Attraverso la messa in scena di tableaux vivants, il cinema ha presto operato interessanti spostamenti traduttivi utilizzando l’arte rinascimentale come ipotesto, basti pensare a Christus (1916) di Giulio Antamoro ed Enrico Guazzoni. La macchina da presa, l’occhio del XX secolo, accede invece ai templi dell’arte italiana del Rinascimento relativamente tardi rispetto alle origini del medium. Se il dispositivo fotografico aveva già ampiamente riprodotto e iconizzato le opere di Leonardo e Michelangelo, le prime riprese cinematografiche della Sistina e del Cenacolo si realizzano soltanto nel 1932 e nel 1940 per opera dell’Istituto Luce. Da questo momento in poi la vasta storia delle riproduzioni dei due capolavori conosce una nuova espansione, nell’ambito di una riaffermazione del loro statuto di icone culturali globali.
L’indagine condotta sull’immagine di un’immagine e la mappatura delle relative proliferazioni fotografiche e audiovisive di questa migrazione intermediale è il programma del volume Sistina e Cenacolo. Traduzione, citazioni e diffusione (Artemide 2020), a cura di Tommaso Casini, frutto di un lavoro di ricerca decennale. La prospettiva multidisciplinare caratterizza fortemente una ricerca che analizza le relazioni della fotografia, del cinema, della televisione e dei nuovi media con le opere in questione. Il percorso proposto al lettore, introdotto da Gianni Canova, parte dal prezioso archivio della Fototeca dei Musei Vaticani, nel saggio di Paola Di Giammaria, e si concentra nella prima sezione sulla Sistina, restituendone l’immagine diffusa dall’editoria scientifica e divulgativa nel XX secolo (Maria Francesca Bonetti), la vicenda della documentazione audiovisiva dei restauri (Gianluigi Colalucci), la relazione con la teoria e la prassi del cinema (Francesco Galluzzi), lo storytelling contemporaneo sui social network (Giovanni Fiorentino).
La parte intermedia consiste in un omaggio a Leo Steinberg, figura fondamentale nella storia della critica d’arte e autore di importanti studi su Michelangelo e Leonardo, nonché attento analista della proliferazione iconografica della Creazione di Adamo nell’ambito della cultura popolare, tanto da collezionare una grande quantità di immagini commerciali del celeberrimo dettaglio. La seconda sezione si occupa infine del Cenacolo, con un’attenzione specifica per la riscrittura tra arti visive e web (Irene Sofia Comi), per i tableaux vivants nell’arte contemporanea, da Vanessa Beecroft a David LaChapelle, nel saggio di Virginia Lupo, per concludersi con l’analisi dei processi di rimediazione nell’ambito dei videoclip (Pierandrea Villa). A completare il volume, una robusta appendice che contiene una cronologia della traduzione visiva delle opere (a cura di Alberto Fabbiano), un catalogo dei documentari, film e programmi TV (a cura di Irene Sofia Comi, Alberto Fabbiano, Virginia Lupo) e delle note sulle forme di rimediazione e i fenomeni di circolazionismo relativi a La Creazione di Adamo (1511) di Michelangelo e al Cenacolo (1495-1498) di Leonardo (a cura di Pierandrea Villa).
Il campo che più ci interessa e ci riguarda in questa sede è quello delle relazioni del cinema con gli affreschi di Michelangelo nella cappella Sistina e con il Cenacolo di Leonardo. Di questo campo di relazioni si occupa in dettaglio e in profondità il saggio centrale di Tommaso Casini, che si propone di cogliere il passaggio tutto novecentesco dall’immagine fissa all’immagine in movimento. La domanda di Casini è circoscritta al dominio estetico, ossia all’esperienza dell’opera come oggetto di rimediazione; ma contiene anche una domanda ontologica, nella misura in cui tale esperienza mette in tensione due oggetti differenti, l’opera in situ e l’opera trasformata da un nuovo medium, l’opera reinquadrata e riprodotta su uno schermo con una finalità documentaria, ma anche l’opera inserita in un mondo finzionale. Se da un punto di vista storico il cinema subentra semplicemente ad altre pratiche riproduttive delle opere, senza peraltro sostituirle, da un punto di vista estetico propone un’esperienza nuova e complessa dell’opera riprodotta, anzi cinematizzata: «La cinematizzazione di un dipinto», sostiene Casini, «nella successione storica delle tecniche visive rigenera l’immagine entrando in un’altra forma, in una processualità potenzialmente interminabile in cui appunto, dall’immagine di un’immagine, si ottiene sempre un’altra immagine in un incessante nachleben, per dirla con Aby Warburg» (Casini 2020).
Una delle possibili declinazioni di questo processo di cinematizzazione è offerta da un celebre esercizio di dinamizzazione fotografica proposto da Ejzenstejn agli allievi dell’Istituto statale di cinematografia dell’Unione Sovietica e incentrato proprio sul Cenacolo: l’immagine viene trattata alla stregua di un master shot che viene successivamente scomposto in inquadrature parziali (primi piani, dettagli) messe in relazione dal montaggio. Oggetto teorico, dunque, oltre che artistico, il Cenacolo genera spirali di reenactement che culminano nell’allestimento di Peter Greenaway a Milano, Palazzo Reale, nel 2008: il cineasta inglese fa realizzare una copia integrale dell’affresco e dello spazio che lo accoglie, il Refettorio di Santa Maria delle Grazie, e qui elabora una performance multimediale della durata di trenta minuti, un’Ultima cena «meta-pittorica, meta-teatrale e meta-cinematografica».
Per quanto riguarda Michelangelo, la Sistina è stata per il cinema di finzione un ambiente subordinato e funzionale alla narrazione; fin da Il tormento e l’estasi (1965) di Carol Reed, l’ambiente è puntualmente ricostruito in teatro di posa, negli studi di De Laurentiis; mentre la Sistina di Habemus Papam (2011) di Nanni Moretti e The Young Pope (2016) di Paolo Sorrentino è una creazione scenografica realizzata a Cinecittà. Al contrario, una notevole quantità di documentari cinematografici e televisivi si sono misurati con la rappresentazione dell’opera in situ; in particolare, il volume ricostruisce accuratamente il lungo e meticoloso lavoro di documentazione audiovisiva del restauro moderno degli affreschi della Sistina (1979-1999), curato dal network giapponese NTV con una troupe che si dedicò al progetto per circa dodici anni.
Se il mezzo cinematografico è in grado di rappresentare la temporalità genetica della pittura e dunque ci mostra l’opera in fase di creazione, come sosteneva Bazin a proposito di Le Mystère Picasso (1956) di Henri-Georges Clouzot, la ripresa televisiva di NTV restituisce un’altra temporalità dell’opera, quella del restauro. Tra la Sistina che diventa ambiente nel cinema di finzione e la Sistina come spazio reale nella ripresa infinita di NTV, c’è una terza via che Tommaso Casini individua in Michelangiolo (1964) di Carlo L. Ragghianti, un imponente saggio filmato che chiude la serie dei “critofilm” cominciata dallo studioso nel secondo dopoguerra. Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, sollecitò gli interventi di alcuni illustri spettatori quali George Sadoul e Rudolf Arnheim. In Michelangiolo la macchina da presa è la tecnologia che consente la registrazione non semplicemente come calco ma come produzione di senso; il cinema è lo strumento che consente il passaggio dall’ontologia (la Sistina) all’epistemologia (il testo critico): «Con la ripresa cinematografica», spiega Casini, «Ragghianti era stato in grado di restituire con metodo analitico la consapevolezza conoscitiva della Sistina» (Casini 2020). Lo stesso ambizioso obiettivo è quello raggiunto da questo volume: generare consapevolezza conoscitiva intorno alla sopravvivenza delle immagini.
Sistina e Cenacolo. Traduzione, citazioni e diffusione, a cura di Tommaso Casini, Artemide, Roma 2020.