Un filosofo che affermi la rara presenza di qualcosa di interessante nella vita di un professore consente una biografia? Questa è la questione cui si propone di rispondere il libro di Filippo Domenicali e Paolo Vignola. E se la risposta è affermativa, può esserlo in quanto da un lato il testo ha come finalità quella di introdurre al pensiero deleuziano, e dall’altro quella di drammatizzarlo tentando di «ritrovare, alla radice, nella loro storia, i problemi di Deleuze, esaminando da dove vengono, come si impongono alla sua attenzione, ma anche come si trasformano nello spazio del suo pensiero» (Domenicali, Vignola 2023, p. 15). Operazione monumentale che ripercorre i lavori deleuziani in maniera cronologica seppur non molare.
Il corso della vita e quello del pensiero del filosofo francese, infatti, non vengono trattati nell’ordine segmentario del prima «la famiglia, poi la scuola, poi l’esercito, poi la fabbrica, poi la pensione» (Deleuze, Parnet 2019, p. 137), ma con l’attenzione a quegli incontri che influiscono sulla riflessione concettuale deleuziana, riorientandola o costituendo l’occasione per la generazione di linee di fuga. Questa impostazione dà vita ad una biografia paradossale in grado di superare l’idea di una ricostruzione della vita di Deleuze, volgendo invece in direzione di un progetto di «biografia concettuale» (Domenicali, Vignola 2023, p. 15). Uno stimolante esperimento in cui, tenendo conto di quanto il concetto filosofico sia inseparabile dalla vita, la ricognizione dei concetti e dei testi deleuziani è sempre accompagnata dal suo substrato contestuale e dal milieu degli incontri e degli accadimenti politici e sociali.
È seguendo questo criterio quindi che il primo periodo dell’opera e della vita di Deleuze, che si estende dal 1939 al 1969, è presentato fornendo il contesto di amicizie ed esperienze capaci di condurre alla preparazione di quella grande messa in scena della «lotta della filosofia, o la storia della filosofia come teatro» (ivi, p. 131). Il cammino di apprendistato storico-filosofico si rivelerà perciò essenziale alla composizione di quel trittico costituito da Spinoza e il problema dell’espressione (1968), Differenza e ripetizione (1968), e Logica del senso (1969), che ha la finalità ultima di effettuare il passaggio dall’immagine dogmatica del pensiero ad un pensiero senza immagine.
E infatti è fin dagli anni ’50 che Deleuze manifesta il desiderio di emanciparsi dai grandi numi tutelari della storia della filosofia scegliendo altri attori per la sua scena, tanto che l’amico Tournier testimonia di come già ai tempi del liceo nel loro gruppo di amici vigesse «una concezione polemicamente non accademica della filosofia» (ivi, p. 24). E tuttavia se c’è un’atmosfera che condurrà decisamente il filosofo ad intrattenere il predetto rapporto con la storia della filosofia, questa è sicuramente quella della Sorbona, dove Deleuze si troverà a studiare a seguito di uno spezzarsi della linea retta che avrebbe dovuto portarlo invece all’École normale supérieure.
Nel dar conto di questo ambiente, il testo indica legami e influenze concettuali con altri studiosi rappresentando uno strumento indispensabile per lo studioso interessato a filiazioni, confronti e nessi concettuali. È infatti la ricchezza di questo contesto a presentare le motivazioni che porteranno Deleuze all’alleanza con autori démodé rispetto alla tendenza esistenzialista e fenomenologica, quali: Hume, che proponendo una soggettività pratica consente di reagire al rinnovato hegelismo di Hyppolite; Nietzsche, la cui lettura antidialettica sarà criticata da Whal; Proust come risposta a Kant; e ancora Bergson e Spinoza. Autori che saranno chiamati in causa per svolgere un ruolo cruciale nei testi del biennio ’68 e ’69, soprattutto grazie a quell’immenso cantiere riflessivo — costituito dal “buco di otto anni” che interviene tra la pubblicazione del testo su Hume e quello su Nietzsche — che Domenicali e Vignola restituiscono al lettore nella sua fecondità. Infatti da un lato gli autori rendono conto del clima filosofico che circondava il filosofo francese, e dall’altro conducono all’attenzione corsi e articoli di quel periodo che lungi dall’essere “secondari” rispetto alle opere, costituiscono invece una dichiarazione d’intenti utile alla comprensione di quanto contenuto nelle tesi del ’68.
È così che nel corso tenuto nel 1956-57, titolato Che cos’è fondare?, si trovano le ragioni del confronto con la metafisica: se da un lato il fondamento «condiziona, localizza, limita» (ivi, p. 72) e urge muoversi verso uno sfondamento, dall’altro la metafisica potrà dirsi effettivamente superata solamente tramite una logica del senso. D’altro canto ciò che viene tematizzato maggiormente nel corso di questi anni è il rapporto inscindibile che lega la differenza e la ripetizione, e che richiede un nuovo metodo capace interrogare la relazione tra il pensiero filosofico e le immagini che utilizza. La riuscita della fuga dalla storia della filosofia infatti dipende dalla sperimentazione — complice Nietzsche — del metodo della drammatizzazione con il quale la domanda metafisica sull’essenza (che cos’è?) è sostituita da quella genealogica (chi?, quanto?, come?) che consente di accedere ad un mondo sub-rappresentativo.
Il testo ricompone e illustra dunque il substrato che porta al maggio ’68 come momento che pone le condizioni dell’incontro con Guattari e vede il filosofo francese diventare punto di riferimento per gli studenti. Ma il ’68 è anche l’anno di conclusione delle due tesi di dottorato di cui quella su Spinoza segnerà la successiva produzione tramite l’idea di univocità, mentre in Differenza e ripetizione torneranno «tutti i filosofi precedentemente studiati […] in maniera paradossale […]. Risultato: la filosofia come “empirismo trascendentale”» (ivi, p. 141), come «generalizzazione dell’uso trascendente delle facoltà, a partire dalla sensibilità e dalla sua passività costitutiva» (ivi, p. 150). Le tesi saranno discusse l’anno successivo, nel ’69, allorquando Deleuze darà vita a quell’«instant book» (ivi, p. 151) che è Logica del senso con cui la dimensione di profondità di Differenza e ripetizione sarà portata in superficie con l’aiuto degli stoici e di Carrol, giungendo su un campo trascendentale impersonale popolato di eventi. È dunque con un’etica della controeffettuazione che si chiude la prima fase del pensiero deleuziano, ormai pronto all’aggancio con Guattari.
Sull’incontro con Félix, avvenuto nel 1969, e sulla sua funzionalità a risolvere impasse del pensiero deleuziano molto è stato detto, ed anche in questa ricostruzione il testo costituisce uno strumento capace di dar conto sia delle differenti fonti del dibattito sia dell’intreccio di concetti che può essere colto “raddoppiando” l’opera deleuziana con quella guattariana. Sebbene resti il fatto che essi rappresentarono «l’uno per l’altro, un “fuori” a cui già tendevano, anche inconsciamente, le loro necessità teoriche» (ivi, p. 160), le opere a quattro mani sono esito di prospettive che si trovano esse stesse in un rapporto di sintesi disgiuntiva (ivi, p. 148). Del resto la stessa esperienza sessantottina era stata frutto di un vissuto personale diverso: Guattari fu «protagonista di lotte, manifestazioni, assemblee generali» (ivi, p. 126) mentre per Deleuze tutto si giocava nel piano di una «osservazione partecipata [e di] riferimenti filosofici» (ivi, p. 127) minoritari.
Tenendo quindi a mente quanto sopra, si può considerare il loro primo testo come una messa in movimento del teatro deleuziano: gli attori perdono il loro ruolo preassegnato. In altre parole, la struttura subisce l’incursione della macchina quale «fattore di rottura» (ivi, p. 162) a partire dal quale è possibile osservare il desiderio nel suo prodursi sul piano d’immanenza del Corpo senza Organi.
Così alla denuncia della società capitalista e della psicoanalisi in L’anti-Edipo (1972), si affiancano le lezioni a Vincennes in un clima accademico «e militante» (ivi, p. 18) che Domenicali e Vignola non mancano di restituire e che è testimoniato anche dalla rilevanza data ad una serie di scritti preparatori per i concetti di Mille piani (1980) quali Pensiero nomade (1972), Kafka. Per una letteratura minore (1975), Rizoma (1976) e Conversazioni (1975) scritto con Parnet. In particolare gli ultimi due risultano esemplari testimonianze dell’impegno abbracciato da Deleuze. In Rizoma si trova infatti un riferimento critico a Mao che suscitando le reazioni di Badiou allora collega a Vincennes, rende conto delle prese di posizione di Deleuze nelle «lotte intestine del dipartimento di Filosofia» (ivi, p. 195). Ugualmente il quarto capitolo di Conversazioni si legherà alle esigenze di Negri e Bifo, il primo dei quali sarà apertamente difeso da Deleuze in occasione del suo arresto nel 1979. Tutto insomma confluirà in Mille piani come «kit teoretico e politico di fuga e creazione concettuale» (ivi, p. 206) per il presente.
Le fughe, sotto forma di divenire minori, sono disposte dalle riflessioni sulla letteratura. Il testo approfondisce in tal senso come letteratura e scrittura saranno una costante di Deleuze e fonte di una complicità nell’attacco alla psicoanalisi e alla linguistica. Se già l’analisi Masoch puntava a smontare l’unità sadomasochista pensata da Freud e Proust era utilizzato per rivedere il trascendentale kantiano, ora gli aforismi nietzschiani sono base della macchina da guerra che decodifica quei «codici che veicolano il senso nella tradizione filosofica e all’interno della società» (ivi, p. 177). Così come l’interpretazione dei testi kafkiani è portatrice, con i divenire minori, di quel nesso estetico-politico che troverà pieno sviluppo nell’ultima fase produttiva di Deleuze.
Gli ultimi anni, dal 1981 al 1995, sono gli anni dei corsi che costituiscono «un universo sonoro e un vero e proprio teatro filosofico, che rappresenta i vari personaggi a cui corrispondono le diverse fasi del ragionamento e della concettualizzazione» (ivi, p. 223). Domenicali e Vignola ripercorrono dunque gli ultimi corsi a Vincennes e quelli tenuti a Saint-Denis, mostrando come siano terreno di sperimentazione per la composizione dei testi dedicati a Spinoza (1981), al cinema (1983 e 1985), a Bacon (1981), a Foucault (1986) e a Leibniz (1988). In tutti questi casi, così come in Che cos’è la filosofia (1991) e in Critica e clinica (1993) verrà ad affermarsi quel legame inscindibile tra creazione e resistenza che opera su più piani: se da un lato infatti l’arte è in grado di fare appello e di generare le condizioni di un popolo a venire, dall’altro lo stesso inventare è un modo di resistere all’incedere delle società del controllo.
Il testo quindi non manca di evidenziare, in accordo con lo stesso Deleuze e portando avanti questa linea interpretativa, come l’attenzione al versante propriamente concreto della creazione non possa mai venire meno tanto che «lungi […] dall’essere una rinuncia al pensiero più teoretico o a quello più politico, che hanno segnato i decenni precedenti, questa terza tappa, […] rappresenta una lievitazione dell’elaborazione concettuale» (ivi, p. 236). Così a quel grande trattato ontologico che sono i testi sul cinema, si aggiungeranno anche un focus sul corpo, che emerge grazie alla pittura di Bacon e al processo di realizzazione in Leibniz, e sulla soggettivazione in Foucault che consentirà di fare definitivamente i conti con Heidegger.
Oltre il termine delle lezioni, l’ultimo periodo di scrittura sarà dedicato a specificare ed arricchire l’idea di un piano di immanenza che oltre a coincidere con una vita impersonale, e ad essere attivato da vari personaggi concettuali che da sempre hanno generato gli stessi concetti deleuziani, verrà anche essere pensato come piano di composizione dell’arte. In questo senso il testo di Domenicali e Vignola non fa altro che comporre, mediante la scrittura, il ritratto monumentale del filosofo Deleuze per incarnarlo, renderlo durevole, e farlo esistere per sé (e per noi) oggi.
Il testo, allora, ci consegna un’introduzione a Deleuze e una ricognizione dell’origine delle sue questioni, affrontandole tramite una linea minore costituita dalla voce delle «”vite parallele” di colleghi, amici e interlocutori» (ivi, p. 16) che se da una parte illuminano il pensiero deleuziano, dall’altra sono fondamentali per l’indagine di legami teoretici e concettuali rispetto ai quali il progetto del testo fornisce un’importante base storico-filosofica mettendo a disposizione un’ampia mole di documentazione che spazia dai testi deleuziani, alla letteratura secondaria, fino alle trascrizioni delle lezioni.
In tal senso il progetto di una biografia concettuale è corredato da una vasta bibliografia secondaria che nella sua ricchezza è strumento utile allo studioso che voglia ripercorrere dibattiti interni al pensiero deleuziano o prendere in analisi le interpretazioni e letture di un particolare aspetto o concetto. In tal modo Domenicali e Vignola offrono una guida che non solo ripercorre i testi del filosofo nei loro principali snodi concettuali, accompagnata da un glossario deleuziano in chiusura del volume, ma che è anche consultabile alla maniera di Mille piani: si può procedere in ordine, ma si può anche iniziare da un particolare momento, da un’opera, da una fase storica del pensiero di Deleuze vista l’autonomia che i capitoli riescono ad avere proprio perché l’opera deleuziana viene considerata sì nella sua cronologia, ma anche coerentemente con accadimenti contestuali che provocano l’emersione di un concetto. In breve: una ricostruzione tanto vantaggiosa per il neofita quanto utile allo specialista.
Filippo Domenicali, Paolo Vignola, Deleuze. Filosofia di una Vita, Carocci, Roma 2023.