A qualche giorno di distanza dalla chiusura dell’evento, con le cinque serate del Festival di Sanremo che dopo aver catalizzato le attenzioni di molti media e molte persone iniziano a sedimentarsi nelle nostre memorie e consolidarsi (forse) in immaginario, alcune cose possiamo certo darle per scontate: la vittoria di Mahmood e Blanco con “Brividi”, reinvenzione contemporanea del classicissimo duetto sanremese, capace di infrangere i record su Spotify e di tenere compatte sala stampa, televoto e adolescenti urlanti assiepati fuori dall’hotel; e la popolarità di un’edizione riuscita, guidata in modo saldo e senza sbavature eccessive, capace di raccogliere grandi numeri su ogni metrica, da Auditel alle reazioni social. A bocce ferme, però, può lo stesso essere utile tirare qualche filo e tentare una lettura trasversale.
Primo, quello del 2022 è un Sanremo dal successo esplosivo e inatteso. Si temeva il calo dopo l’edizione avvenuta durante un coprifuoco, si temeva la consueta stanchezza delle serate centrali. Invece la crescita è stata costante e i risultati eccezionali. Bastino tre numeri: i 13,3 milioni di spettatori davanti alla finale, il 65% di share ottenuto sempre di sabato, i 42 milioni di euro di raccolta pubblicitaria. I dati di ascolto della prima sera hanno settato il mood dell’intera settimana, tra i professionisti e nel discorso pubblico, e di lì è stato tutto in discesa, con la corsa di tutti a salire sul carro dell’evidente vincitore.
Da un lato, ne è derivato un Festival all’insegna della rilassatezza, il dispiegarsi placido e tranquillo del carrozzone guidato dal conduttore, direttore artistico e timoniere Amadeus, responsabile di scelte musicali azzeccate, molto buone e molto varie, e di un progetto complessivo coerente. Complice anche la staticità nei risultati di gara, abbastanza chiari fin dall’inizio, giunti al sabato questa scioltezza diventava evidente nei dialoghi con i cantanti, nelle presentazioni sbarazzine, nell’ampio spazio a chiacchiere e saluti fuori dalla liturgia. Dall’altro lato, però, l’innegabile successo è diventato anche assertività, eccesso di sicurezza, poca disponibilità ad ammettere quello che, sottotraccia, poteva e doveva essere lo stesso migliorato. È la dimensione più propriamente televisiva quella che è andata avanti un po’ con il pilota automatico, senza guizzi né sorprese, riproponendo i moduli degli anni precedenti; e la regia di Stefano Vicario non si è mostrata all’altezza, incapace di rendere sullo schermo ogni performance minimamente strutturata.
Quello del 2022 è stato poi un Sanremo dal successo cesellato e attentamente costruito. L’exploit non nasce dal nulla, ma arriva a coronamento di un percorso sia ampio sia lungo. Da una parte, accanto al trait-d’union di Amadeus, il Festival mai come quest’anno ha dimostrato di essere il risultato del lavoro di tanti, di un progetto complessivo, della forza collettiva di un cast musicale e televisivo, di un gruppo di lavoro, di un’azienda intera, tutti tesi verso l’obiettivo. Certo c’era Fiorello a dare l’avvio, certo Zalone ha cementato la partenza, certo Ferilli ha aiutato la chiusura, ma è stato da subito chiaro che tutti erano utili ma nessuno, o quasi, è stato indispensabile, neppure i nomi più grossi. A vincere è la “macchina”, non a caso guidata da un uomo-macchina. E a consolidare il successo sono stati il gioco di squadra a ogni livello, la sinergia con il Tg1 mai così efficace, la narrazione spalmata su ogni programma Rai.
Da un’altra parte, è un impegno costruito nel tempo, il raccolto di una semina lunga. Dove si intrecciano la serialità debole rispetto alle precedenti edizioni dello stesso Amadeus, i richiami e le linee di continuità con il nuovo decennio d’oro del Festival – grazie a Baglioni, Conti e Fazio, a ritroso – e il legame con la storia tutta della kermesse e il suo immaginario consolidato. Come ha notato Eddy Anselmi, Sanremo ha ritrovato brillantezza, con un riposizionamento coerente e una ricostruzione dopo una fase di stanca. Sul palco del 2022 sono stati tanti i cerchi a chiudersi. Quelli più ravvicinati, con i Måneskin che aprono le danze tornando su quel palco dopo i successi internazionali o i richiami alle canzoni e micro-eventi delle due annate precedenti, da “Musica leggerissima” al caos di Bugo e Morgan. E anche quelli ampi: Mengoni, vincitore del Sanremo 2013 di Fazio e ospite della finale, a coronare la carriera e sottolineare insieme il percorso di rinascita del Festival; il rapporto finalmente risolto con i talent show, che dopo lo sbando degli anni Zero trovano posto non da barbari alle porte ma come un ingrediente ormai digerito e normalizzato dello scenario musical-mediale contemporaneo; o ancora, in parallelo a questo decennio di rimessa a punto, il deciso riavvicinamento della Rai e del pubblico italiano all’Eurovision Song Contest, fino alla vittoria del 2021 e all’edizione 2022 da host country, che si svolgerà a maggio a Torino.
Ancora, quello del 2022 è stato un Sanremo dell’accumulo, come sempre e più che mai. Amadeus fa un Festival additivo, che riprende e mette in fila tasselli delle edizioni precedenti o di altre trasmissioni. Sul versante musicale e su quello televisivo, c’è tutto il mestiere di chi ha cominciato come deejay, e forse lo è sempre rimasto. Ci sono i super-ospiti comici e musicali, le “figure femminili” nella co-conduzione, i monologhi dichiarati e quelli che fanno finta di non esserlo, i moralismi e la locura, le interviste, gli show nello show (come con Cesare Cremonini), gli omaggi appiccicati, ricordi e saluti, le ginnaste e l’esercito, il trionfo del caos nella serata delle cover al venerdì.
Quest’anno colpiva il pieno rispetto di una scaletta di ferro, grazie a un ritmo formidabile che spesso era l’obiettivo primario sul palco e che altrettanto spesso ha aiutato a sfuggire alle polemiche che arrivavano da ogni parte per aprirsi e chiudersi nel giro di ore, subito sostituite da qualcos’altro. Ci sono l’alto (la poesia di Mariangela Gualtieri recitata da Jovanotti, le pagine di Tahar Ben Jelloun lette da Lorena Cesarini) e la marchetta (la nave da crociera, la sostenibilità secondo Eni, la promozione della fiction Rai che diventa essa stessa seriale), i momenti da Teche e quelli dimenticabilissimi, il cibo per la bolla e le sicurezze mainstream. Spesso ci si concentra sul singolo elemento, nell’esaltazione o nella critica, ma mai come in questa edizione il Festival è stato una rete nella rete, un palinsesto intero, dove il tutto vale molto di più della somma delle sue singole parti e il senso del singolo contenuto quasi si annienta in quello del totale (“il medium è il messaggio”, diceva qualcuno). Ci illudiamo che ogni segmento faccia la differenza, quando invece a contare davvero sono la sequenza coerente e disparata, il flusso continuo dei contenuti, l’inerzia buona degli spettatori.
Quello del 2022 è stato un Sanremo che si è imposto come rituale trasversale. Il Festival, fin dalla prima serata (con l’80% delle donne tra 20 e 24 anni, per fare un solo piccolo esempio), ha tenuto davanti allo schermo tantissimi adolescenti e giovani, a smentire il luogo comune secondo cui la tv la guarderebbero solo gli anziani. Certo, la piramide demografica italiana è rovesciata, ed è sul pubblico più maturo che si fanno i grandi numeri; ma far bene la tv generalista, costruire un evento davvero condiviso, vuol dire insieme attirare i ragazzi e mantenere il corpaccione adulto. Insomma: Fiorello ha consentito Rkomi e viceversa, ed è questa la chiave adottata e sapientemente coltivata nella confusione piena di ritmo di Amadeus.
Poco dopo il Quirinale e le #maratonementana, prima delle Olimpiadi, il Festival si è imposto come grande cerimonia mediale, catalizzando il discorso pubblico, generando infiniti commenti e timidi gruppi d’ascolto ritrovati, unendo le dirette ai frammenti, inglobando il pettegolezzo, le letture comiche (dalla Gialappa’s su Twitch ai due di Cachemire con Netflix) e i corpi più estranei (come il FantaSanremo, passato dalla novità alla stucchevolezza in molto meno di cinque serate). Da anni, la frammentazione e la personalizzazione dei social e delle piattaforme generano la spinta uguale e contraria di un pubblico che si raccoglie intorno agli eventi per stare insieme davanti alla televisione, senza escludere chi non è premium, condividendo non solo lo spettacolo ma un immaginario intero, costruendosi e confermandosi come comunità più ampia e trasversale. E Sanremo è il caso estremo della volontà e della necessità della sincronizzazione intorno a uno stesso contenuto, ancora più forte e importante perché è scelta e cercata con vigore in mezzo a infinite alternative: quello che è da sempre la forza del palinsesto lineare e che le piattaforme (che non ha caso hanno farcito di spot ogni pausa pubblicitaria) non possono raggiungere.
Last but not least, quello del 2022 è stato il Sanremo della festa. Un’edizione con il ritorno del pubblico in sala all’Ariston, e la differenza si è sentita (come si è capita l’insistenza, fraintesa, per averne traccia pure lo scorso anno). Un Festival dove hanno trionfato gli abbracci, con mascherine, tamponi e restrizioni più sullo sfondo e la speranza di riuscire finalmente a uscire dall’emergenza. Una gara e uno spettacolo mai così legati al ballo e alla discoteca, certo fissazione del conduttore-deejay (anche nel senso della radio in cui ha esordito e che da poco ha celebrato il suo quarantennale), ma anche simbolo della liberazione, di poter andare oltre due anni difficili. Ed è un altro cerchio che si chiude: Sanremo 2020 è stato l’ultimo momento felice prima della pandemia, Sanremo 2022 ha scommesso e cercato di essere il primo di una ripartenza piena. Tenendo assieme le volontà degli addetti ai lavori, i desideri del pubblico, lo spirito del tempo. E sperando poi di consolidare l’ottimismo della rinascita nella festa globale di Eurovision.
Festival di Sanremo 2022, Teatro Ariston, 1 feb 2022 – 5 feb 2022