«Revenge… revenge, I want it. Oh, do I want it. I need it. I crave it. I’m completely consumed by the need for it». La quarta stagione di The Marvelous Mrs. Maisel porta in scena, sin dalla sua apertura, la marca del rapporto tra commedia e vendetta. Un rapporto non sempre esplicito che riguarda, in generale, il ruolo sociale di una pratica come quella della stand-up comedy. Ma in che senso possiamo affermare l’esistenza di un tacito legame tra comicità e vendetta? Conviene affrontare la questione a partire da un contesto a noi più familiare, che riguarda la penetrazione avvenuta, negli ultimi anni, nell’ambiente della comicità italiana, tradizionalmente dominata dal cabaret, dalla pratica della stand-up e dalla diffusione, sempre più capillare, di locali in cui praticarla, di spazi in cui affrontarne le questioni, e di programmi, anche televisivi, che si basano variamente sui suoi presupposti – basti pensare, a tal proposito, a podcast di successo come Tintoria o Cachemire Podcast, condotti da stand-up comedian come Daniele Tinti, Stefano Rapone, Edoardo Ferrario e Luca Ravenna, o a un programma come Una pezza di Lundini che già si candida ad essere studiato nei prossimi anni da una vasta schiera di analisti televisivi.
Qual è, dunque, la differenza, se c’è, tra stand-up e cabaret? Una prima, semplice, risposta potrebbe riguardare le modalità attraverso le quali questi due generi comici vengono di fatto praticati. Infatti, mentre il cabarettista recita nei panni di una maschera ben riconoscibile e stereotipata, lo stand-up comedian pratica una comicità in cui persona e personaggio tendono all’indistinzione. Il che significa, per lo stand-up comedian, portare sul palco una sorta di auto-analisi esperienziale, lì dove il cabarettista si limita al recitare ad libitum tormentoni funzionali all’anticipazione della risata – si pensi, a questo proposito, al personaggio paradigmatico di Martellone in Boris (2007-20010). Una seconda risposta potrebbe invece riguardare la relazione che questi due generi comici hanno con ciò che potremmo chiamare satira. Per “satira” intendiamo una pratica che attribuisce la causa «dell’impotenza e dell’incostanza umane non alla comune potenza della natura, ma a non so quale vizio della natura umana […] [cosicché] chi sa denigrare nel modo più arguto o eloquente l’impotenza della mente umana è ritenuto quasi divino» (Spinoza 2015, p. 895).
Da questo punto di vista, tra pratiche satiriche e cabaret, nonostante le differenze formali, a livello di “disprezzo per le debolezze” o decomposizione dei rapporti, non può essere tracciata alcuna linea di separazione. La costruzione della risata è qui unicamente funzione di un simile disprezzo. Al contrario, e generalizzando, la stand-up comedy, avendo un atteggiamento “analitico” nei confronti delle debolezze umane, tende a mettere in scena una vera e propria catarsi, che assume le forme della risata. In questa pratica, insomma, il soggetto riconosce la molteplicità – anche abietta – della propria condizione di soggetto, senza che questo implichi necessariamente una normatività morale. Esplicitiamo dunque un punto: se cabaret, satira e stand-up comedy si differenziano in qualcosa, la differenza va ricercata proprio nel rapporto che questo genere di pratiche intrattengono con l’affetto vendicativo nei confronti della comune condizione umana.
L’utilità di questo detour sta così nell’aver riconosciuto nel monologo d’apertura della quarta stagione di The Marvelous Mrs. Maisel un punto nodale per affrontare il tema della comicità in generale e dello statuto della stand-up comedy in particolare, soprattutto rispetto ad altri generi di comicità – come il cabaret – ben rappresentati in tutto l’arco narrativo della serie. La vendetta, infatti, essendo ciò che porta al disprezzo e all’annichilimento, tende a trasformare, stressandone i punti di contatto, la stand-up comedy in satira. A sparire in primo luogo è così la capacità catartica, e dunque compositiva, della stand-up, a favore della decomposizione degli affetti operata da pratiche come la satira o il cabaret nel loro disprezzo per il comportamento umano, nel suo commercio quotidiano con il mondo.
Si pensi, a tal proposito, a un altro rapporto costruito nell’arco dell’intera serie di Mrs. Maisel: il conflitto tra Midge Maisel e Sophie Lennon. In che maniera si configura? Basterebbe osservare, all’interno del sesto episodio della quarta serie, intitolato paradigmaticamente “Maisel vs. Lennon: sfida all’ultima risata”, la maniera in cui le due comiche interagiscono con il pubblico. Sophie Lennon – una opulenta cabarettista cha ha da sempre interpretato il ruolo di una stereotipata casalinga del Queens, fino all’insuccesso di una sua performance a Broadway, in cui non è riuscita a liberarsi del fantasma della propria alterigia, nella forma del disprezzo come ripetizione del noto – riversa sugli spettatori il proprio repertorio di battute ripetute all’infinito, anche semplicemente assumendo la prosodia dialettale tipica dello stereotipo delle donne povere del Queens, al fine di portare a casa una facile risata calibrata sulle aspettative del pubblico. Midge Maisel crea, invece, un coinvolgimento o una co-implicazione con il pubblico, in grado di farle dirigere il flusso del commedico a seconda delle sue intenzioni comiche. Questo finché, nello spazio che precede la messa in onda del programma televisivo nel quale il duello si svolge, non esplode il rancore tra le due donne, facendo loro dimenticare lo scopo primario della commedia: la produzione della risata come «comunione comunicativa» (Kohn, 2021, p. 205).
È in questo modo che è possibile introdurre la chiusura della stagione, e riconnetterla con il principio, nelle parole di Lenny Bruce a Midge dopo il rifiuto di quest’ultima di un incarico al Carnegie Hall – una delle più importanti sale per concerti al mondo, a New York – per poter perpetrare la sua vendetta, professando “what she wants to say”, senza alcun compromesso. Ciò che Midge vuole è, in un certo senso, la possibilità di umiliare e di schiacciare come è stata umiliata e schiacciata da Shy Baldwin, abbandonata all’aeroporto, nel finale della terza stagione.
Come Baldwin in quel contesto ha esercitato il proprio potere su di lei, nelle forme del prestigio e dell’influenza, ora Midge vorrebbe trasformare la propria comicità in un potere inverso, in grado di garantirle un regolamento di conti con l’esistenza tutta. È allora che il personaggio di Lenny Bruce – ricordato per essere lo stand-up comedian irriverente per eccellenza – dice qualcosa di spiazzante e rivelatore di almeno parte della funzione che abbiamo fino ad ora assegnato alla stand-up comedy, in un rapporto differenziale con satira e cabaret: «I want people to fucking laugh. Think and laugh, sure, but laugh. I’m a comic». Soprattutto che gli altri ridano, dunque, è questo il mestiere del comico. Nessuna vendetta da perpetrare, nessuna passione triste da fomentare. Si tratta unicamente della riscoperta della risata come affetto compositivo, come compossibilità di un istante in cui la comune condizione umana è liberata tanto dal peso di ogni normatività morale, quanto dal bisogno di ferire.
Riferimenti bibliografici
E. Kohn, Come pensano le foreste, Nottetempo, Milano 2021.
B. Spinoza, Etica, in Opere, a cura di F. Mignini, Mondadori, Milano 2015.
The Marvelous Mrs. Maisel – Stagione 4. Ideazione: Amy Sherman-Palladino; interpreti: Rachel Brosnahan, Michael Zegen, Alex Borstein; produzione: Amazon Studios; distribuzione: Amazon Prime Video; origine: USA; anno: 2022.