Ad aprire il film è un canto delicato e quasi magico di due voci all’unisono: si tratta della protagonista Sol e di sua madre Lucia che conversano e giocano spensieratamente all’interno di un bagno pubblico. L’atmosfera giocosa e scherzosa che contraddistingue il rapporto iniziale tra madre e figlia fa emergere un punto di vista infantile condiviso, legandolo però, poco dopo, alla cruda realtà famigliare della malattia di Tona, il padre di Sol. È una dissolvenza in nero a concludere le prime sequenze, segnalando radicalmente un cambio di tono: dal tono intimo e misurato del momento di condivisione tra madre e figlia, si passa alla frenesia collettiva della dimensione familiare.

È lo sguardo di Sol a introdurci la sua famiglia, di cui ogni membro è intento nei preparativi della festa: Nuria, la sorella di Tona, è stressata fin dall’inizio dall’idea di dover preparare la torta; le altre sorelle sono in preda a continue tensioni riguardanti problemi di denaro, in particolare l’impossibilità di pagare l’infermiera Cruz per accudire Tona; il nonno di Sol, psicoterapeuta con uno studio in casa, sopravvissuto al cancro alla gola, è infastidito dai rituali che i figli organizzano per liberare la casa dagli spiriti maligni. Lo sguardo di Sol, in questa massa caotica di avvenimenti, concentrati in un unico luogo, diviene un captatore di sensazioni e movimenti, uno spirito guida vigile e necessario.

L’attraversamento che Sol fa degli spazi della casa durante le sue attività di gioco corrisponde all’ispezione dettagliata della macchina da presa: essa scivola dinamicamente da una vicenda all’altra, adottando un movimento lento ma costante che conferisce mobilità ad ogni ambiente della casa. Se la tonalità molto calda dei primi piani pittorici dei protagonisti fa emergere la dimensione visibile ed esteriore di concitazione e preoccupazione, il viraggio ad inquadrature in penombra, dove i volti sono quasi indistinguibili, testimonia, invece, la dimensione inaccessibile del dolore soggettivo dei membri della famiglia. 

Se per gli adulti è importante che Sol e i cugini restino ignari delle questioni riguardanti la malattia di Tona, tanto da iniziare a parlare in codice scomponendo parole come chemioterapia e morfina, Sol invece sembra esser ben consapevole della situazione: la bambina lotta tra un tono rassegnato e passivo che sfoga in gesti ripetitivi, si pensi all’ossessivo gioco con le lumache, e un tono apocalittico, evidente nelle domande che pone al telefono su una possibile fine del mondo. La ritualità dei continui giochi di Sol ha innumerevoli punti di contatto col sacro: infatti, le forme del gioco infantile e le forme del rito, potrebbero quasi essere sovrapposte. Per esempio, è attraverso un gioco rituale (trattenere il respiro passando sotto un ponte) che, durante il viaggio in macchina verso il luogo della festa, Sol svela il suo desiderio: “Che mio papà non muoia”. Il dolore di ogni componente della famiglia è, infatti, assorbito da un potente tessuto mitico-rituale, all’interno del quale, fin dall’inizio, se ne cerca un’elaborazione.

Gli animali, nei quali Sol si imbatte durante la giornata della festa (le lumache, il pappagallo, la mantide, il cane, il pesce), esprimono una forte simbologia religiosa nella cultura mesoamericana: essi sono sacrali e costitutori di legami col soprannaturale. Il montaggio connotativo dell’ultima sequenza, in cui l’immagine dello scorpione è associata alla stanza vuota del padre, costruisce un simbolo archetipico ambivalente: lo scorpione è sia minaccia di morte che superamento d’essa in nuovi cicli di vita. La conferma di questa interpretazione è data in alcune parole che, un’amica di Tona, durante la festa, pronuncia sulla concezione del tempo mesoamericana: “I cicli ritornano ad un certo punto, ma non sempre allo stesso punto. Si tratta di una spirale ascendente che ruota in punti diversi”. Nell’immaginario onirico, lo scorpione, infatti, non è solo strumento di morte e distruzione, ma rappresenta l’energia primordiale connessa a forze istintuali: esso è possibilità d’apertura a successivi cicli di rinnovamento (Aurigemma, 1976). 

Una domanda diviene ora lecita: qual è il totem del film? Forse gli oggetti che i personaggi curano così attentamente (il bonsai del nonno o la torta della zia)? Oppure la casa contenitore in cui le vicende si sviluppano? Seguendo la riflessione di Elias Canetti, il totem del film si riferirebbe a figure che rappresentano la compresenza di uomo e animale, esempi del loro rapporto simbiotico e di una possibile metamorfosi reciproca: l’uomo imita gli animali al punto da identificarsi con essi, definendo la sua metamorfosi come totem e tramandandola come sacra tradizione ai propri discendenti.

Questo duplice aspetto del totem rende particolarmente chiaro il fatto che i figli umani provino talvolta il desiderio di tornare ad essere larve. In quel caso essi cantano una formula magica, si trasformano in larve e tornano a strisciare alle radici del cespuglio ove di solito vivono le larve. Possono però di nuovo sbucar fuori e riassumere a loro piacimento forma umana (2015, p. 450).

Il patrimonio mitologico disseminato durante tutto il corso del film esplode nell’evento della festa finale: la festa è l’estensione documentabile e percepibile in cui emerge tangibilmente la potenza simbolica del microcosmo di Tótem. «Mentre la mitologia, ridotta a puro racconto mitologico accessibile agli estranei, si rivela subito remota dal suo essere in atto, la festa, pur osservata da estranei, sembra intatta e riconoscibile nei suoi gesti, nel suo spazio, nel suo ritmo, nelle sue norme» (Jesi 1977, p.174).

La celebrazione festiva, rappresentando un nucleo vicino alle sorgenti più vive del mito, si costruisce come punto di contatto tra il sé di Sol e il mondo esterno: la bambina resta appollaiata sul tetto per tutta la festa e, solo nell’ultima sequenza dello spegnimento delle candeline, si risveglia improvvisamente come in una trance estatica, muovendosi finalmente in una condizione di consapevolezza. Il fuoco, infatti, altro elemento mitico-simbolico che ritorna più volte nel film (la torta bruciata nel forno, il fumo di quella specie di palosanto utilizzato per purificare la casa e, infine, l’accensione della lanterna cinese), è per eccellenza simbolo d’energia purificatrice e rigenerazione. 

Riferimenti bibliografici
L. Aurigemma, Il segno zodiacale dello Scorpione nelle tradizioni occidentali dall’antichità greco-latina al Rinascimento, Einaudi, Torino 1976.
E. Canetti, Massa e potere, Adelphi, Milano 2015.          
F. Jesi, La festa. Antropologia, etnologia, folklore, Rosenberg & Sellier, Torino 1977.

Tótem – Il mio sole. Regia: Lila Avilés; sceneggiatura: Lila Avilés; fotografia: Diego Tenorio; montaggio: Omar Guzmán; interpreti: Naíma Sentíes, Montserrat Marañón, Marisol Gasé, Saori Gurza, Teresita Sánchez; produzione: Limerencia Films, Laterna Film, Paloma Productions; distribuzione: Officine Ubu; origine: Messico, Danimarca, Francia; durata: 95’; anno: 2023.

Tags     festa, Lila Avilés, mito
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