Non sempre i rapporti umani assumono una configurazione abbastanza chiara da permettere di dire, senza alcuna approssimazione e con apodittica certezza, di essere amici, compagni oppure amanti; molto più semplicemente, si è qualcuno per un altro o per un’altra, senza alcuna necessità di dettagliare la natura di un legame che indica, di fatto, soltanto un’esperienza comune. In fondo, la necessità di dire “cosa” si è e per “chi” lo si è, è un retaggio di convenzioni sociali che ci vogliono incasellati in una griglia di definizioni attraverso cui i corpi degli individui vengono privati della libertà di essere sempre anche qualcos’altro o, perlomeno, di essere più “cose” contemporaneamente: amica o amico e compagna o compagno e amante. Proprio come sono, l’una per l’altro e viceversa, Claudia Fanelli e Francesco Veleno, i protagonisti di Spatriati (2021) di Mario Desiati, vincitore del Premio Strega 2022.

Desiati che, già nel romanzo Il paese delle spose infelici (2008, da cui il film omonimo diretto da Pippo Mezzapesa del 2011), aveva tratteggiato i paesaggi e le contraddizioni di una terra dalla quale si decide di partire o nella quale si decide di restare, torna a Martina Franca con la storia di una ragazza e di un ragazzo che prima si osservano da lontano, e poi si riconoscono perché entrambi sono, si sentono e vivono da spatriètə. Come lo stesso autore spiega nelle sue “Note dallo scrittoio o stanza degli spiriti” a conclusione del volume (utilissimo archivio di approfondimento ipertestuale per una contestualizzazione teorica e critica del romanzo), spatriato è l’individuo «disorientato, ramingo, stordito, senza arte né parte» (Desiati 2022, p. 267) o ancora, come si legge nell’esergo della seconda parte, spatriato è l’individuo «ramingo, senza meta, interrotto, […] balordo, irrisolto, allontanato, sparpagliato, disperso» (ivi, p. 43). Spatriati sono Claudia e Francesco.

Quando un fronte d’aria fredda incontra a terra una massa d’aria calda, quest’ultima si alza al cielo. Nascono i temporali. Pioggia e fulmini, acqua e fuoco. Non ho mai capito chi tra i due fosse il caldo e chi il freddo, ma mi ritengo fortunato di aver incontrato il mio fronte opposto in Claudia Fanelli, la spatriata, come qui chiamano gli incerti, gli irregolari, gli inclassificabili, a volte i balordi o gli orfani, oppure celibi, nubili, girovaghi e vagabondi, o forse, nel caso che ci riguarda, i liberati (ivi, p. 5).

Unico narratore della storia è Francesco che, spesso, si fa mediatore della vita, dei pensieri e delle esperienze di Claudia, la cui voce – a eccezione dei dialoghi diretti – è sempre rimodulata sulle sue tonalità. Sin dalle prime battute del romanzo emerge una duplice conflittualità: in primo luogo, la complementarità atipica tra i due, l’una “il fronte opposto” dell’altro; in secondo luogo, la percezione di un “fronte comune” formato da entrambi, baluardo di resistenza nei confronti del giudizio sociale pervasivo e limitante – eppure, come si è letto poco fa, Francesco dice di entrambi che sono “i liberati”, non gli emarginati. Nel corso del romanzo, si imparerà a comprendere bene il significato di tale liberazione che, per una generalizzazione quasi necessaria, si estende a tutti coloro che sono orgogliosi per aver compiuto un gesto radicale: smettere di cercare la stabilità che, da sempre, è stata loro negata.

A differenza di molti romanzi che, nel corso degli ultimi decenni, hanno rappresentato un punto di riferimento generazionale a partire dalla tematizzazione di un legame forte e, talvolta, capace di imporsi al di là dell’amore (si pensi, a titolo esemplificativo, a Due di due di Andrea De Carlo, 1989, oppure a La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano, 2008), Spatriati si fonda sull’eccentricità, cioè sulla volontà di divergere da qualsiasi costrizione di stabilità come viene anche testimoniato dall’esergo del romanzo, tratto da una lettera che Giacomo Leopardi scrive a Pietro Giordani nel 1827: «…mai contento, mai nel mio centro…». In altri termini, questa tendenza a rifuggire qualsiasi centro agisce come una costante spinta verso l’esterno che, tuttavia, non è retta dalla vanità naïf di essere contrari a un sistema di cui – per abitudine e per imposizione – si rispettano i più minuti orpelli: Claudia e Francesco sono insieme perché la continua dissoluzione del loro rapportarsi è l’unica ragione del loro equilibrio, e questo è sufficiente.

È sufficiente quando Claudia scopre che la madre di Francesco ha una relazione con suo padre, quando le famiglie di entrambi si ricongiungono, quando lei interrompe i rapporti con sua madre; è sufficiente quando Claudia e Francesco si baciano, quando lei si trasferisce a Londra, a Milano, e infine a Berlino dove lui la raggiunge; è sufficiente quando Francesco bacia Domenico, quando Claudia bacia Erika, quando entrambi si innamorano di Andria – e forse non è casuale la scelta di quest’ultimo nome, a richiamo di una Puglia lontana dalla porosità del KitKat, del Lab.oratory, del Berghain e degli shisha club e, nonostante questo, in grado di farli ricongiungere su un terreno comune che è il corpo di un uomo. Del resto, il loro amore è legato alla materialità dei rispettivi corpi, al punto che, in un passo del romanzo, Francesco riflette su quanto scritto «nel vecchio dizionario del sacerdote dialettologo Giuseppe Grassi», in cui il termine amore «vale come sinonimo di “sapore”» (ivi, p. 260). Dunque, l’amore degli spatriati si riduce alla cura sensoriale, e non c’è nessun ideale romantico a opporsi a questa fame di sapore che declina verso la ricerca di un gusto che si raffina a ogni esperienza.

Dato che Claudia e Francesco impiantano il rispettivo amore nella terra, il loro legame non è fluido, anzi, è radicato nel desiderio materiale di qualcosa che si può toccare e assaggiare. È un amore che non ha bisogno di definizioni perché trova tutto ciò di cui ha bisogno nelle opere di alcuni tra i più influenti intellettuali e scrittori pugliesi contemporanei come, ad esempio, il “pensiero meridiano” di Franco Cassano («bisogna essere lenti come un vecchio treno di campagna, come chi va a piedi e vede aprirsi magicamente il mondo, perché andare a piedi è sfogliare il libro e invece correre è guardarne soltanto la copertina», ivi, p. 70); i versi di Biagia Marniti («Riposare vorrei | Dove gli alberi sono quieti», ivi, p. 249) e di Raffaele Carrieri («Io sono quello | che sbaglia tutto. | Il verme, il frutto. | Sbaglio l’amore, | sbaglio nel largo, | e nello stretto, | sbaglio a morire | dove non sono…» ivi, p. 146); le parole di La malapianta (1964) di Rina Durante, romanzo che Francesco legge, restando «colpito dal concetto di “franare stando in piedi”, una sensazione che si prova mentre il tuo corpo resta su, senza scosse e cambiamenti, ma dentro “te ne sei andata e hai detto addio a tutti”. Proprio come aveva fatto Claudia» (ivi, p. 114).

A tutti, ma non a lui, perché lei gli ha insegnato a “crescere foresta”, facendogli conoscere l’importanza di «Analisi in famiglia di Maria Marcone, la storia di una donna del Sud che è circondata da parenti maschilisti, gretti, ma lei è colta, scrive, crede nella psicoanalisi, vede ovunque cordoni ombelicali marciti e atrofizzati, persone che se li portano appresso con il terrore di reciderli» (ivi, p. 113). Grazie a Claudia, per Francesco anche i libri diventano fonti piene di amore, cioè di sapore, oggetti le cui pagine sono da strappare a morsi alla ricerca degli alimenti più adatti a colmare i desideri del proprio corpo oppure, come Francesco ammette a se stesso, forse «solo per sapere che qualcuno ci è già passato» (ivi, p. 146). Leggere per ritrovare la ragione della propria esperienza attraverso uno o più sguardi capaci di non “spatriare” il proprio corpo.

Alla luce di quest’ultima considerazione, il romanzo di Desiati non può essere ridotto a una lettura politicamente orientata, ma dev’essere accolto semplicemente per ciò che è: il racconto di una donna e di un uomo che si incontrano in un luogo in cui imparano a essere “Claudia” e “Francesco” – due nomi in perenne gravitazione attorno a un nucleo che li terrà uniti a patto che non si avvicinino mai al centro. In questa prospettiva, non è importante stabilire “chi” sia “cosa”, bensì confrontarsi con la storia di un incontro che renda ragione della semplicità dell’essere umani, una consapevolezza che, spesso, si tende a mistificare dietro una ridda di parole che tendono a spingere sempre di più verso quel centro, nella condanna ad agitare freneticamente il proprio corpo per non pensare al rischio di cadere.

Riferimenti bibliografici
R. Carrieri, Poesie scelte, Mondadori, Milano 1976.
F. Cassano, Il pensiero meridiano, Laterza, Roma-Bari 1996.
M. Desiati, Il paese delle spose infelici, Mondadori, Milano 2008.
R. Durante, La malapianta, AnimaMundi edizioni, Otranto 2020.
M. Marcone, Analisi in famiglia, Feltrinelli, Milano 1977.
B. Marniti, Racconto d’amore, Greco & Greco, Milano 1995.

Mario Desiati, Spatriati, Einaudi, Torino 2021.

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