di ELISA BINDA
La terza stagione di This Is Us.
Il 4 febbraio 2018 milioni di americani hanno seguito la finale della 52° edizione del Super Bowl. Sono gli Eagles ad aggiudicarsi la vittoria. Quella stessa sera, l’NBC trasmette Super Bowl Sunday, quattordicesima puntata della seconda stagione di This Is Us – serie televisiva statunitense creata da Dan Fogelman – la quale viene vista da ben 27 milioni di americani. Insieme all’episodio precedente, That’ll Be the Day, rappresenta uno snodo importante del racconto seriale: chi guarda assiste alla morte di Jack (Milo Ventimiglia), l’amatissimo padre della famiglia Pearson. Di questo evento lo spettatore è a conoscenza fin dalle prime puntate della stagione precedente, ma solo in quel momento gli vengono rivelate le circostanze accidentali di questo tragico avvenimento. Tornerò poi su questa peculiare struttura narrativa che costituisce This Is Us e che lo rende, nello sterminato panorama delle serie televisive, un caso distinto.
Collocabile nel filone del Family Drama, This Is Us ci racconta la storia della famiglia Pearson: accanto a Jack troviamo la moglie Rebecca (Mandy Moore) e i loro tre figli, i Big Three, i gemelli Kevin e Kate (Justin Hartley, Chrissy Metz), e Randall (Sterling K. Brown) nato nello stesso giorno in cui Rebecca dà alla luce i suoi bambini e adottato dopo essere stato abbandonato dal padre in una caserma di pompieri. La sinossi di This Is Us potrebbe limitarsi a queste poche righe, eppure allo spettatore è dato di immergersi in un racconto corale che assume dimensioni potenzialmente infinite.
Uno degli aspetti più significativi di This Is Us è da rintracciare nel potente effetto di realtà che contraddistingue la narrazione degli eventi che coinvolgono la famiglia Pearson. Il titolo stesso sembra suggerire una possibile reversibilità tra il noi-spettatori e il noi-personaggi. Non appare casuale, dunque, la scelta di trasmettere la puntata che svela i particolari della drammatica fine di Jack la sera in cui viene messa in onda la partita conclusiva del Super Bowl 2018. Il pubblico scopre, infatti, come Jack muoia a causa di un incendio sviluppatosi proprio dopo la finale del Super Bowl del 1998. Si tratta di un consapevole gioco di inclusione tra il piano del reale e quello della finzione, il che rafforza il senso di realtà avvertito dallo spettatore.
In questa medesima direzione va intesa la scelta, operata dai creatori di This Is Us, di configurare il racconto tramite un montaggio che compie continui, ma sempre funzionali, salti temporali tra passato, presente e – a partire dal finale della seconda stagione – futuro. Questa complessa architettura temporale permette di approfondire la conoscenza di eventi e personaggi, mostrati in diverse epoche della loro vita: infanzia, adolescenza, età adulta. Il montaggio in This Is Us narra, rende noti allo spettatore non solo i fatti, ma anche le caratteristiche specifiche di ogni personaggio.
È in particolare Jack, proprio grazie alla sua morte prematura, a sfruttare integralmente questa tecnica del racconto. Jack partecipa infatti a ogni episodio anche se non abita il livello del presente. Grazie a lunghi flashback, lo spettatore viene messo a conoscenza di numerosi aspetti della sua vita. Gran parte di quest’ultima stagione, giunta da poco al suo Season finale, si sofferma, ad esempio, sulla vicenda di Jack e del fratello Nick nella guerra del Vietnam. Intorno alla morte di Jack trova modo di esprimersi estesamente anche l’aspetto potentemente narrativo di This Is Us: questa serie, mettendo in scena un racconto, mostra come il nostro modo di dare senso all’esperienza vissuta passi proprio attraverso la narrazione.
Lo spettatore, seguendo le vicende dei Big Three e di Rebecca i quali cercano di continuare a far fronte alla perdita del padre, del marito, comprende, con estrema chiarezza, come questo tentativo di elaborazione si serva anche del dispositivo narrativo. Esemplare, a questo riguardo, è la puntata 2×03 (Déjà). Kevin, dopo essere stato il frustrato attore di una sit-com, sta compiendo il grande salto recitando accanto a Sylvester Stallone. Sul set lo accompagna la sorella Kate, la quale più dei fratelli fatica a nascondere l’incapacità di superare la morte di Jack, iscritta nelle pieghe di un corpo che non accetta perché fortemente sovrappeso. Attraverso una condivisione tra questi personaggi, in cui si coglie come i diversi ricordi si trasferiscano l’uno nell’altro, lo spettatore vede una memoria individuale aprirsi alla dimensione collettiva, il ricordo assumere una forma nuova, e forse più accettabile, nel momento stesso in cui diviene racconto condiviso, in un circolo che annulla le distanze tra passato, presente e futuro.
Ogni episodio di This Is Us ha dunque il merito di affermare con estrema chiarezza come il tempo divenga tempo umano solo se articolato in modo narrativo. Lo psicologo Jerome Bruner, nel suo testo Life as Narrative, spiega come esistano molte modalità per descrivere e misurare l’esperienza del tempo: l’orologio, i calendari, la linearità cronologica. Ma è soltanto la forma narrativa a cogliere il senso del tempo vissuto. Bruner riconosce così un doppio movimento di mimesis tra vita e narrazione: non soltanto la narrazione imita la vita, ma la vita stessa imita la narrazione. La vita, allora, è costruita dall’immaginazione narrativa così come lo è la narrazione: l’essere umano dà senso e significato al corso vitale delle proprie esperienze delineando dei raccordi che interpretano, richiamano, ma anche prefigurano, degli eventi, azioni e situazioni, orientando così il suo agire.
Il senso di realtà che lo spettatore avverte guardando This Is Us risiede dunque in questa reciprocità: la serie mette in scena quel racconto della vita che ognuno di noi fa per dare senso alla propria esperienza. This Is Us ricorda, puntualmente, come le esperienze non rielaborate narrativamente e quindi non condivise, con qualcuno o con se stessi, possano correre il rischio di restare eventi senza relazioni, destinati a scomparire. Non è un caso che in diverse puntate si faccia riferimento all’importanza della memoria: spesso si vede Jack riprendere con una telecamera alcuni momenti famigliari; Jack rientra nella casa ormai divorata dalle fiamme proprio per recuperare le fotografie di famiglia; Rebecca, poco dopo la morte di Jack, vuole continuare questo lavoro di conservazione della memoria compiuto dal marito e quindi compra una nuova videocamera per immortalare il diploma dei figli.
La narrazione a cui This Is Us ci ha abituati sembra potersi diramare all’infinito, coinvolgendo non soltanto personaggi, ma anche oggetti del quotidiano. La serie si arricchisce proprio grazie alla presenza di quello che vorrei definire un “fuori campo narrativo” potenzialmente inesauribile che ne rafforza ulteriormente il senso di realtà. Nella puntata 1×12, The Big Day, è introdotto in scena un pompiere che in un confessionale si confronta con un prete sulle difficoltà del suo matrimonio. Lo spettatore segue tutta la sua vicenda fino a scoprire che è proprio quel pompiere a trovare il piccolo Randall in fasce, abbandonato davanti alla porta della caserma, e a decidere di portarlo, in seguito a un confronto riconciliante con la moglie, nell’ospedale in cui Rebecca sta per partorire. Nell’episodio 2×13 viene ricostruita la storia di come una pentola elettrica difettosa, causa dell’incendio che porta alla morte di Jack, giunga a casa dei Pearson perché regalata da due anziani vicini. La ricchezza di questo fuori campo narrativo fa convergere nel racconto personaggi ancor più che secondari, ma che, a causa dei loro sentimenti, delle loro azioni e decisioni, interagiscono con, e indirizzano, la vicenda principale dei Pearson. Niente di più simile a quanto accade nella vita di ognuno di noi, in cui le persone e le cose sono legate da una rete di relazioni di cui ci rendiamo conto, di cui scopriamo dei significati, proprio quando (ce) le narriamo.
Questo fuori-campo narrativo così vasto permette ai creatori di This Is Us di far rientrare nel campo, con una certa efficacia, perfino gli oggetti. Nell’episodio 2×15, Car, l’automobile viene utilizzata come strumento per costruire una narrazione che dal passato si muove fino al presente. La Jeep Wagoneer acquistata da Jack per fare felici i Big Three da piccoli viene poi utilizzata da adolescenti per imparare a guidare; è la stessa macchina a condurre la famiglia ai funerali di Jack e, come fa intendere il finale di puntata, a rappresentare la possibilità di vivere bene anche dopo la morte di una persona così importante. E allora non soltanto, come sostiene Michele Cometa, la narrazione ha una finalità, una funzione per il bios, organizzando l’esperienza e ridisegnando i confini di un sé che si scopre intimamente dialogico; ma questa narrazione si “distribuisce” anche su una serie di supporti mediali come il “il corpo, le cose, gli altri” che concorrono alla sua stessa formazione. L’episodio Car mostra con estrema chiarezza come la Jeep Wagoneer contribuisca sostanzialmente alla narrazione della e sulla famiglia Pearson. Questo testimoniano le parole pronunciate da Jack per convincere l’impiegato della concessionaria a vendergli la macchina a un prezzo più adeguato alle sue tasche: “Quella macchina lì fuori racconterà la storia della mia famiglia, basterà guardarla”.
La storia dei Pearson è narrata, resa nota nei suoi dettagli grazie alla possibilità costitutiva della serialità di dipanare un racconto minuziosamente. Ma l’inesauribilità del campo e del fuori campo narrativo troveranno una fine? Dan Fogelman ha recentemente affermato che la serie giungerà al termine con la sesta stagione perché desidera che gli spettatori di This Is Us possano percepire il prodotto come un intero. Anche questa scelta ci dice qualcosa del rapporto mimetico tra vita e narrazione. Il carattere aperto della vita e della narrazione viene colto come un tutto significativo anche in forza di una conclusione, di un finale.
Bibliografia
J. Bruner, Life as narrative, in Social Research: An International Quarterly, Johns Hopkins University Press, vol. 71.
M. Cometa, Perché le storie ci aiutano a vivere. La letteratura necessaria, Raffaello Cortina Editore, Milano 2017.