Oggi usciamo con una rivista nuova. Nuova nella grafica, cioè nel modo in cui la rivista presenta e valorizza i suoi contenuti. Quelli che settimanalmente la aggiornano, e quelli compongono il suo archivio. Che dopo sette anni sono tanti, come tanti sono gli autori che vi hanno scritto, e tanti i collaboratori, soprattutto giovani, che quotidianamente la animano. Siamo nati nel maggio 2017, con periodicità settimanale e con condivisioni quotidiane. E in questi anni dal progetto di rivista sono nati anche volumi cartacei (con il 2023 saranno dieci), che raccolgono e rimontano gli articoli più significativi dell’anno, e una Summer School, fortunata per il numero di partecipanti che ha avuto.
Ma questi dati quantitativi non rappresenterebbero molto se non permanesse viva la domanda che ha animato la fondazione della rivista e che ne ha segnato il gesto originario, e che motiva ancora oggi quello del suo rinnovamento. La domanda è quella che anima il desiderio di scrivere di ciò che incontriamo nella nostra esperienza quotidiana di spettatori e lettori. Desiderio e pratica a cui diamo il nome di critica.
La critica non è solo una forma pubblica di discorso e discussione, che si determina come l’antidoto più potente contro il modo totalitario in cui pensieri e posizioni oggi si dispongono, non più orientati da poteri assoluti, ma dal carattere brutalmente gregario dell’opinione pubblica, composta, oggi più di ieri, da un affastellamento spesso intollerabile di luoghi comuni.
La critica è anche e in primo luogo una pratica che definisce un rapporto specifico con le opere, pensate non come qualcosa di aulico ed ideale, ma come forme in cui il senso viene a darsi in modo determinato e concreto. E che necessitano di essere pensate perché loro stesse pensano. Come dice Jean-Luc Godard riferendosi al cinema: «Una forma che pensa, un pensiero che forma».
In fondo la critica risponde alla stessa domanda dell’arte, il desiderio di dare forma ad un pensiero che nasce dall’incontro con qualcosa. Mettere in forma «prosaica» ciò che l’opera costruisce in forma «poetica» (per riprendere Benjamin). La pratica critica si deve porre in ascolto della domanda “poetica” che l’opera pone, cioè della potenza immaginativa con cui l’arte pone domande e problemi che riguardano il nostro presente. E che lo possono riguardare anche se vengono dal passato e dalla tradizione, al di fuori della quale la nostra capacità di comprendere l’oggi sembra pretesa vana.
La pratica critica e il suo abituale esercizio, che dovrebbe farsi costume, contribuiscono all’emergere del desiderio stesso di trovare un senso nelle forme che ci circondano e in quelle a cui noi diamo espressione. La critica cioè contribuisce a definire una forma di vita in cui il vivere è inseparabile da una ricerca di senso (anche quando confina con il non senso).
Ma non ogni discorso che investe l’opera può dirsi critico. Il discorso critico è circondato da due pericoli: quello del discorso generico sulle opere e i film, con carattere meramente giornalistico e spesso pura emanazione degli uffici stampa; il discorso dell’università quando si fa autoreferenziale, cioè quando assume come presupposti scientifici, rendendoli assiomi, parole d’ordine e modi di funzionamento di un ordine sociale più ampio, senza saper determinare da esso alcuno scarto. E dunque vediamo trasformate tutte le opere (anche quelle grandi) in meri indicatori del funzionamento culturale e del consumo spettatoriale, in dispositivi mediali, anestetizzando le domande e i problemi che le abitano.
Questo determina una inibizione del desiderio di senso, vera linfa della vita individuale e sociale, quando si fa ricca ed originale. E vero antidoto ad ogni forma di pensiero uniforme e totalitario. Perché va detto chiaramente, la critica esiste se c’è un campo critico, cioè un territorio in cui si ritrovino bisogni, prospettive, e domande plurali, anche contrapposti.
Fata Morgana Web è nata per questo, per contribuire a costruire tale campo. Che in questi ultimi anni sembra essersi felicemente ridefinito, con l’emergere di espliciti momenti di discussione e riflessione pubblica sia sulla stampa, con interventi molteplici sulla critica d’arte, letteraria, cinematografica, che all’università, con convegni e progetti di ricerca. E con un grande recente esempio, Quentin Tarantino, che non solo ha pubblicato il suo libro di critica, Cinema Speculation, ma che soprattutto ha annunciato che il suo prossimo film sarà dedicato ad un critico cinematografico e si chiamerà The Movie Critic.