La 14ª edizione del Sicilia Queer Filmfest, in collaborazione con il Lago Film Fest, continua il lavoro di (ri)scoperta del cinema argentino contemporaneo dedicando la retrospettiva della sezione “Presenze” a Matías Piñeiro. Nella lunga intervista a lui rivolta, Andrea Inzerillo sottolinea come un ideale trait d’union sembra poter essere tracciato tra il panorama argentino contemporaneo e quello della nouvelle vague francese. Come Godard, Truffaut, Rohmer, Chabrol e Rivette a metà anni cinquanta, Mariano Llinás, Laura Citarella, Alejo Moguillansky, Agustin Mendilaharzu e Matías Piñeiro non si presentano solo come gli autori più originali e innovativi del loro paese, ma come un gruppo di giovani amici che nella vita quotidiana, incontrandosi, parlando, pensando, fanno cinema e vivono il fermento di realizzare un “cinema autoctono altro”, preciso, personale, fuori dall’industria e con pochissimi soldi. Parigi diventa così Buenos Aires, André Bazin diventa Rafael Filippelli (o forse Llinás?), il cinéma de papa da contrastare diventa la tradition de la qualité, il naturalismo e il silenzio che caratterizzavano gli autori del Nuovo Cinema argentino, da Alonso a Martel.

L’incontro con Llinás e Citarella avviene ancor prima dell’inizio della carriera di Piñeiro, tra i banchi universitari: il primo in veste di insegnante, la seconda di studentessa. Il legame con El Pampero Cine, infatti, è esplicitamente evidente nei primi due lungometraggi, El hombre robado (2007) e Todos mienten (2009), che presentano nei titoli di testa il logo del collettivo. Nato cortometraggio e nel mentre ampliato insieme al montatore Moguillansky – passando da una settimana di riprese a quattro, grazie al suo essere un cinema in economia, senza necessità di costi elevati – El hombre robado è già un piccolo concentrato di molti degli elementi identitari delle sue opere successive.

L’influenza dei “giovani turchi” è evidente fin da subito. Nella scelta di un bianco e nero così sporco, di un montaggio a tratti grezzo, nell’utilizzo dei décadrage e in generale nell’atmosfera complessiva – audiovisiva, linguistica, tematica – che lo caratterizza. Diventa difficile non rivedere nel pentagono amoroso e nel continuo correre da una parte all’altra di Mercedes il profondo amore per film come Parigi ci appartiene (Rivette, 1961) o La fornaia di Monceau (Rohmer, 1962). Ma anche per Fritz Lang, Otto Preminger ed Ernst Lubitsch, citati dallo stesso autore quali punti di riferimento a cui guarda per comprendere come far muovere i personaggi all’interno degli spazi. È un cinema, quello di Piñeiro, fatto di corpi dinamici che trovano spazio all’interno di lunghe e strette inquadrature spesso in movimento, richiamando l’idea di montaggio interno di cui parla Alexandre Astruc.

A differenza della successiva prevalenza d’interni, El hombre robado è di certo il film più urbano di Piñeiro, con una Buenos Aires che si fa protagonista e che sembra relegare il personaggio di Mercedes (e le sue corse) a “semplice” collante dei vari luoghi e volti che costituiscono e abitano la città. Sono collegate le persone coinvolte nell’intreccio sentimentale, gli incontri casuali come un passante che tenta un approccio chiedendo una sigaretta, ma anche la dimensione urbana con quella naturale, con scene in cui il cinguettio degli uccelli accompagna immagini di strade e palazzi, e, viceversa, il rumore del traffico accompagna quelle di frasche e alberi. Piñeiro, tuttavia, non mostra alcun interesse nell’adottare un immaginario d’esportazione, nel ritrarre una Buenos Aires da cartolina tramite i suoi luoghi simbolo, riconoscibili all’estero. Il suo sguardo curioso, ma non turistico, si posa sui passanti, sui gatti, sulle foglie, sugli angoli dei palazzi, sui primi piani delle statue, che sembrano assumere la stessa dignità della vicenda amorosa.

Fondamentale è poi la parola – detta, scritta, letta, recitata – che, come accennato, si contrappone a un cinema argentino affollato da personaggi che non parlano. Ora i personaggi parlano e straparlano, chiacchierano e si interrogano, mostrando la necessità quotidiana di affidarsi alla parola per comunicare. Elemento che si lega all’aspetto più riconoscibile e capitale del cinema di Piñeiro: l’importanza per la letteratura, e per la lettura, che “Es la materia prima. La sua filmografia è difatti popolata da guide museali (El hombre robado), traduttrici (Hermia & Helena) e soprattutto attrici (RosalindaViola; La princesa de Francia; Isabella) che utilizzano per lavoro le parole e si rapportano, vivono, a contatto con i testi letterari.

Se nei primi due lungometraggi la componente letteraria riguarda gli scritti meno noti di Domingo Faustino Sarmiento – figura istituzionalizzata nell’insegnamento scolastico argentino – il mediometraggio Rosalinda (2011) apre a un ciclo di sei opere “dedicato” a Shakespeare, che coincide con l’entrata in scena dell’attrice Agustina Muñoz. Insieme a María Villar e Romina Paula, e al direttore della fotografia Fernando Lockett, il suo arrivo completa il pantheon di volti che abitano tutti, o quasi, i suoi film, adottando un approccio produttivo non dissimile da quello di una compagnia teatrale. Metodo che, ancora una volta, rimanda a El Pampero Cine con cui condivide molti di questi volti: non soltanto Muñoz, Villar e Paula sono presenti in diversi progetti del collettivo, ma nei successivi tre lungometraggi del regista in esame fanno la loro comparsa sia Laura Paredes che Elisa Carricajo.

La scelta di quali storie shakespeariane sfruttare si allinea con la volontà di ampliare lo sguardo su ciò che viene mostrato, di assumerne uno trasversale (come visto per la città di Buenos Aires). Se di Sarmiento non è trattato Facundo: civiltà e barbarie (1845), ma gli scritti riguardanti i viaggi in America, Europa e Africa, allo stesso modo di Shakespeare non sono trattati Amleto o Macbeth, quanto piuttosto testi laterali con una particolare attenzione per le commedie: Come vi piace in RosalindaLa dodicesima notte in ViolaPene d’amor perdute in La princesa de FranciaSogno di una notte di mezza estate in Hermia & HelenaMisura per misura in IsabellaLa tempesta in Sycorax. Come è possibile cogliere da alcuni titoli, ciò influisce anche nel dare primaria rilevanza a figure femminili che in Shakespeare svolgono un ruolo secondario o addirittura marginale. Ne è un chiaro esempio Sycorax (2021), cortometraggio realizzato con Lois Patiño che chiude il ciclo shakespeariano, in cui a Miranda è preferita la figura della strega africana Sicorace.

Tuttavia, Rosalinda non si limita soltanto a introdurre Shakespeare e Muñoz, ma dà avvio a una maggiore attenzione nei confronti della dimensione metatestuale, che da ora in avanti diventa centrale nel rapporto con la letteratura. Nel cinema di Piñeiro non ci si trova di fronte a adattamenti dei testi, ma neppure a loro reali rappresentazioni. Sono elementi che abitano la diegesi, opere con cui i personaggi si confrontano, interagiscono, per professione o passione, instaurando così una struttura a scatole cinesi di storie dentro le storie. Non assistiamo mai a un lavoro di trasposizione diretta, nonostante situazioni e sentimenti del testo letterario e di quello cinematografico, del rappresentato e del (pseudo)rappresentante, si sovrappongano in diverse occasioni. È la lettura di Shakespeare a influenzare passioni e vita dei personaggi del film o sono i personaggi filmati a essere destinati a subire il ripetersi degli eventi shakespeariani, in quanto parte della catena della tradizione?

Il rapporto con il testo passa attraverso il piacere della lettura, più che della rappresentazione. Sono personaggi che leggono Shakespeare, parlano con le sue parole, recitano i suoi versi e nel farlo, forse, diventano altro da sé o, forse, riescono a esprimere proprio ciò che sono o sentono. I confini tra i personaggi di Piñeiro e di Shakespeare, tra le parole dette e i sentimenti provati dagli uni e dagli altri, appaiono spesso ambigui e sfumati. In un lungo piano sequenza di Viola (2012) sono messi a confronto i personaggi di Cecilia e Sabrina, alle prese con le prove per un allestimento teatrale. Un gioco di seduzione si cela dietro la lettura dei versi. I personaggi recitano una parte, ma non è quella che crediamo. Le parole e le frasi iniziano a ripetersi e a poco a poco lo spettatore comprende. La ripetizione permette di creare significati nuovi, ammette lo stesso Piñeiro. Il tono cambia e le medesime parole assumono una connotazione differente, prima sensuale, poi erotica. Personaggi del film e del testo sono ormai del tutto sovrapposti. Dove inizia uno e dove finisce l’altro? Finalmente, come un deus ex machina, un bacio istintivo interrompe ripetizione e ambiguità. 

Questo porta ad alimentare anche uno stratificato antinaturalismo che svolge un ruolo essenziale nel cinema di Piñeiro, contrapponendosi al naturalismo del Nuovo Cinema argentino. In linea con le opere di Shakespeare, siamo di fronte a piccole composizioni artificiali che non hanno alcuna intenzione di farsi finestra sul mondo, spaccato della vita reale, della quotidianità dei giovani argentini. Basti pensare al piano sequenza che apre La princesa de Francia (2014) in cui, ripresa da sopra un palazzo, quella che all’inizio sembra essere una classica partita di calcio si trasforma in una buffa situazione irreale, con sempre più giocatori da una parte e sempre meno dall’altra, fino alla fuga per le strade. È il riproporre non solo l’antinaturalismo, ma anche la commistione di generi, di commedia e tragedia, tipica delle opere del drammaturgo inglese.

Giunti a Hermia & Helena (2016) la sovrapposizione di personaggi e situazione si amplia al punto da riguardare anche lo stesso regista, con una protagonista che, sorta di doppio di Piñeiro, si ritrova a dover compiere un trasferimento da Buenos Aires a New York. Hermia & Helena, infatti, inizia a mostrare i primi sintomi di un cambiamento, con scritte, disegni e correzioni del testo che appaiono sull’immagine, inquadrature in negativo e un intero cortometraggio al suo interno realizzato in bianco e nero con materiale d’archivio. Quattro anni dopo, Isabella (2020), ultimo lungometraggio del ciclo shakespeariano, è infine il primo film che esibisce in modo esplicito il tentativo, o meglio la necessità, di un cambiamento, di una rottura. La dinamicità della macchina da presa e dei corpi viene meno, in favore di una presenza molto più rilevante del montaggio: non sono più i movimenti dei personaggi e della camera a definire spazio e ritmo, ma un utilizzo più insistente del découpage classico.

Ma il vero cambiamento perviene soltanto con Tú me abrasas (2024), che dà avvio a un effettivo nuovo ciclo, a partire dall’abbandono di Shakespeare per un confronto tra Schiuma d’onda (dai Dialoghi con Leucò) di Pavese e le poesie di Saffo. Come sottolineato da Alessandro Del Re, e come direbbe Pasolini, questo film segna per Piñeiro un passaggio dal cinema di prosa al cinema di poesia, mettendo al centro lo stile, la forma, ed evitando di nascondere la presenza della macchina da presa. È un’opera di montaggio con una forma indefinita, più sperimentale, che risente dell’influenza di Straub e Huillet. Tú me abrasas si concentra sul rapporto immagine-parola, cercando di tradurre la poesia in immagini dando allo schermo una “forma da leggere”. Torna la ripetizione quale strumento pedagogico, simile alla pratica di memorizzazione di una poesia, in un tentativo di insegnare allo spettatore il modo corretto di guardare e leggere il film. Ecco allora che, arrivati alla fine, con la voice over di Muñoz che ci invita a sognare una poesia perduta di Saffo, la successione di inquadrature private del corrispettivo sonoro, delle parole abbinate, possono ora riecheggiare come suono nella mente, nella fantasia, o nei sogni dello spettatore, sentendo, vedendo, la poesia perduta.

Con il suo ultimo film Piñeiro sembra quindi giunto a una vera e propria svolta cruciale: da un lato presenta una forma nuova, più libera dai corpi (e da un plot) e più dipendente dal montaggio; dall’altro rimane salda l’importanza per la fonte letteraria, per la ripetizione e per il piacere della lettura. Un cinema molto personale, quasi intimo nel suo farsi ponte con le passioni e gli interessi letterari del suo autore di cui, piaccia o meno, oggi si dovrebbe solo gioire.

Riferimenti bibliografici
A. Del Re, M. Faverin, A. Inzerillo, Movimento e ripetizione. Conversazione con Matías Piñeiro, in A. Inzerillo (a cura di), Catalogo Sicilia Queer Filmfest 2024, Palermo 2024.

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