“Giuramelo! Giurami che tutto quello che mi hai raccontato sulle Luci è vero”, chiede inquieta Ellie (Bella Ramsey). “Lo giuro”, sentenzia Joel (Pedro Pascal), tentando di mascherare l’orrore della sua menzogna. “Okay”, risponde la ragazza, superando la sua perplessità con un ultimo atto di fiducia. Si chiude con l’asciuttezza estrema di uno scambio di battute dalle vertiginose implicazioni morali l’ultimo episodio della prima stagione di The Last of Us, adattamento targato HBO dell’omonimo videogame survival horror sviluppato da Naughty Dog. Dopo aver attraversato un’America devastata dalla pandemia da Cordyceps, un fungo capace di trasformare gli esseri umani in spaventosi zombi, con la speranza che l’immunità della giovane Ellie potesse rivelarsi il germe per una cura, un uomo che ha dovuto affrontare il dolore della perdita di una figlia mente alla ragazzina che ha colmato quel vuoto.

Ellie sarebbe dovuta morire per permettere agli scienziati delle Luci, un gruppo militare rivoluzionario che lotta per la libertà e il ripristino di un governo giusto, di sviluppare un vaccino contro il Cordyceps. Joel salva la ragazza, massacra i rivoluzionari che la tenevano in ostaggio e deliberatamente priva l’umanità di una possibile occasione di rinascita, perché incapace di sopportare l’idea di perdere la figlia putativa e rivivere il trauma del lutto. Ad Ellie, incosciente a causa dei farmaci durante il massacro e la fuga, spiega che gli scienziati avevano intercettato altri immuni e che i test eseguiti su di lei erano risultati vani. Una menzogna suggella l’arco di trasformazione di Ellie, privata tanto dagli scienziati quanto da Joel della possibilità, giunta al culmine del suo coming of age, di autodeterminarsi e scegliere consapevolmente di sacrificarsi per tentare di porre fine alla pandemia. 

Il viaggio dell’eroina viene strozzato dalle scelte di un antieroe che solo apparentemente percorre un classico arco di trasformazione (Vogler 2020). A primo acchito Joel pare un piuttosto stereotipato contrabbandiere sulla cinquantina cinico e burbero, ossessionato dall’autoconservazione, il quale con riluttanza intraprende un’avventura al fianco di una quattordicenne che lo aiuta a superare il suo trauma e a far riemergere la sua magnanimità paterna. Un antieroe, insomma, che, oltrepassata la tappa cardine nel viaggio dell’eroe della morte e resurrezione figurate (tra il sesto e l’ottavo episodio), si dovrebbe riscoprire paladino pronto all’estremo sacrificio per un bene superiore. Su questo punto però The Last of Us, dopo aver in realtà disseminato per tutta la sua durata sinistri segnali circa la vera natura di Joel, mette in scacco le aspettative dello spettatore: Joel non è un antieroe pronto al suo riscatto, ma l’epitome della complessità dell’umano, che sfugge da ogni forma di affrettato moralismo

Alberga in questo ribaltamento il cuore di un racconto che disarticola gli archetipi e, con una lucidità caustica che non rinuncia però a barlumi di speranza, ricorda costantemente agli spettatori che la vera minaccia da affrontare non è un virus, ma l’ambiguità che cova fra le idiosincrasie dell’umanità stessa. Un movimento già innescato nella strutturazione drammaturgica del videogioco, che trova nel formato seriale terreno fertile per manifestarsi con maggiore evidenza. Una tangibilità dovuta, da un lato, alla differente maniera il cui lo spettatore e il videogiocatore interagiscono con il media di riferimento e, dall’altro, all’intrecciarsi di questa riconfigurazione del modello con discorsi legati alla rappresentazione della mascolinità, che diventano strutturali nella serie

The Last of Us, nella sua versione videoludica, ibrida dinamiche action da “sparatutto”, declinato nel genere del survival horror, a sezioni dedicate ad una limitata ma fondamentale esplorazione del mondo post-apocalittico in cui si ambienta la storia, e ad una meticolosa cura nella strutturazione narrativa e nella caratterizzazione dei personaggi, tipicamente associata alla categoria delle avventure grafiche.

Pur impossibilitato a modificare gli eventi cristallizzati in uno script che conduce verso un’unica e precisa risoluzione, giocando in prima persona nei panni dei protagonisti della storia (in particolare di Joel per la maggior parte del gameplay) il videogiocatore contribuisce con il proprio investimento emotivo alla caratterizzazione del personaggio. Come ricorda Celia Pearce, infatti, nel videogioco «it is important that the character is incomplete, because if the character is too developed there is nothing compelling for the player to contribute» (2004). Nel salto mediale, però, viene meno l’interazione attiva: la serie deve necessariamente, quindi, sfruttare gli strumenti della narrazione per donare ai personaggi una tridimensionalità tale da permettere allo spettatore una immedesimazione passiva. 

Il Joel del videogioco si muove con agilità nello stereotipo dell’antieroe bianco americano tutto d’un pezzo, brusco e scontroso perché incapace di metabolizzare un dolore che, in quanto “maschio”, non si sente legittimato ad esternare se non attraverso sanguinosi raptus di violenza. Il personaggio videoludico condivide con la controparte seriale questa sofferenza, che si origina dal senso di colpa schiacciante dovuto all’omicidio della figlia Sarah, avvenuto vent’anni prima durante le fasi iniziali della pandemia. Il tormento, d’altro canto, è alimentato dalla repentina necessità di adattarsi ad un nuovo assetto mondiale post-apocalittico, in cui la fame, la violenza e il pericolo della morte si fanno costanti. Nell’adattamento seriale, però, Joel smette di essere glorificato come un vincente perché capace di trattenere il suo dolore: il suo arco narrativo diventa un complesso (e per questo interessante) percorso verso la validazione della vulnerabilità maschile

Innanzitutto, a differenza del videogioco, la serie anticipa di qualche ora il prologo che racconta lo scoppio della pandemia dal punto di vista di Joel e Sarah. Grazie a questo espediente narrativo lo spettatore scopre quanto è forte il legame tra padre e figlia, ma soprattutto è in grado di verificare che ben prima della catastrofe Joel conviveva con la consapevolezza di essere un padre non abbastanza presente rispetto ai bisogni della figlia.

Per più di vent’anni l’uomo cova questo rancore verso sé stesso e si trincera nel suo senso di colpa, si arma della sua aggressività e si difende ferendo (fisicamente e metaforicamente) chiunque gli si avvicini. Joel, consumato dall’orgoglio, si ostina a non chiedere aiuto e a soffocare le sue emozioni, ma quando incontra Ellie il suo meccanismo di autodifesa si inceppa, manomesso dal carisma pungente di una bambina ferita che cerca in lui protezione e la figura genitoriale che gli è stata negata dalla sorte. Così la ragazzina diventa lo specchio cui l’uomo può mostrarsi in tutte le sue debolezze.

La sua vulnerabilità deflagra quando, ritrovato il fratello Tommy nel sesto episodio, Joel riesce finalmente a scendere a patti con la stanchezza che lo indebolisce, gli incubi che lo perseguitano, con gli attacchi di panico che lo irretiscono e che lo spettatore ha visto susseguirsi nelle puntate precedenti (assenti nel videogioco). L’uomo rivela a sé stesso e al fratello di non riuscire a scendere a patti con il suo trauma e di sentirsi schiacciato dal senso di responsabilità che prova nei confronti di Ellie. Ha paura di non riuscire a difendere la ragazzina come avvenuto con Sarah, di perdere nuovamente una figlia. Non è un caso che il sesto episodio si chiuda con l’accoltellamento di Joel: l’uomo, esternata la propria fragilità emotiva viene ferito quasi mortalmente, si ritrova ad essere incapace di provvedere a se stesso e deve abbandonarsi alle cure di Ellie

Il Joel della serie, pur rivelandosi un combattente apparentemente inarrestabile nel momento del bisogno, è un uomo fallibile, che si assopisce mentre dovrebbe fare da guardia ad Ellie ed è sordo da un orecchio perché, come rivela alla ragazza sul finale, sopraffatto dal dolore per la morte di Sarah aveva tentato il suicidio senza successo. Quest’ultima rivelazione è assente nel videogioco, ma diventa tassello fondamentale dell’approfondimento psicologico di Joel. Oltre a questi accorgimenti narrativi il medium seriale, d’altro canto, è in grado di lavorare sulla decostruzione dell’archetipo incarnato dal contrabbandiere anche grazie all’apporto attoriale di Pedro Pascal. Se nel videogioco, infatti, i personaggi animati attraverso la motion capture possono solo tendere all’intensità emotiva che il corpo e il volto di un attore possono donare, nel live action la performance dolente e misurata di Pascal contribuisce ad alimentare il coinvolgimento dello spettatore. Un attore latino che riconfigura la maschera dello spietato, impenetrabile e convenzionalmente bianco eroe action americano

The Last of Us riesce a operare con acume questa riscrittura del maschile perché non cade nel tranello di giustificare le azioni brutali di Joel, come il rifiuto di soccorrere una famiglia in difficoltà e l’omicidio del soldato nel primo episodio o la tortura degli uomini che gli davano la caccia nell’ottavo episodio. L’escalation di violenza culmina con il massacro delle Luci nell’ultima puntata, quando il montaggio accompagna la freddezza della carneficina e la macchina da presa indugia sui corpi esanimi delle vittime, ricordando allo spettatore che la vulnerabilità non legittima l’efferatezza.

Joel è sceso a patti con i propri demoni, torna a provare speranza verso un futuro che si augura al fianco di Ellie, si apre all’amore di questa figlia putativa, ma proiettando su di lei il fantasma di Sarah, ne diventa emotivamente dipendente al punto da non riuscire a contemplare l’idea di perderla. Anche a costo di condannare l’intera umanità. Si tratta della scelta di un non-eroe che obbliga qualunque giudizio affrettato a sospendersi e invita lo spettatore, profondamente coinvolto, a muoversi come i personaggi della serie nella complessità, oltre gli stereotipi, in bilico tra un’apparente salvezza e la voragine aperta da un falso giuramento

Riferimenti bibliografici
C. Pearce, Towards a Game Theory of Game, in FirstPerson. New Media as Story, Performance, and Game, a cura di N. Wardrip-Fruin, P. Harrigan, The MIT Press, Cambridge 2004.
C. Vogler, Il viaggio dell’eroe, Dino Audino, Roma 2020.

The Last of Us. Ideatori: Craig Mazin, Neil Druckmann; interpreti: Pedro Pascal, Bella Ramsey; produzione: The Mighty Mint, Word Games, PlayStation Productions, Naughty Dog, Sony Pictures Television; distribuzione: HBO; origine: Stati Uniti d’America; anno: 2023-in produzione. 

Share