Che cosa rende un eroe tale? Quali sono le qualità che lo contraddistinguono?
Dagli eroi dell’antichità ai supereroi del cinema contemporaneo, l’eroe è un essere che racchiude in sé gli attributi della divinità e dell’umanità. La forza fisica, i valori etici, la fedeltà, la nobiltà d’animo, il coraggio, lo sprezzo del pericolo, la padronanza nell’uso delle armi e soprattutto il sacrificio sono ciò che lo distinguono dagli altri esseri umani, facendone allo stesso tempo il loro rappresentante. Perché l’eroe agisce sempre a favore della sua comunità, ne incarna l’anima, i suoi valori. Nell’organizzazione drammaturgica di una storia l’eroe è infatti colui attraverso cui passa l’identificazione dello spettatore/lettore, perché dotato di qualità uniche ma anche universali nelle quali riconoscersi e identificarsi.
Un’identificazione che passa anche per la sua presenza fisica. L’iconografia classica ce lo restituisce possente nella figura e nel gesto. È quanto accade con i divi/le dive dello star system hollywoodiano con il loro potere di identificazione e proiezione che esercitano sullo spettatore: «Ideali inimitabili e al tempo stesso imitabili; la loro duplice natura è analoga alla duplice natura teologica dell’eroe-dio della religione cristiana: divi e dive sono superumani nel ruolo che impersonano, umani nell’esistenza privata che vivono» (Morin 2005, p. 146)
La guardia di sicurezza, Richard Jewell, che scopre uno zaino contenente esplosivo a un concerto durante le Olimpiadi di Atlanta nel 1996, evitando così una strage, protagonista dell’ultimo omonimo film di Eastwood, non sembra corrispondere perfettamente a questo profilo. È obeso, vive da solo con la madre, è frustrato perché non riesce a entrare nelle forze dell’ordine (desiderio che persegue ostinatamente e in maniera anche un po’ ottusa), fa propri gli ideali di ordine e giustizia, è un accumulatore di armi da fuoco. La sua unica qualità sembra essere quella di indovinare le esigenze dei dipendenti della Small Business Admistration, compagnia per la quale lavora, all’inizio del film, con il compito di rifornire di cancelleria le scrivanie dei dipendenti (si guadagna l’appellativo di “Radar” da quello che sarà il suo futuro avvocato difensore, l’unico a rivolgergli la parola e a trattarlo come essere umano, proprio per il suo spirito di osservazione che lo porta a rifornire l’uomo della marca degli snack preferiti).
La sua fisicità e il suo profilo psicologico sono le cause del drastico passaggio di Jewell, in poche ore, da eroe nazionale, come viene acclamato subito dopo l’attentato, a principale sospettato. Tanto che paradossalmente, anche se siamo a conoscenza della sua vera storia, siamo portati a chiederci: come si può credere a quest’uomo?
Questa ennesima variazione di Eastwood sul tema dell’eroe anonimo sembra passare qui attraverso una destrutturazione del corpo eroico. Se Richard è come Sully Sullenberger (Tom Hanks), protagonista di Sully (2016), un eroe suo malgrado (“Non sono un eroe, ho fatto solo il mio mestiere”) con questi non condivide certamente il carisma. Tanto più la sua fisicità è distante dalla prestanza fisica del cecchino Chris Kyle (Bradley Cooper) nel precedente American Sniper (2014). Ma neanche sembra apparentabile con i tre ragazzoni selfie dipendenti di Ore 15:17 – Attacco al treno (2018). Se l’eroismo di Kyle e quello di Sully erano basati su un alto livello di professionalità e performance (l’infallibilità con il fucile del primo, che gli faceva guadagnare l’epiteto di “leggenda” e la professionalità del secondo che gli permetteva di compiere un ammaraggio d’emergenza sull’Hudson salvando più di 150 persone tra passeggeri e membri dell’equipaggio) e quello dei protagonisti di Attacco al treno era casuale e involontario, quello di Jewell consiste nel fare la cosa giusta applicando meccanicamente le regole e le leggi, quanto ha imparato nei corsi di addestramento per entrare nelle forze dell’ordine.
L’eroismo dell’uomo senza qualità, dell’uomo ordinario posto in una circostanza straordinaria, si riflette nella scelta del casting, di un attore come Paul Walter Hauser, che non ha il phisique du role dell’eroe. Scelte che gli contrappongono invece nei ruoli dei rappresentanti delle istituzioni (l’FBI e i media) due attori che dall’universo “levigato” della serialità televisiva provengono e sono immagine: l’agente dell’FBI interpretato dal protagonista di Mad Men, Jon Hamm, e la giornalista arrivista dell’“Atlanta Journal-Constitution”, Olivia Wilde, nota soprattutto per il suo ruolo in Dr. House. Inoltre, il corpo da “Omino Michelin” di Jewell è contrapposto a quello di due icone dell’eroismo americano le cui immagini intravediamo in due momenti nel televisore di casa Jewell: James Stewart e John Wayne in una scena di Iwo Jima, deserto di fuoco (1949) di Allan Dwan.
È proprio il corpo fuori misura di Jewell (e il suo profilo psicologico) a renderlo ontologicamente colpevole. Jewell è colpevole per quello che appare. E le istituzioni (anche quelle scolastiche: le accuse a Jewell arrivano anche dal preside del college dove aveva lavorato come guardia giurata), incapaci di andare al di là delle apparenze, ne fanno il perfetto bombarolo. O meglio, forzando le appararenze e costruendo un dispositivo nel quale l’uomo è preso. Da questo punto di vista, si riconosce qua un evidente richiamo al cinema di Lang, al “balletto d’indizi” (Deleuze 2016, p. 201), che sembrano falsi, si rivelano veri per poi mostrarsi definitivamente falsi (è il caso dei film della cosiddetta “trilogia sociale”: Furia, 1936, Sono innocente! , 1937, e You and Me, 1938, o di L’alibi era perfetto, 1956). D’altra parte anche qui tutta la vicenda è una questione di finzioni e di messa in scena: dalla dichiarazione di colpevolezza che gli agenti dell’FBI tentano di estorcere a Jewell mettendo in piedi un vero interrogatorio spacciandolo per finto, alla finta telefonata dell’attentatore che sempre l’agente dell’FBI si ostina a far ripetere al protagonista.
Venendo meno la “gloriosità” del corpo della star (Hanks, Cooper…) la ricostituzione dell’empatia con lo spettatore è affidata al ripristino della verità. E questa verità, come sempre in Eastwood, passa attraverso l’affermazione dell’umanità dell’individuo. Attraverso quel corpo sgraziato che nel confronto finale con l’FBI (“Quelli non sono lo Stato – gli dice l’avvocato – ma tre stronzi che lavorano per l’FBI”) mostra tutta la sua umanità.
Come si può non credere a questo uomo?
Riferimenti bibliografici
G. Deleuze, L’immagine-movimento. Cinema1, Einaudi, Torino 2016.
E. Morin, Lo spirito del tempo, Meltemi, Roma 2006.
Richard Jewell. Regia di Clint Eastwood; sceneggiatura: Marie Brenner, Billy Ray; fotografia: Yves Bélanger; montaggio: Joel Cox; interpreti: Paul Walter Hauser, Sam Rockwell, Kathy Bates, Jon Hamm; musiche: Arturo Sandoval; produzione: Malpaso Productions, Appian Way Productions; distribuzione: Warner Bros. Pictures; origine: Stati Uniti d’America; durata: 129′.