Corpo e sesso al tempo delle mascherine

di FELICE CIMATTI 

Ripartire dal desiderio di Elisa Cuter.

La voglia matta

La voglia matta (Salce, 1962)

Forse non è propriamente un caso se nel tempo delle mascherine e del social distancing, che segue di poco quello del Me Too, si torni a parlare di sesso e desiderio. Cioè si torni a parlare del corpo non in quanto “nuda vita” – ossia il corpo come prodotto di scarto del dispositivo di individuazione che produce soggetti da un lato e corpi dall’altro – ma del corpo potente del desiderio, vivo e scomodo. La questione che si pone, al contrario, è quella di un corpo, il corpo sessuato, liberato non solo, e non tanto, dal “potere” dei condizionamenti sociali, ma anche e soprattutto dal controllo sempre più meticoloso operato dai singoli individui su se stessi. In effetti, è sempre sorprendente come anche i più intransigenti oppositori del capitalismo che espropria il comune a vantaggio del privato, non si rendano conto di come questo meccanismo sia operativo anche a livello personale: che significa, infatti, parlare del “mio corpo” se non riprodurre a livello micro quello che il sistema economico capitalistico esercita su scala globale? In che senso il corpo è di mia proprietà? La proprietà privata esclusiva a livello corporeo è lecita mentre a quello sociale no? E perché? Ribadire indignati o infastiditi che il “corpo è mio e ne faccio quello che voglio” non risponde a queste domande, semplicemente non le comprende e non coglie quanto il dispositivo capitalistico sia penetrato in profondità nell’apparato psichico di ognuno di noi.

Questo radicale regime proprietario a cui è sottoposto il cosiddetto corpo “proprio” è particolarmente evidente sul piano sessuale. E questo certamente non è casuale, perché almeno dal tempo di Freud è noto che il controllo del sesso è il mezzo principale per controllare anche il resto della vita individuale e sociale. In questo senso, mettere al lavoro gli esseri umani è così diverso dal mettere al lavoro il “proprio” corpo? C’è davvero tutta questa differenza se il capitalista sono io, invece che il CEO di una multinazionale che viaggia in un jet privato? In Ripartire dal desiderio (Minimum Fax, 2020) Elisa Cuter torna così a scrivere di sesso e desiderio in un modo diverso da quello confortevole e conformista a cui siamo ormai abituati. Il sesso – ci viene ribadito continuamente da psicoanalisti e da “esperti”, da preti e opinionisti, dalle rubriche sui settimanali più illuminati ai talk show pomeridiani – infatti “fa bene alla salute” e soprattutto è un modo “naturale” di stabilire relazioni con l’altro.

Ecco il punto, il sesso addomesticato è il sesso relazionale, il sesso che va incontro all’altro, il sesso che va a braccetto con l’etica. Ma quello che la psicoanalisi ha messo in luce – a partire dal testo più rivoluzionario di Freud, i Tre saggi sulla teoria sessuale (1905) fino alla lapidaria formula lacaniana del «il n’y a pas de rapport sexuel» – è al contrario che il corpo sessuato non ha niente a che fare con l’altro e l’etica: «Il sesso», ci ricorda Cuter, «non è una passeggiata: è rischioso, imbarazzante e spesso sgradevole» (Cuter 2020, p. 40). Ed è rischioso non solo perché attraverso il sesso possono trasmettersi malattie (l’associazione fra sesso e infezione è un classico topos biopolitico), è rischioso in un senso molto più radicale perché il sesso espone ciascuno di noi al rischio di una radicale espropriazione soggettiva. Nel sesso il corpo mostra quanto sia illusorio quell’aggettivo possessivo, “il mio corpo”. In questo senso il sesso, e il desiderio che lo strapazza da tutte le parti, può essere imbarazzante, appunto perché espone il soggetto all’inaspettata e sgradevole condizione di non controllare proprio niente: «Il sesso non è il luogo della conciliazione e dell’armonia, anzi: è quello che fa problema, è il luogo del conflitto» (ivi, p. 39).

Si pensi, ad esempio, al regime controllatissimo dello sguardo in un tempo in cui anche un’occhiata troppo insistita può velocemente diventare una molestia se non una violenza: «Il sesso è invece qualcosa che esclude, che appunto taglia la nostra percezione: crea un disturbo nel nostro campo visivo, riarticola il nostro sguardo verso qualcosa in particolare» (ivi, p. 41). Gli occhi sono trascinati da un desiderio innominabile di cui il soggetto “proprietario” di quello stesso sguardo non vuole invece sapere nulla. Bisogna allora educare quegli occhi a non essere disturbati da un desiderio inaccettabile. Un desiderio che è socialmente ma anche individualmente inaccettabile. Ma questo non toglie che rimanga un desiderio, fortissimo proprio perché inaccettabile. Il sesso è “imbarazzante”, come scrive Cuter, proprio perché questo dissidio non è ricomponibile, e la soluzione etica e altruistica non è una soluzione, perché senza quel dissidio non c’è più corpo sessuato, non c’è più il desiderio. Forse non c’è più nemmeno vita.

Il campo del sesso, allora, è un campo per definizione ambiguo e non assoggettabile, se non in minima parte, al controllo del soggetto. Insistiamo che il punto è proprio il soggetto, e non un qualche potere esterno. Che il corpo sia ora guidato dalla coscienza individuale anziché dal parroco nel confessionale (o dallo psicoanalista nella sua poltroncina alle nostre spalle) non cambia la situazione, perché rimane che il corpo è un oggetto di una decisione altrui. In effetti secondo la psicoanalisi il soggetto – l’“Io” – non è altro, in fondo, che questo incessante tentativo di controllare il corpo sempre sul punto di fuggire via. Il punto in questione è che il corpo sfugge via proprio perché c’è un io che cerca di contenerlo e di guidarlo verso la relazione e l’altro. Il desiderio, propriamente, è il risultato di questo scontro non riconciliabile. Ma questo significa, allora, che lo spazio della seduzione, cioè il campo del desiderio dei e fra i corpi, è per definizione ambiguo e sporco: altrimenti non ci sarebbe nulla da desiderare.

Detto in altri termini, il desiderio umano è inseparabile dal conflitto irrisolvibile fra soggetto e corpo. Eliminare il conflitto, come vorrebbe la svolta reazionaria e moralizzatrice del nostro tempo, fa piazza pulita anche del meccanismo del desiderio: «Perché la confusione, l’assenza di un esito chiaro e leggibile è il punto della dinamica della seduzione. Non è una transazione economica: niente contratti, non sai in che cosa ti stai imbarcando, né tu che mandi i segnali né chi li riceve ed eventualmente accoglie» (ivi, p. 41). È evidente quanto descrivere in questi termini il campo della seduzione possa disturbare chi invece vorrebbe regolamentare il desiderio entro i confini sempre più rigidi ed espliciti del codice penale (ma anche di quello commerciale).

Da notare che quando si tratta di normare il desiderio ed il sesso c’è una curiosa alleanza di fatto fra neoliberals capitalisti da un lato e sostenitori terzomondisti dei beni comuni dall’altro. Sostenere che il sesso non ha a che fare con il diritto e con la relazione etica ma con la seduzione e il desiderio è ormai un’affermazione inaudita, se non semplicemente incomprensibile per il senso comune conformista del nostro tempo. D’altronde le ragioni mediche non sarebbero state sufficienti per rendere l’uso della mascherina e del social distancing così efficaci e condivisi se appunto non fossimo già tutti diventati sospettosi nei confronti del sesso e dei corpi. Anche in questo caso il virus non aggiunge nulla di nuovo, rende solo esplicite ed evidenti tendenze già in atto da tempo.

Ma tutto questo, come detto, la psicoanalisi lo ha sempre saputo (e proprio per questa ragione oggi il pensiero di Freud è così poco praticato). Invece la conclusione più interessante del libro di Cuter arriva quando si tratta di rendere chiare le implicazioni politiche di un ragionamento in cui vengono difese le ragioni “sporche” e perturbanti del sesso e del desiderio. E qui Cuter tocca un argomento scottante: che cosa è diventato il femminismo nel tempo del Me Too? La posizione di Cuter è diversa da quella corrente (o almeno di quella più rappresentata sui media), ed è il merito forse principale di questo libro. Una posizione che non è difficile immaginare come minoritaria. Cuter, in sostanza, difende un femminismo come forza rivoluzionaria che difende le ragioni del corpo e del sesso, ma solo di quel corpo e di quel sesso che nessun regime etico-politico può né deve controllare. Un femminismo che non sta dalla parte della legge e dell’etica, ma da quella della vita e del desiderio:

Il femminismo è storicamente l’arrivo di un terzo soggetto che non è né il maschile né il femminile per come li intendevamo tradizionalmente. E questo terzo non è andato banalmente ad aggiungersi al binarismo, non ha creato un ordine, né una contiguità, bensì una differenza, una rottura che riarticola lo spazio sociale, e si fa quindi promessa di possibilità autenticamente rivoluzionarie. Per come lo intendo io, il femminismo è questa cosa che porta il sesso al centro del discorso, e per questo porta scompiglio (ivi, p. 40).

Cos’è allora il femminismo, per Cuter? Non tanto un movimento che ha a che fare con le donne, quanto un vettore di costante “scompiglio” della vita sociale, uno scompiglio che non ha nulla a che fare con qualche sostanza particolare (il corpo della donna, in particolare). Al contrario, il femminismo – qualcosa di molto vicino al “divenire donna” di cui parlano Deleuze e Guattari in Mille piani (1980), una possibilità di divenire che riguarda tanto gli uomini che le donne – è una pratica che si oppone radicalmente ad ogni «idea essenzialista del genere» (ivi, p. 156). E così torniamo a Freud, al corpo “perverso polimorfo” di cui parla nei Tre saggi sulla teoria sessuale: un corpo del genere non è appunto né maschile né femminile, né attivo né passivo, è un corpo che desidera un desiderio che non smette di disturbare le nostre vite. Un desiderio che proprio per questa ragione è pericoloso, perché «desiderare» è appunto «quella condizione in cui ci si autodetermina diventando passivi» (ivi, p. 34). Ma senza il pericolo della passività non c’è nemmeno desiderio. Il desiderio e il sesso non fanno che sfuggire alla nostra presa: ecco perché «ripartire dal desiderio vuol dire partire senza sapere per dove» (ivi, p. 42).

Elisa Cuter, Ripartire dal desiderio, Minimum Fax, Roma 2020.

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