Dopo la corposa raccolta degli scritti di Umberto Eco sulla televisione, curata da Gianfranco Marrone nel 2018, La nave di Teseo manda ora in libreria un volume altrettanto consistente dedicato agli scritti che il più illustre semiotico italiano ha dedicato all’arte. Al timone dell’operazione c’è questa volta Vincenzo Trione, coraggiosamente affiancato da Anna Luigia de Simone e altri sodali (suoi e di Eco) nella complessa operazione di scavo, recupero, organizzazione dei materiali. I due volumi hanno approcci differenti, dovuti tanto alla diversa materia quanto al punto di vista scelto dai due curatori. Gli scritti sulla televisione avevano un oggetto tutto sommato omogeneo, per quanto soggetto a profondi cambiamenti: Marrone spiega come Eco non solo abbia saputo cogliere tali trasformazioni, ma le abbia sapientemente connesse all’evoluzione della disciplina semiotica.
Nel caso dell’arte la materia è molto più magmatica e l’oggetto della riflessione perde la sua unicità: il volume ricomprende e ordina le riflessioni di Eco sull’arte (soprattutto sulle varie forme di Avanguardia), ma le connette a quelle sull’estetica e sulla storia dell’estetica; sull’idea di bello, di brutto e di kitsch; sulla semiotica dei segni iconici; sul mondo dell’arte, dei musei, dei loro curatori, dei beni culturali; sulle arti in generale, soprattutto sulla musica anche nelle sue interazioni con le arti visive; per arrivare alle varie occasioni in cui Eco si è misurato direttamente con il mondo dell’arte come curatore di mostre o partecipando a una videoinstallazione alla Biennale di Venezia del 2015 sotto la cura dello stesso Trione. Il quale, nel riflettere su questo esteso e variegato materiale, sceglie una strada in un certo senso opposta a quella di Marrone: valorizzare non l’evoluzione del pensiero di Eco ma al contrario le sue idées fixes, che rendono questo vasto complesso un opus relativamente omogeneo per quanto distribuito nell’arco di più di sessant’anni.
Ma esiste effettivamente un tema centrale e ricorrente che permetta di unificare il «frammentario, discontinuo, divagante, stratificato, labirintico e, soprattutto, involontario opus magnum scritto [da Eco] nel corso degli anni»? Direi che la risposta è negativa se si cerca un unico tema centrale, ma positiva se si pensa a una costellazione di argomenti, curiosità, atteggiamenti, ossessioni, temi teorici. Credo di interpretare in tal modo correttamente lo stesso Trione che, nella sua introduzione, organizza tale costellazione intorno ai tre nuclei della riflessione teorica, del confronto con le poetiche delle Avanguardie, e delle pratiche (curatoriali e artistiche) che hanno definito il rapporto di Eco con l’arte e le arti. Ripercorro a ritroso i tre nuclei.
Qualificare Eco come artista visivo (come un po’ provocatoriamente fa Trione a un certo punto) mi sembra eccessivo. Certo, nelle sue pratiche il Professore è stato occasionalmente co-curatore di mostre, ha pensato romanzi illustrati, ecc. E chiunque lo abbia minimamente frequentato ricorda la sua ossessione per il jotting durante le altrui conferenze (Eco produceva paginette di schizzi a commento di quanto ascoltava; normalmente le regalava poi al perplesso conferenziere che tornava a casa custodendole come l’acqua di Lourdes: prima o poi una mostra qualcuno, forse Trione, dovrà organizzarla). Un punto però è indubitabile: per Eco il disegno era una forma di pensiero. Non a caso i punti chiave dei suoi libri sono accompagnati da diagrammi indispensabili per la loro piena comprensione (penso per esempio al Trattato di Semiotica generale, su cui torno tra poco).Per quanto riguarda la relazione con le poetiche dell’Arte contemporanea, e in particolare con le Avanguardie, mi sembra che dal volume emerga un tratto particolare e poco studiato in precedenza. Eco è senza dubbio un modernista, ma un modernista pessimista. Sa bene che l’arte dopo la morte dell’arte è fatta di gesti di rottura, di shock, di sperimentazione; partecipa lui stesso alle avventure del Gruppo 63, frequentando e confrontandosi con molti artisti. Pure, Eco è consapevole della sorte nichilista di ogni avanguardia, destinata a essere riassorbita nei codici più o meno mainstream; e, soprattutto, sembra sempre un po’ infastidito dalla retorica che sta dietro il gesto avanguardistico, con la sua messa in scena inevitabilmente clamorosa.
Le poetiche preferite da Eco sono piuttosto quelle novecentesche della discrezione, della parola o dell’immagine enunciate a mezza voce, del pittore per così dire in pigiama: al Montale letto di nascosto sotto il banco corrisponde la folgorazione per il Morandi visto per quindici giorni di seguito nella occasionale mostra alessandrina. Ne deriva un distacco tinto di ironia e di una qualche perplessità rispetto ai movimenti artistici novecenteschi, che si esprime per esempio nella moltiplicazione delle categorie oppositive proposte per la loro analisi (arte vs. meta-arte, sperimentalismo vs. avanguardia, arte di comportamento vs. arte concettuale, etc.). Ma che emerge bene anche altrove, per esempio dal tono sornione con cui Eco illustra alcuni fenomeni dell’arte contemporanea in alcune puntate della trasmissione Occhio critico – Informazioni d’arte della Radiotelevisione della Svizzera Italiana alla metà degli anni settanta (che costituiscono un buon pendant audiovisivo di molti saggi riportati nel volume).
Infine, la riflessione teorica. A me sembra che all’interno di questo terzo nucleo, l’idea di una forte coerenza del pensiero di Eco funzioni in modo particolarmente efficace. Trione ricorda molto opportunamente l’influsso che esercitò su Eco l’idea della formatività di Pareyson: il fare artistico è un confronto operoso con la materia che nella produzione di forme inventa ed esprime le regole del proprio farsi; un’idea vicina a quello che oggi chiamiamo la Material Engagement Theory. L’adozione di questo punto di vista consente ovviamente un allontanamento dall’estetica dell’ineffabile crociano; ma pone due problemi fondamentali e strettamente collegati: quello della storicità del fare artistico (il versante, diciamo, Hauser); e quello della relazione ermeneutica tra lo spettatore e l’opera d’arte (il versante Gombrich: ma il problema della “barricata” che si alza tra autore e fruitore e dei suoi superamenti pratici e teorici è una costante del pensiero di Eco, come Trione ricorda anche con un aneddoto personale).
Gli sviluppi semiotici del pensiero di Eco si possono leggere come la configurazione di una teoria che tenga insieme formatività, interpretazione e storicità/culturalità dei prodotti espressivi. Di qui dapprima la “polemica sull’iconismo”, con il tentativo di individuare livelli di codificazione e unità minime nelle immagini al pari di quelli rinvenibili nelle lingue (il volume antologizza alcuni passi chiave de La struttura assente, del 1968). Poi, dopo un ripensamento (onore al merito a Trione per aver recuperato un saggio fondamentale e difficilmente reperibile quale Chi ha paura del cannocchiale?, del 1975) l’approdo a uno dei vertici del pensiero di Eco: la teoria dei modi di produzione segnica che occupa la seconda parte del Trattato del semiotica generale del 1975 (il volume curato da Trione riporta il capitolo sul testo estetico, ma suggerisco al lettore interessato di recuperare anche quello precedente, e in particolare il paragrafo sull’invenzione come istituzione di codice). Emerge qui il ruolo specifico delle arti visive all’interno dell’economia semiotica, consistente nel rinnovare non solo i modelli con cui “pensiamo” il mondo (invenzione moderata), ma anche quelli mediante cui lo percepiamo (invenzione radicale).
Sono partito sottolineando le differenze tra il volume sulla televisione e quello sull’arte; in conclusione vorrei però mettere in luce anche un elemento comune di non poca importanza. Mano a mano che si delineano, grazie a questi volumi antologici, i tratti complessivi della riflessione di Umberto Eco su temi specifici quali i media e le arti, emergono due aspetti profondamente correlati. Da un lato, si chiarisce il panorama dell’avventura intellettuale di Eco, che appare sempre di più incarnare in forma esemplare intuizioni, ossessioni e limiti del Secolo breve. Dall’altro lato, affiora l’intima contraddizione che attraversa la Semiotica stessa: impresa culturale che intende fondare modelli sovrastorici e trans-storici ma che si muove comunque all’interno di situazione culturali inevitabilmente situate e caratterizzate.
Umberto Eco, Sull’arte. Scritti dal 1955 al 2016, a cura di Vincenzo Trione, La Nave di Teseo, Milano 2022.