamiamo “realtà” e “razionalità” sono le opere di questo immaginario». In gioco, cioè, è una questione antica, eppure, ancora non effettivamente elaborata dal pensiero occidentale: la capacità di auto-istituzione propria della società umane, a cui le società occidentali hanno dato il nome di “democrazia”. Le contraddizioni con cui ancora oggi ci troviamo ad dover fare i conti sono forse legate all’incapacità di assumere come propria l’energia creativa propria dell’immaginario sociale. Questa almeno sembra la sfida lanciata da quest’ultimo lavoro di Esposito, che apre notevoli squarci per un ripensamento radicale delle possibilità e dei limiti delle istituzioni.

Riferimenti bibliografici
C. Costoriadis, L’istituzione immaginaria della società, Bollati Boringhieri, Torino 1995.
R. Esposito, Pensiero istituente. Tre paradigmi di ontologia politica, Einaudi, Torino 2020.
Id., Istituzione, il Mulino, Bologna 2021.

Roberto Esposito, Vitam Instituere. Genealogia dell’istituzione, Einaudi, Torino 2023.

Share