danza
The Black Saint and the Sinner Lady, Compagnia Abbondanza/Bertoni. 

Nel panorama degli studi sul teatro, si mostra sempre più necessaria l’esigenza di curvare lo sguardo su rinnovati piani d’indagine che ne affranchino gli esiti dalla vocazione storicistica e dalla settorializzazione in generi e forme distinte, nonché dalla conseguente marginalizzazione. Si rende necessaria, pertanto, l’apertura di un fronte teorico e critico più largo rivolto alle esperienze delle ultime generazioni di artisti, a fronte, anche, dell’effettiva cancellazione nei quotidiani della critica militante.

Appare emblematico per tale discorso l’ambito degli studi sulla danza che, in Italia, subisce i limiti appena premessi. Si avverte mancante, anche qui, uno sguardo rivolto più alle estetiche che alle storie e alle biografie di coreografi e danzatori. Una riflessione sui contenuti e non soltanto sulle forme, un percorso analitico che metta in luce la sempre più stringente relazione tra la filosofia e le arti performative, le forme dello spettacolo e la loro dimensione estetica.

Si rende inderogabile, pertanto, una polifonia di sguardi che si mostri funzionale a “pensare gli atti della danza”, in cui sguardi esteticamente eterogenei convergano in un’indagine condivisa ed eccentrica sulla danza. Un’argomentazione declinata secondo categorie filosofiche ed estetiche, che ne restituiscono le implicazioni più complesse e profonde, stimolando interrogativi importanti su cui riflettere con rinnovato interesse. Simile tensione e uno sguardo eterodosso sono offerti da Jean-Luc Nancy, filosofo che ha molto appeal negli studi sull’arte, il quale fa convergere pensiero danzante e categorie fenomenologiche come il “toccare”, il “muovere”, l’“agitare”, la “sollevazione”, nella relazione con l’“emozione”, la connaturata derivazione del termine dal “muovere” e “commuovere”, con la loro restituzione al corpo. Nancy, abbina stati dell’animo e sensazioni con il “toccarsi” dei corpi, un dialogo tra un “dentro” spirituale e un “fuori” che sancisce la consistenza del corpo.

Da tale “contatto” scaturisce la danza, un’alchimia tra fisicità e spiritualità, tra ciò che muove dallo spirito al corpo e il cui manifestarsi genera il movimento. La dimensione filosofica della danza è un altro dei nodi problematici da rimettere in discussione. Il filosofo-danzatore Romano Gasparotti rovescia l’ingombrante tesi di Nijinsky sulla danza, secondo cui: “il danzatore è un filosofo che non pensa”. Per Gasparotti, infatti, il gesto danzante trova il suo fondamento nella “saggezza del danzare”. Il connubio tra primarietà del pensare e movimento del corpo chiama in causa Plotino, Derrida, Deleuze, Bergson, Nancy, Merleau-Ponty che Gasparotti incrocia con le idee di studiosi di coreutica e l’esperienza di danzatori come Andrea Emo, collocando il “non-pensiero” della danza e la sua realizzazione, nella dimensione dell’anoia platonica.

La convergenza tra spunti filosofici e fenomenologici riverbera nella disposizione antropologica e spirituale di Nuria Sala Grau. Un “recupero della trascendenza come possibilità etica” che riporta attenzione sull’incontro tra oriente e occidente, già delatore di una nuova estetica e di una nuova filosofia della danza e del teatro. Nuria Sala Grau, danzatrice, coreografa e docente di formazione europea è una specialista del Bharatanatyam indiano, forma di danza ispirata al tantrismo, cui associa l’ascetismo del metodo Agama, in cui il corpo tende all’assoluto e l’individuo perviene alla conoscenza di sé. La sua idea segna, come atto rigenerativo della danza, la rivalutata relazione corpo-trascendenza, gesto-movimento, spazio-tempo che costituisce il fondamento di un linguaggio in cui gesti e movimenti scaturiscono dall’incontro fra la tradizione indiana, la contemporanea e quella classica.

Un rinnovato discorso sulla danza non può, naturalmente, esulare dal contatto col teatro. Maurizio Zanardi sostiene, con Artaud, che l’“esistenza della danza è una questione di vita o di morte”, punto di vista che incontra la dimensione del “morire per esistere” di Jean Genet. A tali posizioni estreme, Zanardi accosta un’altra relazione di senso, quella di Alain Badiou con Nietzsche, nella quale la danza diviene “metafora del pensiero come evento”, estendendo la sua condizione anche al teatro.

L’orizzonte della danza, a questo punto, è tratteggiato secondo linee lungo le quali, nel suo orizzonte di senso, il dire convive col gesto. Per Flavio Ermini, poeta, narratore e saggista, un impraticabile incontro nel quale il danzatore raggiunge un equilibrio tra “assenza di peso” e “forza di gravità”, nella ricerca della “dimora del pensiero danzante”.

L’attualità della danza è l’attualità del teatro. Ripensarne teorie e letture un atto necessario a registrarne i movimenti nello stesso loro divenire, con lo sguardo rivolto alle estetiche, aperto alla complessità dialogica dei linguaggi, in una determinazione teorica che superi la (pur necessaria) prassi storicizzante dei fenomeni, la tentazione di fornire risposte piuttosto che letture e strumenti argomentativi per continuare a interrogarsi su un’arte “viva”, quindi in costante trasformazione.

Riferimenti bibliografici
F. Ermini, R. Gasparotti, J.L. Nancy, N. Sala Grau, M. Zanardi, Sulla danza, Cronopio, Napoli 2017.
G.T. Fechner, S. Mallarmé, W.F. Otto, P. Valery, Filosofia della danza, il melangolo, Genova 2004.

P. Valery, L’anima e la danza, Feltrinelli, Milano 1980.

Tags     Cronopio, danza, Nancy, teatro, Valery
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