Si chiude con la quarta stagione Sex Education, la serie Netflix firmata Laurie Nunn, che educa alla sessualità narrando le vicende di un gruppo di liceali preda delle tempeste ormonali tipiche dell’adolescenza. Un format che convince di più dal punto di vista delle tematiche affrontate che sul piano narrativo. Al centro della narrazione c’è Otis, erede della dote materna del perfetto terapeuta-sessuologo, che insieme a Maeve, affascinante e insicura, dall’anima noir, reduce da un’infanzia e un presente familiare dolorosi, decide di aprire una clinica del sesso per poter consigliare, previo pagamento, il pubblico dei liceali del Moordale.
Inizia così la vicenda nella prima stagione, in un set che ricorda molto sia la cugina britannica Skins sia le serie teen statunitensi, anche se Sex Education ha almeno una cosa in più: è una serie che punta, come il suo stesso titolo dichiara, all’educazione. Infatti, tutto il format ruota intorno ad una narrazione-informazione, possibile grazie ai numerosi personaggi che fanno da corteo alla clinica del sesso, ognuno dei quali offre l’opportunità per poter parlare di un tema specifico, che spesso, bisogna ammettere, è poco o per nulla rappresentato sul grande o piccolo schermo.
Nel corso delle quattro stagioni conosciamo in particolare: Isaac, disabile ma con desideri sessuali uguali a tutti gli altri; Eric, omosessuale in conflitto con la sua comunità cristiana; Aimee, che cerca di vivere serenamente la propria sessualità dopo aver subito una violenza; Adam, in lotta per riacquistare fiducia in se stesso accettando la propria bisessualità ed opponendosi ad uno stereotipo di mascolinità tossica imposto dal padre. Molti, molti altri sono gli studenti del Moordale con diverse problematiche da affrontare e, se proprio bisogna dirla tutta, questa eccezionale concentrazione di personaggi causa qualche problema narrativo. Allo scopo della serie questo non credo sia però rilevante e, tutto sommato, gli sceneggiatori riescono a chiudere, nella stagione finale, gli intrecci più importanti, malgrado l’abbandono poco chiaro di alcuni personaggi.
L’ultima stagione porta dunque a casa il suo scopo: un lieto fine per ogni personaggio superstite, che ha trovato la sua strada. Ed è a questo punto che la serie rivela un altro aspetto del suo format, che è sempre stato lì, ma che emerge soltanto alla fine: Sex Education è una serie senza antagonisti, senza cattivi, senza perdenti. Certo, perché se il ruolo dell’educazione è reale ed efficace, allora tutti, ma proprio tutti possono essere salvati. Anche O., la nemesi di Otis, non si comporta slealmente per il gusto di farlo ma a causa di alcuni conti irrisolti col passato, e persino l’ossessivo partner di Vivien non è condannato per la sua condotta da stalker ma viene saggiamente liquidato con l’invito ad andare in terapia.
Netflix ci propone, ancora una volta, un prodotto edificante costruito sul presupposto di natura umana benigna, che si sviluppa e matura grazie al potere dell’educazione, la quale sembra essere più sentimentale che sessuale. Sex Education ci invita a considerare che, sebbene ogni pulsione, ogni passione e ogni voglia sia naturale, e in quanto tale umana, bisogna imparare a capire i messaggi che ci invia il nostro corpo, a controllare le emozioni e a gestire i sentimenti e che, ed è questo il punto fondamentale, tutti, ma proprio tutti, possono farlo. Si potrebbe quasi pensare che la serie abbia presupposti di stampo deweyano: al centro dello sviluppo personale c’è l’educazione dell’individuo e nessuna esperienza (non solo sessuale) è preclusa o giudicata, ciò che conta è la consapevolezza e la consensualità di quest’ultima.
Ciononostante, alcuni limiti di tale visione educativa vengono a galla nel momento in cui ci si accorge che i personaggi sono quasi completamente decontestualizzati, infatti le coordinate spaziali e temporali non sono determinanti al fine della narrazione: sappiamo di trovarci in un’Inghilterra contemporanea ma nulla cambierebbe se la storia fosse ambientata altrove. Viene da chiedersi se, in fin dei conti, l’educazione riuscita della serie non sia semplicemente una pia illusione che mette sotto il tappeto, non sviluppando dichiaratamente, tutti gli altri aspetti sociali, economici, culturali che determinano la disciplina del proprio corpo e della propria anima. C’è da dire che il contesto legato al personaggio di Maeve cerca maldestramente di allargare lo spettro delle problematiche affrontate ma l’autodeterminazione e la fiducia in se stessi vincono magicamente su tutto.
Insomma, Sex Education è in fondo una favola bella. Qualcuno potrebbe obiettare che dopotutto non è un problema, poiché non ha mai promesso di essere qualcosa di diverso. Ma sarebbe stato interessante approfondire il tema dell’educazione sentimentale ed espanderlo a un’educazione globale, consapevole, collettiva. In fondo, ogni personaggio impara, sì, a stare bene con se stesso e con i suoi affetti diretti, ad accettarsi per quello che è, ma nessuno degli adolescenti di Sex Education riesce a guardarsi dal di fuori.
Un’unica scena della quarta stagione lascia sperare in una riflessione di questo tipo, quando Isaac interrompe un esame poiché non può accedere all’aula a causa di un ascensore rotto. Questo episodio motiva gli studenti a organizzare un sit-in per rivendicare il diritto ad un ambiente scolastico giusto, ovvero egalitario per tutti. Possiamo identificare, almeno in questo caso, una sorta di consapevolezza di gruppo? Non oso dire di classe non solo per evitare doppi sensi infelici, ma perché anche in questo caso si tratta di un’azione quasi fine a se stessa, che punta sì a far luce su come spesso la società si dimentica delle minoranze, ma risolve il problema in modo sbrigativo e superficiale.
In sostanza, sarebbe stato bello vedere approfondito, accanto al tema dell’accettazione di sé, quello della consapevolezza sociale del sé che si costruisce e che lotta, ma che può anche fallire, per l’affermazione collettiva. L’aspetto collettivo, ma soprattutto quello sociale poteva essere uno spunto ulteriore per spingere la riflessione sulle questioni delle minoranze ad un livello di analisi più profondo, ma forse Netflix, che rimane ancora una fabbrica del divertissement, non è ancora pronto ad accettare la sfida. Infine, i temi dell’educazione sentimentale, della comprensione e dell’accettazione del proprio corpo come ciò che siamo ma anche come ciò che ci permette di interagire con gli altri, sono i soli a essere trattati ampiamente. Sarebbe stato ancora più interessante, e forse questa è l’unica vera critica, trattare la sconfitta dell’educazione, il fallimento della disciplina del corpo e della comprensione dello spirito, l’ipotesi che ci sia la possibilità di non riuscire mai a fare veramente i conti con se stessi e mostrare, in questo modo, che anche se non riusciremo mai a educarci nulla viene tolto alla nostra umanità.
Sex Education. Ideatore: Laurie Nunn; interpreti: Asa Butterfield, Gillian Anderson, Ncuti Gatwa, Emma Mackey, Connor Swindells, Kedar Williams-Stirling, Alistair Petrie, Mimi Keene, Aimee Lou Wood, Chaneil Kular, Simone Ashley, Tanya Reynolds, Patricia Allison, Mikael Persbrandt; produzione: Eleven Film; distribuzione: Netflix; origine: Regno Unito; anno: 2023.