“Lo sappiamo tutti qual è il destino degli eroi. Morire nella gloria…o nei monumenti nelle piazze…o essere buttati giù dal piedistallo”. Sono le parole che Nino Scotellaro (Luigi Lo Cascio) pronuncia in voice over nei primi minuti di The Bad Guy (Amazon Prime Video, 2023), ponendosi in linea con la retorica sull’eroismo (e sull’antieroismo) presente nella miniserie, funzionale a un processo di autoriflessione sul genere crime.

Diretta da Giancarlo Fontana e Giuseppe G. Stasi, The Bad Guy lavora già dall’incipit appena accennato a decostruire l’immaginario della lotta alla mafia, con un protagonista, magistrato stimato, che al termine della prima puntata finisce per vestire i panni del criminale, dell’antieroe per necessità alla maniera di Walter White. Niente di più lontano dalla narrazione eroica che la produzione mediatica ha costruito intorno a quelle figure illustri che in più occasioni hanno anche pagato con la vita la loro opposizione alle organizzazioni criminali.

The Bad Guy procede nel suo pilota tramite due meccanismi complementari: il primo di rievocazione di questo immaginario, il secondo di decostruzione dello stesso. La serie stimola la memoria collettiva degli spettatori, mettendo in scena riferimenti espliciti e iconografici legati alla lotta alla mafia, come le intercettazioni, le stragi, i processi. La presenza di un attore come Luigi Lo Cascio nei panni del protagonista è parte di questa strategia: Lo Cascio è un attore che ha costruito la propria carriera su una serie di film di forte impegno politico e sociale, se non addirittura di aperta tematizzazione della lotta a Cosa nostra (I cento passi, Giordana, 2000) e che contribuisce così a segnalare la serie come parte dell’immaginario di cui sopra.

Gli ultimi minuti della puntata tradiscono questa rappresentazione, con il protagonista Scotellaro che da sospettato diventa prima condannato, poi evaso e infine “mafioso”. Da qui in poi la serie procede lungo un binario che si distacca fortemente dalla tradizionale rappresentazione della criminalità organizzata. Questo ribaltamento di aspettative arriva dopo anni in cui la produzione seriale italiana ha raccontato la mafia con un registro grave, talvolta estremo, che ha suscitato spesso e volentieri scalpore e ha prodotto dibattiti circa la legittimità di una tale insistenza sulla ferocia del male.

Si pensi, ovviamente, a La piovra (Rai 1, 1984 – 1998; Rai 2, 2001), primo frutto della concorrenza duopolista tra Rai e Fininvest, che nasce come contraltare all’import di serie televisive di successo dagli Stati Uniti. La sua natura di melodramma sociale (Buonanno 2012, p. 50) rende questa serie testimone della realtà spietata che circonda la mafia, dove Cosa Nostra diventa sineddoche del male assoluto.

Progressivamente la serialità crime italiana ha assunto sempre di più il punto di vista dell’antieroe criminale, con un’esplosione nella fortunata stagione iniziata da Romanzo Criminale – La serie (Sky, 2008 – 2010) e proseguita con Gomorra – La serie (Sky, 2014 – 2021) e Suburra – La serie (Netflix, 2017 – 2020). In questi titoli il registro drammatico utilizzato per raccontare gli esponenti della malavita raggiunge livelli notoriamente molto alti: Gomorra, escludendo completamente dal suo campo d’azione le forze dell’ordine e concentrandosi solo sui suoi protagonisti, racconta una vera e propria distopia del male (Benvenuti 2017, p. 135), dove i terribili atti che vengono compiuti impediscono un’identificazione del pubblico con qualunque personaggio. Non secondariamente questa accezione tragica si accompagna ad un grande realismo, determinato dalla lingua e dalle ambientazioni, ma anche dallo sguardo attento con cui si raccontano le attività della camorra.

In termini di rappresentazione il divario con The Bad Guy è evidente. Questa miniserie rifugge il realismo e così come decostruisce la figura dell’eroe impegnato nella lotta alla mafia, decostruisce anche l’immaginario circa i rappresentanti del crimine, abbandonando il registro drammatico in favore di uno comico e grottesco, che dà al prodotto un tono più da commedia che da tragedia. Incursioni apertamente farsesche, come il videoclip musicale con protagonista il duo Colapesce Dimartino che apre la terza puntata, ne sono una dimostrazione.

Ma si veda più nel dettaglio il modo in cui la serie affronta in maniera dissacratoria una delle pratiche centrali nelle attività della criminalità organizzata, l’estorsione: nella quinta puntata Nino Scotellaro, ormai a capo del clan dei Tracina, organizza un piano per sabotare l’attività di una grande società di e-commerce. Segue un montaggio che mostra gli effetti di questo piano tramite una serie di scene comiche che vedono i personaggi posti difronte alla surreale condizione di vedersi recapitare pacchi dal contenuto bizzarro e inspiegabile. Questa e altre sequenze, inoltre, si staccano dalla serietà tipica delle serie crime anche per il tono e la struttura riconducibili all’heist movie.

In generale i protagonisti di The Bad Guy perseguono il crimine senza però rimandare mai ad un più universale concetto di male e la violenza, quando c’è, ha sempre una declinazione pulp molto forte. Questo intento umoristico traspare anche e soprattutto dalla scelta di affidare il ruolo di Mariano Suro, antagonista principale, ad Antonio Catania, attore noto soprattutto per la sua partecipazione in produzioni cinematografiche e televisive di forte impronta comica. Anche qui, come per Lo Cascio, la serie sfrutta la capacità dell’attorialità di caratterizzare il prodotto. Malgrado in questa prima stagione il personaggio di Catania appaia solo pochi minuti, è evidente che l’intenzione sia quella di costruire un personaggio che, nonostante l’indole malvagia, si avvicini maggiormente ad un linguaggio da commedia, per lo meno per l’immagine che il grande pubblico associa alla sua figura.

Da un lato si deve considerare che un approccio di questo tipo è coerente con lo stile prettamente comico dei due registi; d’altro canto questa trattazione della materia è in qualche misura avvicinabile all’adozione di formule glocali all’interno di produzioni seriali che mirano ad una circolazione transazionale. Anche in The Bad Guy è evidente una dialettica tra locale e globale, tra riferimenti diretti a un pubblico nazionale ed espressioni caratteristiche della narrativa universale, ma allo stesso tempo questo titolo deve scontare una mancanza rispetto ad altre serie crime italiane.

Negli ultimi anni sono state molte le produzioni italiane appartenenti al genere crime a circolare al di fuori dai confini nazionali, non solo per merito della qualità delle singole opere, ma anche per l’attrattiva che questo genere esercita sui pubblici. Sono titoli che hanno riscosso successo sia in Italia che all’estero, successo che in parte si deve al loro essere componenti di narrazioni più ampie, di origine letteraria e/o cinematografica. Rispetto a opere come Gomorra e Suburra, The Bad Guy non può contare su un brand riconoscibile alle spalle e ricorrere ad un registro che consenta di giocare su un territorio meno battuto può essere un modo per risaltare in mezzo ai tanti titoli del mercato italiano ed essere più attrattivo anche per il mercato estero.

È un meccanismo di differenziazione rispetto ad un panorama che ha mostrato negli anni una certa ripetitività in termini di messa in scena e di identità artistiche e tecniche, che però non volta le spalle completamente alla tradizione. Permangono infatti i legami con una modalità tipicamente italiana di tratteggio comico delle forze dell’ordine, nonché la tematizzazione della perdita di fiducia nei confronti delle istituzioni, soggetto che il cinema italiano ha spesso toccato con oscillazioni tra la commedia e il dramma puro. Con questa dialettica The Bad Guy sembra volersi configurare come ponte tra il vecchio e il nuovo, tra un tipo di rappresentazione più affermata e nuove possibilità di raccontare la mafia.

Riferimenti bibliografici
G. Benvenuti, Il brand Gomorra. Dal romanzo alla serie TV, Il Mulino, Bologna 2017.
M. Buonanno, La fiction italiana, Laterza, Bari 2012.
F. Pagello, Dal Giallo al crime. Glocalismo, transculturalità e transmedialità nel poliziesco italiano contemporaneo, in “Mediazioni”, n. 28, 2020.

The bad guy. Regia: Giancarlo Fontana, Giuseppe G. Stasi; interpreti: Luigi Lo Cascio, Claudia Pandolfi, Vincenzo Pirrotta, Selene Caramazza; produzione: Amazon Studios, Indigo Film; distribuzione: Amazon prime Video; origine: Italia ; durata: 50′(episodio); anno: 2022.

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