di ALESSANDRO CAPPABIANCA
Un altro giro di Thomas Vinterberg.
Un altro giro (Druk), un film sulla perdita d’interesse nei confronti della vita, e sul come ripristinarlo tramite l’aumento del tasso alcolico nel sangue, quest’anno ha vinto l’Oscar per il miglior film straniero. Nei confronti della vita, per Thomas Vintenberg, regista danese già firmatario del Manifesto Dogma 95 con Lars von Trier, vuol dire anche nei confronti del cinema. Anche girare un film diventa impossibile, senza un (moderato) aumento del tasso alcolico, e qui si allontanano sempre più l’eredità del Manifesto e del suo cosiddetto Voto di Castità.
Dogma 95, sull’onda d’un presunto fallimento della Nouvelle vague francese, metteva al bando, com’è noto, l’individualismo e i sentimenti superficiali, in nome della verità. Non bisognava ingannare lo spettatore, quindi niente scenografie, nessun oggetto di scena, niente musica, utilizzo della macchina a mano, rifiuto dei generi e di ogni tipo d’azione superficiale. Di tutto questo, come già in Il sospetto, qui rimane poco – a parte forse un residuo di predilezione per la macchina a mano – e il dogmatismo di Festen (1998) è assai lontano. Emerge invece una sorta di documentario di volti, sostenuto anche da sapienti giochi di sfocatura e messa a fuoco all’interno della stessa inquadratura.
Quattro professori di liceo, Martin, Tommy, Nikolaj e Peter, seduti al tavolo d’un ristorante, discutono, assaporando ciascuno vari bicchieri di vino, la teoria d’uno psicologo norvegese (realmente esistente, a quel che sembra), secondo il quale ogni individuo nasce con un congenito deficit alcolico, al quale sarebbe salutare reagire fino a raggiungere al sangue almeno una percentuale dello 0,50 per cento di alcol, considerata la soglia minima adatta a facilitare i rapporti con i propri simili, siano essi studenti, figli, mogli o altro. I quattro hanno molti problemi in questo senso. Il sommelier versa nei calici vini bianchi e rossi. Di ognuno decanta le virtù e il fatto che esprime lo spirito della terra da cui proviene. Bere buon vino può essere dunque una specie di rigenerazione, una rinascita, addirittura l’inizio di una metamorfosi fisica e mentale, di tipo dionisiaco. Non va dimenticato, d’altra parte, che nei paesi nordici (Danimarca, Norvegia, ecc.) il tasso di alcolismo raggiunge comunque percentuali altissime, che i fattori climatici spiegano solo fino a un certo punto.
Mads Mikkelsen, già professore declassato e calunniato in Il sospetto, qui è Martin, uno dei quattro amici, insegnante di storia. L’aumento del tasso alcolico lo aiuta a recuperare il rapporto, che andava deteriorandosi, con la moglie Anika, e gli permette di interagire in modo positivo con i suoi studenti, ora interessati, contrariamente al solito, a quello che dice. Per esempio, poteva vincere la seconda guerra mondiale un astemio come Hitler? Assolutamente no. Infatti il vincitore fu Churchill, che non a caso, a quanto sembra, amava assumere superalcolici.
Qui Vinterberg non ha problemi a inserire immagini d’archivio di leader politici mondiali, specialmente russi, da Kruscev a Breznev a Eltsin, apparsi mezzo ubriachi in televisione – ma ci sono anche Clinton e Sarkozy. È come se il bere rendesse più umano anche il potere, perfino il potere dispotico (chissà se Stalin beveva). E naturalmente il sottotesto (letterario) non può che richiamarsi a Hemingway, prima di ogni altro riferimento cinematografico (per esempio, Grande bouffe di Ferreri). Torniamo tuttavia a ricordarci un po’ di Dogma 95 nella brusca virata per cui all’improvviso quella che sembrava una commedia si tramuta in dramma – ma per tornare commedia, e commedia musicale, alla fine. I quattro amici, sedotti dai brillanti risultati dell’aumento del tasso alcolico, che ha permesso loro di recuperare entusiasmo e passione nei rapporti familiari e in quelli lavorativi (scolastici), decidono di spingere oltre l’esperimento, e di verificare fin dove ci si può spingere, assumendo alcol in proporzioni ben maggiori della soglia dello 0,50.
Le cose si complicano. Le rispettive famiglie non ci stanno più, anche se per gli studenti il sostegno dei professori diventa fondamentale. Uno studente terrorizzato da un esame viene incitato a vincere la sua paura aiutandosi con un sorso d’alcol. Tommy, l’insegnante di educazione fisica, riesce a far accettare dai compagni e inserirlo nella squadretta di calcio (fino a segnare un gol) un ragazzino timidissimo dai grandi occhiali, fino allora emarginato – ma affoga, in preda ad ebbrezza alcolica, uscendo in barca col suo cane. Vinterberg però non mostra la sua morte, rifiuta di farne una scena drammatica, si limita a filmare la barca al largo, alla deriva, e poi la scena del funerale in chiesa. Gli amici, sconvolti, portano la bara, mentre il ragazzino dai grandi occhiali, piangendo, vi depone una rosa rossa.
Tragedia? Fine del sogno d’integrazione e rinascita? Qui il discorso si fa particolarmente delicato. Com’è noto, la tragedia ha effettivamente colpito Vinterberg e sua moglie, con la morte di Ida, la loro giovanissima figlia, anch’essa impegnata nel film, in un incidente automobilistico, dopo pochi giorni di riprese. C’erano le premesse per abbandonare tutto, o per far virare la sceneggiatura, già più volte modificata, nel senso del più disperato pessimismo, come già accaduto in Kursk (2018), il più cupo, bello e anti-Dogma dei film di Vintenberg.
Invece no. Non temiamo di fare spoiler, svelando che il film termina con il ballo di Martin in memoria di Tommy. Martin balla, sulla banchina del porto, con gli amici superstiti, con studenti e studentesse. Balla e quasi vola, librato in aria nel fermo immagine finale. È stata una scelta precisa di Vinterberg, di cui neppure Mikkelsen, l’attore, all’inizio era del tutto convinto – per poi ricredersi. Nulla di banalmente consolatorio, in questo finale, malgrado le apparenze. Ballare, volare, comunque lasciarsi andare, affidarsi dionisicamente alle sorti del sogno, dell’amore, della vita, della morte, nel segno di Kierkegaard, ma forse anche dell’eterno ritorno nietzschiano.
Un altro giro. Regia: Thomas Vinterberg; sceneggiatura: Tobias Lindholm, Thomas Vinterberg; fotografia: Sturla Brand Grovlen; montaggio: Janus Billeskov Jansen, Anne Osterud; interpreti: Mads Mikkelsen, Thomas Bo Larsen, Magnus Millang, Lars Ranthe, Maria Bonnevie, Helene Reingaard Neumann; produzione: Zentropa Entertainments, Film i Väst, Zentropa Sweden, Topkapi Films, Zentropa Netherlands; distribuzione: Movies Inspired, Medusa Film; origine: Danimarca, Svezia, Paesi Bassi; anno: 2020; durata: 117’.
Bellissima recensione. Umanissima e intelligente come il film. Sposo tutto quello che hai scritto. E grazie.