Il 1503 segnò l’inizio di un nuovo capitolo nella storia della città. Gonzalo Fernández de Córdoba entrò a Napoli e ne divenne viceré. Dopo la sconfitta dei francesi, gli spagnoli si insediarono stabilmente a Napoli che era già divenuta punto di riferimento culturale nel corso del secolo da poco concluso, nonostante Vasari ritenesse che «dopo Giotto, non era stato insino allora in sí nobile e gran città maestri, che in pittura avessino fatto alcuna cosa d’importanza» (Vasari 1943, p. 726). Va precisato che il giudizio così implacabile fu determinato dall’autoesaltazione che ne seguiva, nel capitolo a lui stesso dedicato, col descrivere l’incarico ricevuto per affrescare – «per lo che m’ingegnai fare di maniera» – la volta della Sacrestia della chiesa di Sant’Anna dei Lombardi.

Tra l’altro, la capitale del Regno aveva già visto la presenza di personaggi importanti come Francesco di Giorgio, Giuliano da Sangallo, Fra’ Giocondo, Luciano e Francesco Laurana, che l’avevano resa luogo di fioritura di un raffinato umanesimo. Ed è proprio su queste premesse che a Napoli – la città più popolosa d’Italia e seconda in Europa solo a Parigi – si inaugurerà la nuova stagione della maniera moderna, non solo nell’ambito delle arti figurative, ma anche per gli importanti interventi urbanistici e per le costruzioni di residenze signorili, di palazzi nobiliari e delle arti sorelle come la letteratura.

La mostra Gli Spagnoli a Napoli. Il Rinascimento meridionale (a cura Riccardo Naldi e Andrea Zezza in collaborazione con Manuel Arias del Museo Nacional del Prado, dove si è già svolta una prima edizione nel 2022 dal titolo Otro Renacimiento. Artistas españoles en Nápoles a comienzos del Cinquecento) intende favorire la conoscenza di opere e artisti poco noti al pubblico, ma che nel corso della loro permanenza a Napoli realizzarono notevoli manufatti. Tra questi, alcuni sono conservati nel Duomo, altri in importanti chiese della città, purtroppo il più delle volte chiuse, che saranno visibili grazie a un calendario di aperture eccezionali.

Un’ulteriore importante collaborazione tra istituzioni perfettamente in linea con quelle artistiche che, nel primo trentennio del Cinquecento, diedero vita a questa fortunata stagione di circolazione della tradizione artistica italiana. Gli anni dal 1503 al 1532 definiscono, infatti, un periodo di intensa attività grazie alla presenza di «taluni artisti di Spagna […] tra i più precoci comprimarj nella estrosa vicenda della “maniera italiana”; tra i primi e più spericolati artificieri di quella miccia serpentina che da Firenze circolò rapida per tutta Europa per un secolo, o poco meno» (Longhi 1953, p. 3).

Pedro Fernández, Bartolomé Ordóñez, Diego de Siloé, Pedro Machuca, Alonso Berruguete, furono gli artisti attivi a Napoli in quegli anni che, con «libertà di accozzo» per dirla con Longhi, attinsero all’arte italiana per realizzare opere di indiscutibile valore e, al rientro in Spagna, divenire promotori di una pregiata variazione del linguaggio figurativo del Rinascimento. Roberto Longhi aveva tentato una ricostruzione delle tracce lasciate in Italia dagli ingegni Alonso Berruguete e Pedro Machuca ripercorrendo le notizie, a volte anche contraddittorie, riportate dal Vasari, da Michelangelo e da Antonio Palomino, nel saggio pubblicato nel 1953 su “Paragone”, e auspicato che gli studiosi italiani continuassero ad approfondire «i segni del passaggio fra noi dei brillantissimi comprimarj spagnoli» (ivi, p. 15).

Va precisato, però, che nonostante il ritardo della Spagna nello sviluppo della nuova maniera dovuto alla peculiare situazione politica, culturale ed economica che la vedeva agli inizi del Cinquecento più impegnata nelle questioni politico-espansionistiche piuttosto che artistiche, non mancarono spunti per la formazione de las águilas del Renacimiento. Infatti, oltre alla frequentazione della bottega paterna, ad esempio de Siloé ebbe modo, anche insieme a Ordóñez, di apprezzare quanto stava avvenendo in quegli anni a Burgos, tra i riquadri e gli stalli di Felipe Vigarny (o Bigarny) per la Cattedrale, di essere segnato dalla la presenza di Jacopo Sansovino, e ancora in Aragona dal retablo di Gil Morlans. Nulla di paragonabile, certamente, a quanto stava accadendo in Italia, specialmente a Firenze e a Roma grazie a Michelangelo, Leonardo e Raffaello che favorirono la trasferta degli artisti spagnoli tra i divinissimi italiani, in primis nelle città dove era ancora in corso lo sviluppo della maniera moderna e dove sarebbe stato possibile studiare le loro opere dal vero.

Alonso Berruguete, infatti, è spesso menzionato da Vasari che lo vede a Roma tra il 1507-08, dove soggiornò prima di trasferirsi a Firenze e si trattenne presumibilmente fino al 1512. Il suo arrivo venne addirittura anticipato da Michelangelo in una lettera al fratello, al quale raccomandava di aiutare il «giovine spagnolo, il quale viene costà per imparare a dipingniere» (ivi, p. 4), a prendere visione del cartone della Battaglia di Cascina. Quattro anni più tardi, in un’altra lettera questa volta indirizzata al padre, si interessò persino di ricevere notizie sulla salute del garzone spagnuolo su richiesta di un parente o amico spagnuolo (forse una tra le águilas, forse Ordoñez o de Siloé) che si trovava in Italia.

Alonso era giunto qui per studiare pittura e durante il soggiorno romano ebbe occasione di partecipare ad una sfida tra artisti nel copiare il Laocoonte, promossa da Bramante e che sarebbe stata giudicata da Raffaello. Sicuramente ebbe l’opportunità di frequentare Sansovino già durante la gara, forse anche Baccio Bandinelli, Rosso e Pontormo, e altri artisti fiorentini, tra cui Filippino Lippi del quale completò l’Incoronazione della Vergine dopo la sua morte. Non si hanno notizie certe dell’arrivo del Berruguete a Napoli, ma Pietro Summonte, celebre letterato campano, in una lettera del 1524 testimoniò la presenza e le opere dei doi spagnoli Ordóñez e de Siloé impegnati nella «ecclesia di San Ioanne a Carbonara […] in una cona marmorea con li tre magi, Nostro Signore, Nostra Donna e altre figure» (Abbate 1996, p. 28).

Di Machuca sappiamo, invece, da Longhi che l’artista avesse frequentato anche l’Umbria – dove fu trovata a Spoleto la Madonna del Suffragio firmata nel 1517 – prima di immergersi nell’esperienza romana tra la Sistina, le Stanze e le Logge. Pedro Fernández, infine, soggiornò prima a Milano e solo in seguito si stabilì a Napoli grazie all’intermediazione dell’arcivescovo Oliviero Carafa che già aveva favorito l’ingresso in città della tradizione lombarda di influenza bramantesca e che suggerì al fratello Ettore l’artista spagnolo per la decorazione della cappella di famiglia.

La mostra, nell’interessante allestimento curato da Francisco Bocanegra, è organizzata in cinque sezioni: l’Ingresso, Napoli diventa spagnola, Verso la “maniera moderna”, Intorno a Raffaello, Gli spagnoli ritornano a casa, attraverso le quali riusciamo a ripercorrere le fasi salienti della circolazione di idee e di artisti che caratterizzeranno i primi trent’anni del Cinquecento. La prima apre l’esposizione, (diversamente da quella del Prado che proponeva i ritratti di Pontano e Sannazzaro), con l’Adorazione dei Magi di Marco Cardisco. In questa pala d’altare realizzata per la Cappella di Castelnuovo, i Magi assumono le sembianze dei tre fondatori delle ultime dinastie, Carlo V, Ferrante I d’Aragona e Ferdinando il Cattolico come per segnare il pacifico passaggio dalle dinastie aragonese, asburgica e spagnola.

Questo dipinto introduce anche il tema delle reinterpretazioni delle opere dei divinissimi maestri della maniera moderna; il San Giuseppe, infatti, rielabora chiaramente un altro ripreso da una Sacra Famiglia di Raffaello appena realizzata a Roma per inviarla al re di Francia e già giunta a Napoli attraverso qualche riproduzione. La città, quindi, si stava assestando nel suo nuovo ruolo di sede vicereale, che accoglie artisti e contributi di varia provenienza come quelli del Maestro del Retablo di Bolea o di Jean Bourdichon (presenti nella seconda sezione) e favorisce gli scambi tra la cultura spagnola in Italia e italiana in Spagna.

Nella terza sezione, invece, si pone l’accento sull’arrivo degli artisti spagnoli a Napoli, in particolare Pedro Fernández de Murcia e con lui del nuovo linguaggio arricchito dalla fisiognomica leonardesca e da un tono naturalistico appreso nel soggiorno milanese, e che ci conduce lentamente verso gli apporti raffaelleschi. Le opere di Fernández si impongono per gli arditi sfondi prospettici di chiara derivazione bramantesca, ma anche per il gioco di sguardi, per le relazioni tra i personaggi tanto care a Leonardo e a Raffaello. In questa sezione viene dato, inoltre, spazio alle sculture con due interessanti opere di Andrea da Fiesole e Giovanni da Nola.

La prima, un Giovanni Battista dal sepolcro Cicaro della chiesa dei Santi Severino e Sossio, testimonia l’originalità nei nuovi esempi di scultura funeraria libera dalla costrizione trecentesca della struttura architettonica, con i personaggi, e tra questi il Giovanni Battista, che si muovono nello spazio in pose ardite e dinamiche. La Vergine annunciata, invece, di Giovanni da Nola è un’opera lignea policromata, non concepita come figura a tutto tondo e per questo svuotata nella parte posteriore. L’opera è pensata per una fruizione frontale vista dal basso e costituisce un’ulteriore testimonianza della circolazione e reinterpretazione di idee che, dalle ardite illusioni prospettiche di Bramante, giunsero a Napoli anche grazie all’intermediazione di Pedro Fernández.

Gli altri dipinti della terza sezione si soffermano sulla penetrazione del linguaggio dei divinissimi per condurci alla Madonna del pesce di Raffaello (momentaneo ritorno a casa dopo quattrocento anni) che potrebbe essere intesa come una testimonianza del dispositivo maniera moderna che si è dipanato attraverso linee di sedimentazione, “incrinatura”, “frattura”, la “ricerca sul campo” dei comprjmari giunti in Italia e dunque a Napoli. La miccia serpentina di Longhi potrebbe essere, quindi, riletta come il dispositivo di cui scrive Deleuze facendo riferimento a Foucault: «matassa, un insieme multilineare, composto di linee di natura diversa» (Deleuze 2019, p. 11). In quest’ottica, le opere dei comprjmari diverrebbero le «linee di variazione» della «molteplicità nella quale operano tali processi in divenire, distinti da quelli che operano in un altro» (ivi, p. 21). L’esperienza italiana fu condotta dagli artisti in trasferta con un approccio di libertà di ispirazione che li avrebbe condotti al «superamento della linea di forza» – la maniera moderna – e alla «produzione di soggettività all’interno [del] dispositivo» (ivi, p. 17).

L’ultima sezione, Gli spagnoli ritornano a casa è, infatti, uno scrigno di capolavori di Machuca (Adorazione dei pastori e la Sacra Famiglia con San Giovannino), di Fernández (Retablo di Sant’Elena) ma soprattutto di Berruguete con la potente Deposizione di Cristo nel sepolcro, mirabile reinterpretazione delle fonti classiche, nella quale si potrebbe cogliere un’anticipazione del sinuoso allungamento delle figure umane e l’uso di colori vividi di El Greco. Non meno importanti le sculture di de Siloé, che attinge da Michelangelo per l’inusuale uso del marmo nel San Sebastiano, o si rivolge alla soggettività del legno policromato della rilettura spagnola nel San Michele Arcangelo e nel Cristo flagellato. E infine Berruguete, che nel San Sebastiano aggiunge un’ulteriore variazione col perizoma in tessuto incollato e poi dipinto per accentuare la materialità e sottolineare così il forte legame che si era creato in questi anni tra la pittura e la scultura.

La sensazione di compiuta rielaborazione della maniera moderna, un linguaggio artistico già di per sé frutto di riletture e reinterpretazioni, è fortemente tangibile nell’intero percorso espositivo e si concretizza nei pochi ma notevoli esempi del ritorno a casa. I comprjmari hanno colto nella maniera moderna italiana quel «dispositivo [che] si definisce quindi per il suo contenuto di novità e creatività che indica contemporaneamente la sua capacità di trasformarsi o già di incrinarsi a favore di un dispositivo futuro, a meno che non ci sia una ricaduta di forze sulle linee più dure, più rigide, più solide» (ivi, p. 26).

Riferimenti bibliografici
F. Abbate, Appunti su Bartolomé Ordóñez e Diego de Siloé a Napoli e in Spagna, in “Prospettiva” 44, Firenze 1996.
V. Bozal, Historia del Arte en España. Desde los orígenes hasta la Ilustración vol. I, Ediciones Istmo, Madrid 1973.
G. Deleuze, Che cos’è un dispositivo, Cronopio, Napoli 2019.
C. De Seta, Le città nella storia d’Italia. Napoli, Editori Laterza, Bari 1984.
R. Longhi, Comprimarj spagnoli della maniera italiana, in “Paragone”, n. 43, Sansoni, Firenze 1953.
C. Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, C. L. Ragghianti, a cura di, Rizzoli & C., Milano-Roma 1943.

Gli spagnoli a Napoli. Il rinascimento meridionale, a cura di R. Naldi e A. Zazzi, Museo e Real Bosco di Capodimonte, Napoli, 13 marzo 2023 − 25 giugno 2023.

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