Mentre pensavo a come scrivere questo articolo, a quali parole usare, a quali immagini fare ricorso, due cose mi sono divenute chiare immediatamente. La prima: non posso non scrivere in prima persona. Si tratta di un gesto rischioso, certo, forse narcisista, ma non importa. Il mio percorso è stato così profondamente legato a Filmcritica e a Edoardo che sarebbe falso non mettermi in gioco in questo momento, non dichiarare chi sta scrivendo, e per chi. La seconda consapevolezza è che parlare di Edoardo significa parlare di Filmcritica, semplicemente. La rivista di cinema che ha attraversato la seconda parte del Novecento e i primi due decenni degli anni Duemila, che è nata con Edoardo e la cui prima incarnazione si è conclusa con lui – il numero 700, l’ultimo numero della versione cartacea della rivista è uscito pochi mesi fa – diventa allora il “luogo” di una pratica critica che Edoardo ha incessantemente portato avanti per 70 anni.

L’identificazione di Filmcritica con Edoardo è quindi assoluta, ma allo stesso tempo la rivista non si è mai tradotta in una emanazione dello spirito critico del suo direttore e fondatore. Ricordo il mio duplice incontro con la rivista: il primo come lettore. Nei miei anni universitari divoravo in biblioteca i numeri di Filmcritica. Mi piaceva il suo formato austero, le foto in bianco e nero, gli articoli e i nomi propri che comparivano in ogni numero. I film di cui si parlava, molti dei quali non avevo visto e che prendevano vita nella mia mente, attraverso le parole di questo o di quel critico che ne scriveva. È un primo livello dell’apprendistato critico; la fascinazione del cinema arriva attraverso la mediazione delle parole, che spingono il desiderio a recuperare questo o quel film, questa o quell’immagine. Si faceva strada in me la consapevolezza che l’esercizio critico era un atto (anzitutto) d’amore, per il cinema, per ciò che il cinema può creare. In quelle pagine vibrava una passione per il cinema contagiosa, in cui riconoscersi. Vi leggevo un sentire comune, che si confermava ogni volta anche nelle differenze (di stile, di scrittura, di oggetti) tra i vari autori. Quel comune sentire mi seduceva, mi affascinava, perché in esso vibrava un’idea potente di critica.

Il senso di quel “comune sentire” mi divenne chiaro a partire dal secondo incontro con Edoardo e Filmcritica. La rivista aveva pubblicato un mio saggio e subito io telefonai ad Edoardo per ringraziarlo. Ricordo la sua voce sorridente al telefono, che mi invitava a partecipare alle riunioni di redazione che si tenevano settimanalmente, ogni lunedì, nella storica sede della rivista, a palazzo del Grillo, al centro di Roma.

Andai, felice e un po’ intimorito, alla mia prima riunione, la prima di tante. Edoardo mi disse: “A Filmcritica non assegniamo gli articoli, ma il numero nasce qui, dalle discussioni collettiva, da quello che i film che ci vengono incontro ci permettono di dire”. Mi piacque molto questa affermazione che divenne ben presto il mio modo di pensare il cinema e la critica: non un giudizio di valore (quello era già insito nella scelta di parlare di un film oppure no), ma un’occasione di pensiero: “se un film non ti parla, non ti spinge a scrivere, non bisogna scriverne”.

Ecco allora il senso di quel sentire comune: le riunioni della redazione (che poi proseguivano e si riproponevano nelle varie occasioni di incontro: proiezioni, festival, rassegne), erano una possibilità di scambio e di confronto, di messa in gioco comune di uno sguardo. Quelle discussioni si riverberavano nelle pagine della rivista, diventavano articoli o saggi. Nei settanta anni della vita della rivista sono passati a Filmcritica numerose generazioni di critici che hanno poi proseguito o interrotto il loro percorso, intrapreso a volte altre strade, ma sempre rimaneva forte l’idea di una passione per il cinema capace di orientare ogni scelta.

Edoardo, straordinario talent scout, accoglieva sguardi sempre nuovi, che erano capaci ogni volta di entrare nel gioco comune della rivista, che scoprivano l’arte della critica come maieutica, come nascita di un pensiero che non può essere individuale, solitario, ma che si mette a punto attraverso l’argomentazione, il confronto, l’incontro. Edoardo non c’è più, così come la rivista cartacea ha cessato le sue pubblicazioni (per quanto la sua versione on line è il progetto aperto dei redattori della rivista). Ma la sua idea critica rimane fortemente presente in chi ha nel tempo proseguito quel percorso, disseminato in tante altre occasioni di pensiero (ancora) critico.

Edoardo Bruno, Roma 1928 – Roma 2020.

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