Un emiciclo a forma di rudere che riflette la luce argentata di una luna invisibile, su cui tremola il fuoco di una lucerna accesa da una nera figura incappucciata. Dall’alto pende sospeso nel vuoto un albero rinsecchito e rovesciato, come se le radici del cielo stessero per conficcarsi nella terra. In proscenio la mitra e il ricurvo bastone pastorale del Vescovo Santo, il protettore della città di Napoli, San Gennaro. Si apre con questa visione “ctonia” quello che ci appare come una sorta di affondo a due voci su una intera antropologia, un vasto panorama sacrale e insieme profano: il culto di San Gennaro visto come specchio degli splendori e delle miserie, del giubilo e del dolore, del fuoco e del sangue di una intera città che è Napoli.

Si tratta di Sanghenapule. Vita straordinaria di San Gennaro (andato in scena per l’apertura della nuova stagione teatrale al Teatro Bellini di Napoli) dove si intrecciano due cadenze vocali, due diverse scritture/voci di scena che si giustappongono e si fondono. L’una sul versante del Rito e l’altra su quella della Storia. Mentre da un lato Roberto Saviano ripercorre ab origine la strada lungo la quale la figura del Santo Martire si è manifestata in tutta la sua potenza archetipica accompagnandosi, e facendosene riflesso, con le traversie, i sussulti, i momenti catastrofici o rivoluzionari della storia napoletana, intessendo un racconto insieme didattico e politico; dall’altro la lingua versificata, ribollente e barocca, arcaicizzante e polifonica di Mimmo Borrelli, strepitoso poeta-attore, visionario evocatore di sonorità da cui scaturiscono squarci immaginifici, emette come una “colata lavica” di vocalità dando corpo e materia ad apparizioni che traspongono la figura di San Gennaro in forme perturbanti, iconiche e paganeggianti, assimilando il Santo a figure oniriche, ieratiche (come quando indossa una maschera di cane che trasfigura il Santo in una sorta di idolo egizio simile ad Anubis).

Saviano ricorda il carattere paradossale di Gennaro, mediatore tra cielo e terra, tra morte e vita. Borrelli incarna insieme al Santo il suo carnefice, il boia che lo ha decapitato alla Solfatara (la distesa vulcanica ribollente di pozze laviche), reggendo sulle spalle una doppia falce, saturnino emblema della anfibolia di Gennaro. Del resto la radice del nome risiede in Ianuarius che deriva dal dio latino del Tempo, preposto ai passaggi, alle porte e ai ponti e caratterizzato dal doppio volto. Santo mediatore, intercessore, con cui il popolo napoletano ha una confidenza che non è mai deferenza ma addirittura a volte incitamento al limite del blasfemo, come quando le parenti, cioè le anziane devote, lo interpellano con l’epiteto di faccia ngialluta (dato che il busto del Santo portato in processione ha il volto d’oro, quindi la faccia gialla).

In questo senso il culto del Santo si configura come un mito di fondazione, segnato dal fuoco e dal sangue, che ha il suo contraltare capovolto in un’altra visione fondativa del paesaggio napoletano che è la caduta di Lucifero. Saviano la richiama rievocandone la leggenda: l’angelo maledetto, l’angelo caduto precipita sulla terra e pezzi di paradiso restano impigliati nelle sue ali, l’impatto del suo corpo infiammato scava il cratere del Vesuvio e i frammenti paradisiaci, nello scuotere delle ali, si sparpagliano e si ricompongono nell’abbagliante visione del golfo di Napoli. Borrelli allora inforca un paio di ali luciferine ricurve, indossa il ceffo bestiale e bicornuto di Satana e ne tesse con voce rauca e rimbombante un martirologio al pari di quello del Santo: il diavolo vittima del potere dominante così come lo fu il Santo Vescovo. D’altronde lo stesso San Gennaro fu paradossalmente “adottato” dai rivoluzionari napoletani del 1799, dal momento che lo scioglimento del sangue in quella occasione fu vista come segno di benevolenza: il Santo si era fatto giacobino. Ne scaturì una sorta di “maledizione” della figura di Gennaro da parte del potere borbonico che trascinò con sé la plebe ‘sanfedista’.

Il risultato fu, come un contrappasso, il sangue delle teste decapitate dei martiri rivoluzionari, specchio in questo caso dei martiri cristiani. Eppure ci ricorda Saviano le idee della stessa Rivoluzione francese si erano basate sui principi di emancipazione e libertà di intellettuali napoletani come Gaetano Filangieri, Antonio Genovesi e Ferdinando Galiani. Così Borrelli veste anche i panni di un santo laico vittima della vendetta borbonica: Domenico Cirillo, ponendolo sulla scia di sangue di un martirio analogo a quello del Santo, in una sofferta litania monologante in cui prende carne viva la parola liberale dei rivoluzionari napoletani del 1799. 

In questo modo sfilano nello spettacolo i momenti in cui Napoli ha coniugato il sangue e il fuoco. Dalla tremenda eruzione del Vesuvio nel 1631 che a un gesto del Santo si ferma alle porte di Napoli, al sangue degli emigranti verso le Americhe, destinati a diventare carne e maciello, fino al mescolarsi di sangue e fuoco dell’eruzione del 1944 che susseguì alla sanguinosa insurrezione contro i tedeschi delle Quattro Giornate napoletane.

Il racconto icastico e pieno di tensione morale e politica di Saviano, scandito come una esemplare lezione di Storia che procede a una sorta di “radiografia” dell’idea di una Napoli dimidiata tra inferno e paradiso e insieme immaginata come un “purgatorio di sangue in terra”  rimbalza nella musicalità incandescente di Borrelli, della sua voce che trascorre tra altissimi e bassissimi, tra stridori e gutturalità, singhiozzi e urla, toni cupi e deformazioni chiocce, sferzata come il susseguirsi di scudisciate sonore di una invettiva, oppure soffiata come un dolente epicedio. 

Perdere oggi. Esempio di domani, / nel sangue che scorre da le vostre mani, / nel monito dei vostri discendenti figli/: cumbattere sempe con parole e artigli,/ p’ ‘a libbertà. L’unico errore commesso/ è ca nun capimmo stu popolo oppresso/, ca nunn’è pronto ancora a stu pruciesso/ de cammenà senza nisciuno appriesso/ e li catene de chi po’vene scagnato/ pe’benefattore e no pe’ dittatore.

Così i versi di Mimmo Borrelli si incidono nel fuoco e nel sangue purgatoriale di quella città bifronte come Giano, sospesa tra cielo e terra come il Santo, maledetta e benedetta che è da sempre Napoli.

Riferimenti bibliografici
F.P. de Ceglia, Il segreto di San Gennaro. Storia naturale di un miracolo napoletano, Einaudi, Torino 2016.

Sanghenapule. Vita straordinaria di San Gennaro. Testi: Roberto Saviano, Mimmo Borrelli; regia: Mimmo Borrelli; scenografia: Luigi Ferrigno; costumi: Enzo Pirozzi; interpreti: Roberto Saviano, Mimmo Borrelli; durata: 90′; anno: 2023.

*La foto in copertina è di Lorenzo Ceva Valla.

Share