Il tempo dell’Antropocene è quello che ha messo gli effetti storici e spaziali della presenza umana sul Pianeta Terra al centro della propria analisi, evidenziandone la durata storica e gli effetti deteriori di alcune sue manifestazioni (la distruzione ambientale per fini economici, ad esempio). Ciononostante, l’apertura di questo enorme vaso di Pandora offre l’opportunità di riflettere sulle modalità stesse del rapporto esistente tra soggettività e spazio; storicamente, questo compito è stato appannaggio della geografia, che ha incasellato e disciplinato entro coordinate spazio-temporali le dinamiche antropologiche.

La catastrofe ambientale, insieme alle trasformazioni derivanti dal campo dell’economia digitale, ridefiniscono l’orizzonte di senso dell’esperienza umana all’interno dello spazio. Questo avviene, in primo luogo, mettendo la soggettività di fronte alla finitezza della propria azione, marcando dunque uno scarto evidente rispetto al carattere prometeico con cui è stato sempre pensato l’homo faber perno della modernità occidentale (questo tipo di analisi, infatti, è uno dei punti dirimenti che caratterizza l’ecologia politica critica).

In secondo luogo la diffusione totale e pervasiva dei dispositivi tecnologici, che per dirla con Stiegler sono diventati protesi dell’esperienza, consente di definire ulteriormente il rapporto tra soggetto e spazio, in termini di ubiquità virtuale e di concreto spaesamento. L’insieme di queste emergenze, di conseguenza, rende necessaria una riflessione filosofica sulla relazione tra spazio e soggetto, sia sotto il profilo estetico che sotto quello etico ed ontologico.

Il libro di Paolo Furia, intitolato Spaesamento. Esperienza estetico-geografica, ha come oggetto la riflessione sulla dimensione geografica dell’esistenza, articolata sotto il profilo formale e sotto quello materiale della collocazione del soggetto entro il proprio spazio. Furia analizza la trama fenomenologica dello spazio, inteso come elemento in grado di stimolare una specifica tonalità etica nella soggettività, attraverso il prisma della dialettica tra l’appaesamento e lo spaesamento.

Quelle che a prima vista sembrano due categorie antagoniste e inconciliabili tra di loro concorrono alla definizione dello statuto di esperienza geografica, mediata dalla connessione tra forma estetica e forma geografica dello spazio, dunque dall’ibridazione tra rappresentazione dello spazio e percezione etica dello stesso. I due capitoli del libro mettono a tema la dimensione strutturale e quella soggettiva dell’esperienza geografica, lasciando emergere la natura essenzialmente eccentrica della soggettività umana e la sua ricerca di un orizzonte di senso con cui definire la propria esperienza sia nei termini immanenti della presenza sia in quelli perturbanti dello spaesamento.

Nella prima parte del libro Furia si occupa di mettere a punto la cornice teoretica con cui affrontare la definizione dell’esperienza geografica. Egli si muove tra Kant, Husserl, Heidegger e Merleau-Ponty, lungo una linea che va dalla costruzione formale del senso estetico all’appercezione ontologica dello spazio. In primo luogo, la costruzione della forma va nella direzione della produzione di rappresentazioni situate a cavallo tra disponibilità della forma geografica e sua negazione. In questo senso, l’autonomia analitica dello spazio – così come postulato dallo spatial turn delle scienze sociali – permette di strutturare l’analisi dell’esperienza geografica non solamente come esperienza estetica ma come specifica esperienza del rapporto tra la specifica natura dello spazio e gli effetti che quest’ultimo produce sul soggetto d’esperienza. Se la dimensione estetica, infatti, rende accessibile e categorizzabile lo spazio per il soggetto che ne fa esperienza, l’ulteriore problematizzazione ontologica, che affonda le radici nell’ontologia heideggeriana, ne evidenzia la dimensione storica-etica, mettendo a tema l’impatto dello spazio sulla coscienza e sulla stessa esperienza conoscitiva.

Per dirla con le parole di Furia, l’esperienza geografica configura la forma geografica come alterità, come polo di un disvelamento continuo dello spazio nell’esperienza affettiva e conoscitiva della soggettività. In questo senso, a costituire il giudizio etico-estetico sulla forma geografica è sia l’esperienza vissuta nel quotidiano quanto il senso di straniamento che lo spazio opera nella vita quotidiana: l’eccentricità dell’homo habitans, in questo senso, è definita a partire dalla differenza tra giudizio estetico sulla forma dello spazio e relazione etica con quest’ultimo, tra immanenza dello spazio vissuto e immaginazione trascendente dello spazio visibile. Lo scarto relazionale tra giudizio estetico e percezione ontologica è, così, l’elemento principale sui cui costituire autonomamente l’esperienza geografica. 

La seconda parte del libro si occupa di definire materialmente la relazione tra i due poli di questa forma di esperienza, sotto il profilo della sua collocazione spaziale. Spazio e tempo, oggi, vengono costantemente ridefiniti attraverso la pervasività delle mediazioni tecnologiche, che operano frammentando l’esperienza soggettiva e potenziandola, ovvero rendendo immediatamente accessibili e virtualmente abitabili le distanze spaziali. La presentificazione dell’immagine del mondo, di conseguenza, produce una specifica dimensione dell’abitare, ovvero della collocazione specifica soggettiva nello spazio. Da un lato l’abitare può essere configurato come condizione normativa, ovvero come insieme di abitudini e regole che caratterizzano le forme di civilizzazione e di urbanizzazione del soggetto; dall’altro, l’immanenza assoluta tra soggetto e spazio configura una speciale forma di alienazione geografica.

Le immense trasformazioni antropiche degli spazi, urbani e naturali, conduce dunque alla dialettica centrale tra appaesamento presso le forme prodotte dall’essere umano per i suoi simili, e di contemporaneo spaesamento all’interno di questi stessi spazi che vengono percepiti come distanti e separati dall’esperienza sensibile. Se gli spazi metropolitani rendono anonimi i soggetti e normalizzano l’esperienza urbana, essi al contempo generano un desiderio di alterità e di autenticità che viene colmato dalla riscoperta della natura come altro della dimensione urbana e come polo attrattivo di una dimensione sublime e allo stesso tempo perturbante.

La spazialità, che è parte della dimensione ontologica dell’Essere, vive in questa costante dialettica tra nostalgia dello spazio vissuto e senso di apertura e spaesamento nei confronti del non-luogo, inteso in questo senso come luogo da vivere. Ed è di centrale importanza il riferimento che Furia fa alle particolari esperienze geografiche determinate dall’esponenziale aumento del turismo, giacchè in quest’ultimo vivono la sensazione spaesante del viaggio e del muoversi in uno spazio sconosciuto con la straniante sicurezza dell’appaesamento – nel vivere il luogo – generato dalla ricerca dell’autenticità nei luoghi che si visitano.

Nel caso specifico del turismo usa e getta, l’esperienza estetico-geografica così come intesa da Furia viene ridotta al gioco distorto delle rappresentazioni dei luoghi disincarnate, addomesticate e riprodotte in serie, che annullano l’esperienza spaziale e la riducono a esperienza di appagamento estetico. Furia insiste su una dimensione alternativa del viaggio, che interrompe il tempo ordinario dell’appaesamento e che può allo stesso tempo restituire quel senso del sublime spaesamento che sta alla base dello statuto dell’esperienza geografica che egli stesso ha provato a delineare nell’arco del volume.

In conclusione, la riflessione filosofica del libro offre una interessante analisi dell’esperienza geografica sotto il profilo di una sua analisi estetica ed etica. Presentando lo spazio come elemento differenziale, come non-luogo a venire da sperimentare, Furia evidenzia la necessità della dialettica tra appaesamento e spaesamento come condizione fondamentale della soggettività habitans, cioè come condizione necessaria a stimolare la creatività dell’esperienza geografica e a spingerla oltre la ricerca dell’autenticità e della staticità dell’abitare urbano (o dello spaesamento virtuale). La ricerca del sublime kantiano, declinata attraverso il punto di vista filosofico-geografico enunciato dal libro, può spingere il soggetto a fare dell’esperienza straniante dei luoghi un elemento in grado di stimolare la propria immaginazione, così da plasmare un nuovo orizzonte di senso che possa connettere dimensione ecologica dell’esperienza spaziale e dimensione sociale dell’immaginazione progettuale con cui dare forma alle nuove estetiche e ai nuovi immaginari dello spazio urbano e di quello ambientale.

Paolo Furia, Spaesamento. Esperienza estetico-geografica, Meltemi, Milano 2023.

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