L’humour noir è uno dei segni ricorrenti nel cinema di Polanski, così come la predilezione per gli spazi chiusi e isolati, le “dimore inquiete” (dalla satanica casa newyorkese di Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York, 1968, alla maison hantée di L’inquilino del terzo piano, 1976, all’appartamento londinese popolato da incubi e deliri  di Repulsione, 1965) in cui i personaggi sono intrappolati e dove si affastellano e si scatenano situazioni paradossali e allucinatorie, oppure folli e sinistre, ma anche distorsioni grottesche e surreali, eccentriche e paradossali.

A volte lo spazio concentrazionario polanskiano diventa un luogo folle, specchio di un set dove sono convocati tutti i meccanismi deliranti che appartengono all’umorismo nero, a una catena di gag propria della tradizione slapstick. Su questa linea film come Che? (1972, con la grande villa sulla costiera amalfitana abitata da una congrega di eccentrici) e Per favore, non mordermi sul collo! (1967, con il suo castello in Transilvania popolato da vampiri convenuti per un grande ballo).

Sulla stessa linea, portata a un eccesso convulso e ferocemente derisorio, arriva questo The Palace (scritto con il vecchio complice dei suoi inizi, Jerzy Skolimowski, cineasta altrettanto sarcastico, irregolare e riottoso a ogni prevedibile regola). Ne viene fuori una sorta di film-sarabanda sulla mostruosità del nostro presente, con i suoi forsennati isterismi e la sua perversa frenesia, le sue ostentate corruzioni, ma anche i sinistri e inquietanti segni dei tempi. Anche qui il luogo è una sorta di castello gotico isolato su un innevato picco svizzero, il Palace Hotel, dall’architettura fiabesca e sontuosa, ma in cui subito si avverte, come in ogni favola “nera”, una minaccia che incombe. Siamo infatti allo scadere del millennio e si attende l’avvento del 2000 con il suo portato apocalittico, il Millennium bug, profezia millenaristica che si prevede sconvolga l’umanità.

Ad ogni Apocalisse che si rispetti corrisponde il caos grottesco di un carnevale, la fine del mondo richiama la sua baldoria caotica, e lo scatenamento senza freni dove ogni impulso si libera nella sua mostruosità, avida e laida. È ciò che sta per accadere negli spazi del Palace dove come ogni anno i nuovi ricchi, i ridicoli esemplari di un mondo in disfacimento, i potenti corrotti, si danno convegno per celebrare un sinistro “bal macabre“. Come un sipario che si sta per aprire su quello che sarà il pandemonio forsennato delle immagini e situazioni paradossali, cosparse dall’acido corrosivo di una satira spietata e irresistibilmente comica, Polanski ci mostra il compassato proprietario dell’hotel che nella grande hall attribuisce meticolosi compiti e istruzioni ai dipendenti (dal concierge, ai camerieri, ai facchini, alle donne di servizio…) e scandisce il “countdown” verso la mezzanotte che segnerà l’ingresso nel Terzo Millennio.

Così si assiste, come sulla pista di un circo o nello spazio di un burlesque, all’ingresso in scena della galleria dei mostri, che irrompono e capitombolano dalla porta dell’hotel in una serie di entrée. È un campionario di “maschere senza maschera”, di puri sembianti, di concrezioni iperrealistiche. La pornostar in disarmo conosciuta come “Bongo” grazie alle dimensioni abnormi del suo fallo. La nobildonna francese inseparabile dal suo cagnolino che soffre di dissenteria e defeca sulle lenzuola del letto. Il decrepito miliardario americano impalmato per interesse da una esuberante fanciulla sovrappeso e che riceve come dono di nozze un incongruo pinguino che scorrazza per l’hotel, e che suggella la sua notte di sesso rimanendoci secco. La manovalanza della mafia russa e il suo contraltare d’”apparato” emblematizzato dalla serie di valigie scaricate dalle Cadillac per cui c’è posto solo nel bunker sotterraneo che si rivelerà una sarcastica trappola. Il finanziere intrallazzone, protervo e speculatore che con il suo parrucchino biondo risulta un incrocio tra Boris Johnson e Trump, cui si accompagna uno spaurito e ridicolo omino esperto bancario perfetto e esilarante prototipo kafkiano dell’impacciato schlemihl ebraico. Le viziose e assatanate prostitute slave. Il povero cecoslovacco che si dichiara figlio non riconosciuto del riccastro finanziere e si presenta al Palace con moglie e ragazzine gemelle a seguito (ironico rimando all’incubo kubrickiano dell’Overlook Hotel). L’accolita di attempate e imparruccate cariatidi con volto tumefatto dal botox (ritorno caricaturale delle streghe di Rosemary’s). Il sulfureo chirurgo plastico Dottor Lima, corteggiato dalle stesse vegliarde desiderose di rifarsi un corpo a costo di trasformarsi in raccapriccianti figure di cera. Non a caso a interpretare, anzi a incarnare letteralmente questo corteo di mostri viventi Polanski ha lavorato sulla fisicità esposta (anche impietosamente) di una serie di attori e attrici che si rivelano autoironicamente formidabili. Dall’omaggio a una Sidne Rome rediviva (proprio la Nancy che, come Alice nel paese della meraviglie, piombava nella villa dei matti in Che?), a un eccezionale Mickey Rourke totalmente disfatto, a una Fanny Ardant che indossa con disinvoltura la sua anzianità, a Luca Barbareschi (anche produttore del film) che si diverte ad autoparodiarsi clownescamente, fino al tributo al neoburlesque dei Monty Python con la scelta di John Cleese per il riccone decrepito. Ma il colpo di genio si ha quando irrompono in TV Eltsin che fa il discorso di commiato da ubriaco e Putin che assume il potere promettendo la libertà, diventando così “attori di se stessi”.

Polański gioca gli spazi concentrazionari con la sua solita strepitosa abilità, muovendo la macchina da presa con una sinuosità ritmica che si dipana negli anfratti del Palace, nei suoi corridoi e sotterranei, nei saloni, nelle toilettes, nelle cucine, negli ascensori, nelle suites o nelle stanze anguste, nella “game room” per bambini, sulla terrazza dove, quando viene simulato il black-out del Millennium bug, i fuochi d’artificio sembrano suggellare la girandola inarrestabile delle situazioni e delle trovate visive.

Altresì Polański adotta la forma parodica, l’allegoria basso-mimetica, la tipologia del grottesco nero; riecheggia la corrente polacca del surrealismo letterario (da Bruno Schulz a Stanisław Ignacy Witkiewicz, a Witold Gombrowicz); riprende i ritmi folli dei film dei Marx, le gag a cascata di Jerry Lewis, la matericità inorganica delle commedie nere di Blake Edwards (soprattutto di un film come S.O.B., 1981); ammicca ai grandi maestri che hanno messo in forma i rapporti servo-padrone e sbeffeggiato “splendori e miserie” della borghesia (Buñuel e Renoir); omaggia la commedia mitteleuropea e quella sophisticated, da Lubitsch a Wilder.

Facendo ciò Polanski caracolla in acrobazie verbovisive spingendo a folle sull’acceleratore del ritmo indiavolato cui imprime una sorta di ilarità disperata, che procede ad un esorcismo della vecchiaia e della morte, e che configura una specie di grande “requiem” per la Fine dei Tempi (fine che non arriva e non finisce se non in una insensata coazione a ripetere, simboleggiata dal coito finale tra il cagnolino e il pinguino). Ma insieme mescola, tritura e frulla, con un ardire spudorato, quei riferimenti filmici “alti” con il genere commedico popolare “basso” guardando perfino ai Vanzina. Il grottesco nero del film emerge così in tutta la sua abissale e gargantuesca, tonitruante risata entro cui però scorre un brivido di sgomento nel guardare dal presente quell’inaugurarsi trascorso del nuovo millennio. E con pari sgomento viene da pensare che anche il nostro piccolo pianeta potrebbe trasformarsi in un immenso Hotel di “mostri viventi”.

The Palace. Regia: Roman Polanski; sceneggiatura: Roman Polanski, Jerzy Skolimowski, Ewa Piaskowska; fotografia: Pawel Edelman; montaggio: Hervé De Luze; interpreti: COliver Masucci, Fanny Ardant, John Cleese, Bronwyn James, Joaquim De Almeida, Luca Barbareschi, Milan Peschel, Fortunato Cerlino, Mickey Rourke; produzione: Èliseo Entertainment, Rai Cinema, Cab Productions, Lucky Bob, Rp Productions; distribuzione: 01 Distribution; origine: Italia, Svizzera, Polonia, Francia; durata: 100′; anno: 2023.

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