“Tommaso” o “La danza dei fantasmi”: il titolo tedesco del film, stavolta, è più indicativo. Quali fantasmi danzano attorno a questo cineasta americano, che vive a Roma nei pressi di piazza Vittorio? Fantasmi a Roma? Troppo semplice. Tommaso è Willem Dafoe. Dafoe è Abel Ferrara? Sì. O meglio, sì e no. I fantasmi comunque lo seguono dall’America, racchiusi nella sua memoria di ex-drogato e alcolizzato, ma pronti a materializzarsi, in quanto fantasmi carnali, dotati di corpi e voci, passibili perfino di tornare fisicamente, attraversando l’Atlantico in aereo.
Tommaso ne è perseguitato, non dimentica, non può e non deve dimenticare. Li ricorda durante le riunioni degli alcolisti anonimi, dove trova appoggio e solidarietà, li incrocia nei corridoi della metropolitana, nei vagoni, nei bar. Sta imparando l’italiano, ma l’insegnante è troppo bella: le regala una torta per il suo compleanno, con una candelina da spegnere esprimendo un desiderio. È lui stesso, del resto, a insegnare danza nella scuola che ha aperto a Roma: danza, recitazione, movimenti di liberazione del corpo e della voce, in modo che si liberi il secondo corpo, la voce interiore di ciascuno. Su e giù per le scale della stazione Re di Roma, con piazza Vittorio a due passi. Tutti lo conoscono, lo salutano, gli vogliono bene.
Vive con Nikki, la giovane moglie, e Dee Dee, la loro bambina di tre anni. È lui a girare per il quartiere, a uscire per gettare l’immondizia nei cassonetti, per fare la spesa, per prendere un cappuccino al bar. Al supermercato compra le orecchiette, assiste alla loro cottura, apparecchia, lava i piatti. Balla con moglie e figlia, non importa se al ritmo di sceme trasmissioni televisive. Aspetta che la bambina si addormenti per fare l’amore con Nikki, sul fatidico divano. Sta scrivendo il copione del suo prossimo film, che si intitolerà Siberia, e avrà come protagonista Willem Dafoe. Questo personaggio tormentato si chiamerà Clint. Tommaso ne vuole fare una specie di eremita, in segregazione volontaria nel gelo e nella neve, ma trova le situazioni ancora troppo dolciastre, per quanto a Nikki quello che ha scritto piaccia molto: è come un sogno, dice, qualcosa al di sopra di questo mondo. Il film è da girare, ma appaiono immagini di una slitta trainata dai cani nella neve, anticipi di visioni soltanto mentali.
Per Tommaso, recitare è sempre stato qualcosa tra il controllo e l’abbandono. Ai suoi allievi cerca di insegnare i movimenti del corpo, le modulazioni della voce, le risate, le gestualità che producano azione: non un’azione convenzionale, ma un’azione che li proietti verso qualcosa – qualcosa appunto tra controllo e abbandono, qualcosa che non c’era prima, che si crea magicamente nell’esercizio psico-fisico e somiglia al sogno. Alle riunioni degli alcolisti anonimi racconta i suoi tentativi di disintossicarsi in America. Annuncia che vorrebbe fare il remake de La dolce vita e ha già scelto come protagonista un giovane attore americano. Un tossico che sta cercando di disintossicarsi: situazione ideale, va bene così.
La confessione continua. Tommaso racconta di quando fu pestato da un giovanotto geloso, il quale non voleva assolutamente che la sua ragazza frequentasse la gente del cinema. Credeva di sognare, all’inizio, ma i pugni erano veri. Lo portarono all’ospedale con la faccia gonfia, e lì venne a saper che c’era anche un reparto disintossicazione. Decise di provare a smettere con la droga, anche se non aveva nessuna intenzione di smettere di bere. Gli altri ascoltano, alla fine applaudono, come se avessero assistito a una performance artistica. Tutti insieme, a fine seduta, prendendosi per mano in circolo, intonano “la preghiera della serenità”.
Tommaso sogna. Sogna d’essere arrestato, condotto in manette davanti a un giudice, attraverso corridoi oscuri. È accusato di un delitto che deve ancora commettere, che commetterà forse in sogno, per gelosia: ma il sogno ha tutti i caratteri del vero, il vortice pauroso dell’angoscia, il desiderio d’autodistruzione. Uccide l’amante della moglie, un giovanotto dalla figura indistinta, sempre nell’ombra – poi implora Nikki perché uccida il se stesso assassino, premendo di nuovo il grilletto. Sogno anche questo? Forse. Nikki rifiuta, Tommaso fugge via come un pazzo, la mdp carrella sul pavimento della stanza, di nuovo verso il corpo dell’ucciso, e il cadavere si intravvede appena, eppure è lì. Ma resta sospeso l’interrogativo: dov’è questo lì?
Spoiler. La macchina da presa parte dal cielo, non dal cielo notturno lungo il quale si disegnano le galassie, costellazioni d’astri o la luna, da salutare familiarmente, ma invece in pieno giorno: un cielo puro, solcato da un aereo solitario. Poi scende con un movimento vertiginoso, sorvola i resti delle antiche mura romane, cala sotto la pensilina della stazione Termini. Viaggiatori, turisti, sono occupati a fotografare qualcosa con i cellulari. Tommaso si è appeso, incatenato a una croce eretta nella piazza. Accanto ce n’è un’altra, con un altro corpo appeso, che non sappiamo chi sia. Possiamo fare solo congetture, siamo liberi di farne. Potremmo perfino ricordarci dei cristiani di Scorsese in Giappone, solo che manca il mare. Parte l’Elisir d’amore di Donizetti, “Una furtiva lacrima”: «Di più non chiedo, si può morir d’amor».
Morire d’amore. Morire, non uccidere. Morire chiamando Dee Dee, sognandola. E infatti cessa Donizetti, subentrano le immagini della bambina che da sola, nella casa vuota, balla a piedi nudi al ritmo d’una musica moderna. La macchina da presa si avvicina al suo visetto sorridente. Ci pare di sentirla sussurrare “Papà”, al papà regista, stregato dall’amore. È come se la danza degli spettri si placasse all’improvviso, come se questi si dileguassero con la fine del film. Ovviamente (non facciamoci illusioni) restando in agguato, in attesa di un ritorno.
Tommaso. Regia: Abel Ferrara; sceneggiatura: Abel Ferrara; fotografia: Peter Zeitlinger; montaggio: Fabio Nunziata; musiche: Joe Delia; interpreti: William Dafoe, Cristina Chiriac, Anna Ferrara; produzione: Flario House Productions, Washington Square, Films, Simil(ar), Vivo Film, The Match Factory; origine: Italia, USA, Grecia; durata: 117′.