La prima di Vulcano venne organizzata a Roma il 2 febbraio 1950, al cinema Fiamma, sotto gli auspici del Sovrano Ordine Militare di Malta. Difficile ritrovare nella storia del cinema una prima più disastrosa. Venne interrotta quattro volte, per diversi inconvenienti tecnici, mentre il parterre, gremito di ministri, diplomatici italiani e stranieri, gente di spettacolo e giornalisti anche venuti dall’estero, sbuffava risentito. La Magnani, attesa da tutti, prolungò il suo ritardo fino all’assenza. Nel malcontento generale si insinuava il sospetto che a sabotare la proiezione fossero stati «quelli di Stromboli», ossia Rossellini e i suoi amici.
Quando scrivemmo La guerra dei vulcani, uscito in prima edizione nel 2000, ricostruimmo quell’infernale serata sulla base di diversi resoconti giornalistici dell’epoca; in seguito, abbiamo scoperto all’Archivio Centrale di Stato le relazioni ministeriali, inviate a suo tempo alla Direzione Generale dello Spettacolo, che forniscono informazioni in più su quella tragicomica débâcle.
All’inizio del film, il sonoro partì con un volume troppo alto e subito s’impose un primo intervento in cabina, senza comunque necessità di interrompere il film. Ma fu la prima avvisaglia che qualcosa non andava. Per capire meglio quello che successe va ricordato che al cinema, all’epoca della pellicola, c’era bisogno di due proiettori, sui quali montare alternativamente i vari rulli; quando stava per finire il primo, ci si teneva pronti ad avviare il rullo successivo sul secondo proiettore, poi di nuovo il primo proiettore con il terzo rullo e così via. Bene: alla prima di Vulcano dopo circa mezz’ora, la lampada di uno dei due proiettori fonde. Il film si ferma, il rullo viene spostato sul secondo proiettore e intanto si cerca la lampada di ricambio. L’armadietto è chiuso a chiave e bisogna far saltare la serratura; dentro, però, non si trovano ricambi, e i tecnici corrono a farsi prestare altre lampade dai cinema Astra e Rivoli.
Quando la proiezione riprende, il proiezionista fa partire tutti e due i proiettori, proiettando le immagini di un rullo e riproducendo il sonoro di un altro: un vero pasticcio. È la seconda interruzione. Si propone allora di evitare almeno l’intervallo fra primo e secondo tempo ma chi sta in cabina decide altrimenti, infliggendo un ulteriore, seppur “regolare”, intervallo. Alla fine del penultimo rullo, si fonde un’altra lampada; stavolta il ricambio c’è ma l’interruzione è comunque necessaria. La quarta interruzione (che diventa la quinta, considerando l’intervallo fra primo e secondo tempo) avviene quando il proiettore manca il giusto attacco dell’ultimo rullo, e l’azione comincia sessanta metri di pellicola più avanti. Il colpo di grazia arriva sul finale, e lo dà la notizia della nascita di Robertino. I fattorini inviati dai giornali si precipitano in sala per riferire ai cronisti che alla clinica Villa Margherita è venuto alla luce il figlio dei “concubini” Roberto Rossellini e Ingrid Bergman. La stampa viene così distolta dall’avvenimento mondano e dirottata sullo scandalo internazionale. Anna Magnani, forse avvertita di tutto, non si è fatta vedere.
Annibale Scicluna, il temibile dirigente della censura, redige il giorno dopo un appunto per il Direttore Generale Nicola De Pirro, in sostanza un breve report di due pagine. Raccontando i fatti, rimarca che le interruzioni
si sono protratte per troppi minuti, prolungando così la durata già di per sé lunga del film, distraendone l’attenzione, turbando l’atmosfera e impazientendo il pubblico che non poteva capacitarsi come tutto ciò potesse accadere in uno dei migliori e più moderni locali della Capitale e durante una serata così eccezionale. Alla fine dello spettacolo, vivaci, infiniti commenti, supposizioni, pettegolezzi. Si è parlato di sabotaggio, di incredibile leggerezza da parte della Direzione del locale gestito dall’Enic. I giudizi sul film [sono stati] in generale non troppo benevoli o comunque influenzati degli umori della serata.
Partono due distinte inchieste, una della Artisti Associati, la casa di produzione di Ferruccio Caramelli, e una dell’Ente Nazionale Industrie Cinematografiche (Enic), che gestisce il Fiamma. Il mistero più inquietante riguarda la sparizione delle lampade; entrambe le relazioni concordano sul fatto che l’armadietto fosse stato trovato inizialmente vuoto e che in seguito almeno una lampada fosse stata poi reperita all’interno. Secondo la relazione degli Artisti Associati le lampade di riserva (più d’una) sarebbero state ritrovate il giorno dopo, sempre all’interno dell’armadietto «piccolissimo, 30 x 60»: i due tecnici in cabina non le avrebbero trovate al momento «dato l’orgasmo della ricerca» – ipotesi definita giustamente «assurda».
I tecnici, è chiaro, qualche responsabilità ce l’hanno, e alla fine saranno loro a pagare. Il primo operatore della sala, quella sera, avrebbe avuto il turno di riposo e, alla richiesta del direttore del Fiamma di rendersi disponibile, ha comunque assicurato la propria presenza; sennonché la figlia si ammala gravemente (si parla di un certificato di malattia esibito) e il tecnico non si fa vedere, tenendo con sé le chiavi del famigerato armadietto. In cabina, il secondo operatore e un terzo di turno vengono ostacolati e distratti da un consistente afflusso di persone che non avrebbero dovuto stare in cabina. Secondo l’Enic «le persone estranee erano del gruppo A. A.», ossia Artisti Associati, mentre secondo il “gruppo A.A.” «la Direzione della sala dichiarava che da vario tempo aveva fatto presente alla Direzione Generale della Enic che il personale di cabina era scadente, e scaricava con ciò ogni responsabilità sui suoi superiori». Insomma, ci si dà la colpa gli uni gli altri.
L’ultima parola la dice Giulio Andreotti, che in qualità di sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri scrive a Ettore Cambi, presidente dell’Enic, segnalando che gli incidenti sono stati «tanto più spiacevoli in quanto alla proiezione stessa assistevano personalità del mondo diplomatico ed artistico, ed una folta rappresentanza di giornalisti alcuni dei quali giunti per l’occasione dall’estero», e raccomandando implicitamente una punizione per i tecnici: «Sono comunque certo, caro Cambi, che per l’avvenire, soprattutto qualora dovessero ripetersi serate così eccezionali, la Direzione dell’Enic vorrà esercitare il più diligente controllo sul personale di cabina delle sale e prendere tutte le necessarie precauzioni al fine di impedire il verificarsi degli incidenti lamentati e di assicurare alle sale del circuito un regolare funzionamento». Finisce che uno dei tecnici (probabilmente l’assente) si becca «un rimprovero da inserire a fascicolo», e gli altri due «la sospensione del lavoro e dalla retribuzione per la durata di giorni tre».
L’epopea di Vulcano è tutta una storia di “se”. Se Rossellini avesse girato il progettato film eoliano con Anna Magnani come era previsto all’inizio. Se Ingrid Bergman non avesse scritto a Rossellini una letterina che finiva con “ti amo”. Se Rossellini non si fosse innamorato di lei. Se la Rko avesse tagliato prima i cordoni della borsa a Stromboli. E se la sera dell’anteprima di Vulcano, la figlia del capo operatore non si fosse ammalata. Se solo uno di questi “se” fosse andato in un altro modo, la carriera di Anna Magnani avrebbe anticipato di alcuni anni (pochi ma strategici) il suo trionfo americano, con il trittico La rosa tatuata, Selvaggio è il vento e Pelle di serpente, e l’Oscar per La rosa tatuata. Certo, sarebbe cambiata anche la carriera degli altri due lati del triangolo, Rossellini e la Bergman – e sarebbe andata probabilmente meglio per lei, e meno bene per lui. Invece all’epoca si disse – e lo si ripeté per molti anni a venire – che l’unica colpa di Vulcano era il fatto di essere stato fatto «per ripicca». Ripicca dei giovani aristocratici siciliani della Panaria, che avevano proposto il progetto a Rossellini e se lo vedono sfilare a favore della Rko di Howard Hughes. E soprattutto ripicca della Magnani, che si vede invece rimpiazzata, sul set e nella vita, dalla diva mondiale numero uno.
Ma si può fare un film come Vulcano per ripicca? Sbarcare su un arcipelago brullo e assolato, dove scarseggia l’energia elettrica e perfino l’acqua, a riempirsi gli occhi e i vestiti di polvere di pomice, e le narici di puzza di zolfo, a recitare mezzo in inglese e mezzo in italiano, con attori professionisti mescolati a gente che aveva mai visto un film, un regista tedesco che dirige in guanti bianchi e un gruppetto di giovani siciliani che, oltre a metterci i soldi, s’intestardiscono a girare pionieristiche scene subacquee? E dove, per di più, la protagonista si ritrova a pochi chilometri dall’isola su cui l’uomo amato fino a pochi mesi prima ha eletto e celebra la nuova musa Bergman, che le ha soffiato in un colpo l’uomo e il film?
Fu sfida, certamente, ma più di orgoglio e di arte che di cuore. La stessa Magnani, parlandone anni dopo con Oriana Fallaci, cercherà di ridimensionare il movente sentimentale:
Da anni voi giornalisti continuate a parlare del mio folle amore per Rossellini, ma vogliamo dire la verità? Era Rossellini che mi stava addosso, che non mi lasciava vivere. Non io che correvo appresso a lui. Se quel folle amore fosse esistito anche in me, avrei saputo mantenerlo, sia certa, non me lo sarei lasciato scappare. Rossellini, poi, può rispondere quello che vuole. Dice tante cose, Rossellini. Tempo fa ha dichiarato perfino di non aver mai rivisto, mai, "Roma città aperta" e "Paisà": e li aveva rivisti un mese prima con me in un cineclub (Fallaci 1963, p.32).
Vulcano fu innanzitutto il frutto di un grande professionismo, un film condannato dal suo gemello rosselliniano a sembrare una sorta di scopiazzatura (semmai l’originale era questo di Dieterle, e quella di Rossellini una sua variazione), condizionato, più che originato, da questioni personali la cui verità rimarrà per sempre racchiusa nei cuori dei protagonisti. Un azzardo produttivo, una scommessa col destino, una sfida che vide moltiplicarsi i possibili “se” a causa dell’animosità dei realizzatori, del fiato sul collo dei concorrenti e della spasmodica attenzione internazionale che s’era innestata sul duello cinematografico e sentimentale. Il cinema è attenzione, volontà di ferro ma anche fortuna, e il proiezionista che una notte d’inverno non fu presente al Fiamma è la conferma di quanto il caso possa essere determinante.
Già diversi anni prima Anna Magnani aveva perduto un film importante per una coincidenza non prevista; in quel momento aspettava il figlio Luca, e il ruolo di protagonista di Ossessione era andato a Clara Calamai. Un anno dopo la prima di Vulcano, Visconti le offrì Bellissima, e per la Magnani fu un trionfo, uno dei due ruoli cinematografici capitali della sua carriera (l’altro è ovviamente Roma città aperta). In questo gioco di casualità, di “se” e di destini, è curioso che il riscatto della nostra più grande attrice, la rivincita più sonora nei confronti del suo ex amante e mentore Rossellini, sia venuto da un film preparato da Visconti e Zavattini, altre eccellenze del già declinante neorealismo.
Riferimenti bibliografici
I documenti di seguito citati, a parte l’articolo dell’«Europeo», provengono dall’Archivio Centrale di Stato di Roma, fondo Ministero Turismo e Spettacolo, busta 11, fascicolo CF 834.
A. Scicluna, Appunto per il Direttore Generale, Roma 1950.
Relazione della proiezione di Vulcano da parte di Artisti Associati (2 pagg. dattiloscritte), con lettera di accompagnamento di Ferruccio Caramelli alla Direzione Generale per lo Spettacolo, Roma, 6 febbraio 1950.
Relazione “riservata” Sugli inconvenienti verificatisi al cinema Fiamma di Roma durante la proiezione del film Vulcano il 2 febbraio 1950, 3 pagg. dattiloscritte, con lettera di accompagnamento di Eitel Monaco (Enic) a Nicola De Pirro (Direzione Generale dello Spettacolo), Roma, 6 febbraio 1950.
Comunicazione di Giulio Andreotti a Ettore Cambi, 1 pag. dattiloscritta, Roma, 17 febbraio 1950.
Comunicazione di Giuseppe Croce, direttore generale Enic, alla Direzione Generale dello Spettacolo, 1 pag. dattiloscritta, Roma, 18 febbraio 1950.
O.Fallaci, Mamma tragica, in “L’Europeo”, 1963.