I viaggi la morte è un libro che va esaminato, fin dal principio, con il calendario alla mano, osservato dando un peso alle date. Forse va proprio letto attraverso di esse. Questo però, vale la pena puntualizzarlo, non per attuare una contestualizzazione: le date non servono a raggiungere questo fine. Lo specifica già in apertura della sua bella e ricca nota al testo Mariarosa Bricchi che, descrivendo l’ecletticità del libro per modi e registri, non lega la varietà ad alcuna variazione temporale «perché le maniere di Gadda non sembrano progredire ma riproporsi, con trasformazioni e riprese» (Bricchi in Gadda 2023, p. 311).
Nel fare uso delle date e nel far loro riferimento è iscritta una ragione opposta a quella di collocare i fatti testuali nel tempo, far emergere la loro intrinseca intempestività. E questo in due direzioni: dentro il volume, perché la cronologia dei singoli saggi restituisce il moto concentrico ed eccentrico del libro nel suo insieme; fuori del testo, perché la periodizzazione porta in evidenza la natura intempestiva del suo stesso autore, Gadda, presente e contemporaneo allo strazio del “passato continuo”, per riprendere le parole di Gianfranco Contini.
La prima edizione de I viaggi la morte esce nel 1958 per Garzanti – lo stesso editore che l’anno precedente aveva pubblicato Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana – sulla copertina di tela campeggia la riproduzione di un’acquaforte di Ensor, artista al quale Gadda dedica una conferenza per la mostra ospitata a Palazzo Strozzi nel 1950. Pubblicato su Letteratura – Arte contemporanea, il saggio fa trasparire, come commenta Bricchi nelle note, i tratti distintivi della scrittura gaddiana pensata per il conversato radiofonico cadenzata da «un’oralità affabile», e dall’alternanza tra citazioni e «discorso dell’io recitante» (ivi, p. 347). Nel presentare il pittore nato a Ostenda, poi, Gadda sembra quasi specchiarsi in quei tratti di vita umiliata e offesa che toccarono all’artista belga: «Dovette vivere in solitudine, coronata dagli spini dell’incomprensione e del dileggio: che nessuno voleva comperare le sue tele: che lo chiamavan pazzo e misantropo: che il riconoscimento fu lento e, rispetto alla sua vita mortale, dolorosamente tardivo» (Gadda 2023, p. 210).
Torniamo alla descrizione del libro. Nell’edizione del 1958, sul cui risvolto di copertina, composto dal gran lombardo, si legge:
Nelle 24 battute del Gadda che in questo volume sono presentate al pubblico si manifesto gran parte della di lui attività di opinante edito: la quale ha occupato, grazie al disvolere degli dèi, una piccola parte della sua fatica di vivente scrivente. Saggi, brevi saggi, e il nome che nelle letterature occidentali, si suol conferire a un siffatto genere di lavorucci (Gadda 1958).
Entretiens, correggerà in francese nella proposizione successiva.
Dunque, il libro esce nel 1958, quando Gadda è già diventato “una specie di Lollobrigido, di Sofio Loren” per il successo del Pasticciaccio che aveva preceduto di un anno I viaggi la morte. Il romanzo, però, era a sua volta incastonato tra le versioni apparse in Letteratura nel 1946, la sceneggiatura (Il palazzo degli ori) e il soggetto (La casa dei ricchi ora per Adelphi con la cura di Giorgio Pinotti) ai quali aveva lavorato prima del 1950, e il film di Pietro Germi, Un maledetto imbroglio, che sarebbe uscito nel 1959. Film a parte, Gadda stesso traccia la geologia e la genealogia del Pasticciaccio in una riflessione che chiude la prima parte del libro di saggi I viaggi la morte. Lo scrittore ringrazia l’editore dell’idea geniale (il testo gli era stato sollecitato da Livio Garzanti, come ricostruisce Bricchi nelle note) e comincia a raccontare.
Inizia dalla Firenze in guerra:
Il giallo di cui Garzanti ha intrapreso e condotto a termine la non facile stampa era uscito per una parte nella rivista fiorentina Letteratura (non ne dirò le lodi che potrebbero apparire interessate) creata e diretta da Alessandro Bonsanti. Questa parte vide la luce, ossia gli occhi dei lettori ne delibarono per cinque puntate, nei cinque numeri di Letteratura dal 26 al 31, saltato il 30: dal fascicolo gennaio-febbraio 1946 al fascicolo novembre-dicembre 1946. Io abitavo allora a Firenze, via Emmanuele Repetti 11 (Gadda 2023, p. 119).
Affonda sul barocco:
E poi un problema estetico, ed etico, mi ha sempre scavato l'anima: a me, sì, che venni imputato di calligrafismo, di barocchismo. Qual è il grado di adesione interna, di accensione intima nei confronti del tema, che induce ad opera l'artista, che gli guida la mano sulla tela? Sì: la mano e il pennello? Crede, e spera, nella Madonna, il fabbricante di madonne? (ivi, p. 123).
E termina con l’approdo romano nel ’50, e la possibilità infine e finalmente di rimettere mano al suo “pasticcio” nella primavera del 1955.
Eppure, bisogna scavare ancora più lontano degli undici anni che separano le prime uscite a puntate su Letteratura e il romanzo edito da Garzanti. Il Pasticciaccio è un libro che porta indietro, riconduce al mondo in cui è ambientato, a Roma, alla Roma del 1927, l’anno in cui viene introdotta la tassa sugli scapoli: e a Ingravallo, al suo creatore toccherà pagarla quella tassa, così come al commendator Angeloni, altro condomino del “gran palazzo del ducentodicinnove”, tutte figure che mal s‘adattano al «clima eroico dell’epoca sitibonda di prole» (ivi, p. 121). L’anno attiva poi anche un altro cortocircuito temporale: il 1927 è l’anno in cui Gadda scrive I viaggi la morte che tra i testi che compongono il libro omonimo è quello su cui campeggia l’indicazione cronologica più antica.
L’ultima data a cui far riferimento è quella in cui Adelphi presenta l’edizione a cura di Mariarosa Bricchi e ci porta al presente, al 2023. Anche qui la data ci restituisce qualcosa: il 2023 è il cinquantenario della morte di Gadda. Nell’anno dell’anniversario Adelphi pubblica il Giornale di guerra e di prigionia in una versione arricchita dei taccuini inediti, la ristampa del Pasticciaccio nella collana paperback-tascabile e I viaggi la morte. Un diario di guerra, un romanzo giallo e una silloge: nell’arco di un anno, Paola Italia, Giorgio Pinotti e Claudio Vela mostrano come quella straripante ricchezza e varietà di cui sono intrise le pagine dei testi gaddiani non debba essere percepita come solo linguistica, solo tematica, bensì si estenda ai generi letterari praticati. Anch’essi concorrono a comporre la complessità dell’opera dell’Ingegnere, “visceralmente composta e tramata”, dice Alberto Arbasino aggiungendovi “sardanapalesca, e pantagruelica”.
I viaggi la morte è un libro tripartito in maniera irregolare, la prima parte include nove interventi, la seconda ben tredici e la terza, in modo sbilanciatissimo, solo due. Nelle note che compongono l’apparato critico Mariarosa Bricchi ricostruisce con attenzione la macrostruttura, l’avventura editoriale del libro, la sua struttura e la “coerenza tonale” delle singole parti: quella iniziale, che include, tra gli altri, interventi quali Come lavoro (1950), Lingua letteraria e lingua d’uso (1942), Intervista al microfono (1951), il già citato Pasticciaccio (1957), definisce il paradigma di una “autobiografia letteraria” nella quale alle riflessioni di poietica si aggiunge l’istinto di “gazza ladra” (copyright Arbasino) di trovare nei temi extraletterari del lavoro tecnico «capacità di fornire linfa alla scrittura» e, poi, si assommano le pagine «sul pastiche e sulla diffusione del macaronico nel parlar comune e nelle pagine letterarie di ogni tempo; i sussulti di una vocazione oscillante tra impulso lirico, meditazione filosofica, e sirena del puro narrare» (Bricchi in Gadda, p. 314).
La seconda parte della raccolta di saggi è incentrata su recensioni, scritti d’occasione, anche qualche articolo di obbligo, e va letta in filigrana. La compongono il testo radiofonico Je meurs de seuf au près de la fontaine (1951) sul poeta François Villon, che viene accostato a Catullo e Shakespeare per la capacità di «cangiar di tono» (Gadda 2023, p. 143); «Amleto» al Teatro Valle (1952), una delle poche recensioni di spettacoli da parte di Gadda che notoriamente rifuggiva teatri e sale cinematografiche; Arte del Belli, per celebrare l’edizione con il commento di Antonio Baldini, e le recensioni ad Alberto Moravia, Ramón Pérez de Ayala, Stefan Zweig (tutte del 1945) e a Jean Genet (1950); Un’opinione sul neorealismo (1951). Troppo occasionali i testi, commenta Bricchi, per rinvenire tra loro le tracce di una biblioteca ideale: questa però può emergere da una lettura in filigrana «dall’intreccio di riferimenti che trama le pagine: i nomi che ricorrono sono quelli di Orazio e Cesare, Goethe e Virgilio, Freud e Carlo Cattaneo, Manzoni e Ariosto, Rousseau e Dostoerskij» (Bricchi in Gadda 2023, p. 314).
Due eccezioni, forse, a questa regola. Una per il già citato I viaggi la morte (1927), saggio nel quale alla questione del tempo (la morte) si aggiunge anche a quella dello spazio (i viaggi): due categorie che Gadda adotta per dipanare il percorso di una scrittura che lavora sulla dimensione temporale (e morale, Corneille) da quella guidata dalla vertigine lirica, simbolizzata nell’immagine del bateau ivre di Rambaud, che si svincola «dal meccanismo segreto della conseguenza» (Gadda 2023, p. 182). È una dichiarazione di poetica, come lo sarà l’Intervista al microfono che nella risposta alla prima domanda si trasforma da conversazione a occasione di una lunga riflessione monologante.
La terza parte, infine, la più breve è data da due testi – Emilio e Narciso (1950) e L’egoista (1954) – ed è anche quella con una maggiore coerenza interna: è uno studio sulle patologie dell’egoismo come angoscia appropriatrice e del compiacimento estetizzato di sé della carica narcissica nelle loro diverse gradazioni: da una carica normale a una abnorme.
Ed ora, per avviarsi alla conclusione, si passi alla particolare irregolarità cronologica, alla ucronia che costituisce il libro stesso. “24 battute”, ricordava Gadda, sbilanciate nella distribuzione nelle tre parti del volume che coprono, ritornando al leitmotiv delle date, trent’anni: dal 1927, la “battuta” più lontana nel tempo, al 1957, quella più prossima alla pubblicazione. Eppure, nei saggi raccolti durante questo trentennio c’è un buco temporale e a mancare in questa silloge sono i testi pubblicati negli anni trenta, terribili e decisivi, che si aprono con la pubblicazione della Madonna dei filosofi e si chiudono con i tratti della Cognizione del dolore in Letteratura. Sono gli anni degli interventi sulle terze pagine della Gazzetta del popolo, L’Ambrosiano di Milano e Corrente di vita giovanile che confluiscono nelle Meraviglie d’Italia.
Proprio questo spazio vuoto degli anni trenta nel trentennio coperto dalla raccolta di saggi, esprime tutto il moto a sbalzi, centripeto e centrifugo dell’opus gaddiano: sono schizzi saggistici, conversazioni, con un ritmo che esprime per Gadda:
Una coerenza tonale nell'istruttoria e nel giudizio delle cause, lievi cause: quella coerenza che al secol nostro si use chiamare una linea. Il guaio e che la linea del Gadda, le più volte, s'impenna a diverge dalle linee più accreditate: donde la severa imputazione che gli vien fatta, non aver egli avuto la reverenza debita alle linee degli altri, rette o curve che fossero (1958).
L’immaginazione ingegneresca del gran lombardo, infatti, non ama le traiettorie già tracciate.
Riferimenti bibliografici
C. E. Gadda, I viaggi la morte, Garzanti, Milano 1958.
Carlo Emilio Gadda, I viaggi la morte, a cura di Mariarosa Bricchi, Adelphi, Milano 2023.