Sempre più frequentemente il cinema d’animazione propone eroine rappresentative della ridefinizione dei ruoli di genere che ha investito i paesi occidentali negli ultimi decenni, a testimonianza dell’importante ruolo svolto da questo genere cinematografico nel farsi portavoce di tendenze e cambiamenti rilevanti dal punto di vista socioculturale. I più recenti film d’animazione propongono sempre più protagoniste femminili svincolate dall’autorità maschile o in lotta con essa, impegnate a definire in maniera autonoma il proprio progetto di vita, a volte capaci di mettere in discussione la virilità e la presunta supremazia dei partner incontrati, certamente ben lontano dallo stereotipo femminile di passività e subalternità. Red (2022) segna un’evoluzione ulteriore nella sceneggiatura e nella simbologia comunicativa, a partire dalla caratterizzazione della protagonista, ben lontana dall’estetica di perfezione cui ci hanno abituato molte principesse ed eroine precedenti, ma soprattutto per il focus della trama: per la prima volta Disney-Pixar affronta esplicitamente il tema del menarca e del conseguente risveglio della sessualità femminile, slatentizzando così forse l’ultimo tabù del cinema d’animazione.

Protagonista del film è Mei Lee, tredicenne cinese che abita a Toronto, alle prese con le sfide tipiche di un’adolescente moderna, prima tra tutte il delicato e instabile equilibrio con la madre e con la tradizione che essa rappresenta. Mei Lee è intelligente, intraprendente, esuberante, ma parallelamente impegnata a soddisfare le aspettative della madre, un vincolo di lealtà nei confronti della tradizione su cui si snoda l’intera trama del film: la mamma si aspetta da lei autocontrollo, accondiscendenza e soprattutto la conferma di un ruolo femminile socialmente morigerato e sessualmente inibito. Mei Lee però nutre anche altri desideri, sempre più prorompenti, tra cui l’attrazione per i ragazzi, una scoperta a tratti conturbante, ma a cui la protagonista vorrebbe abbandonarsi senza troppe riserve. Tutto sembra procedere secondo le consuete e tortuose strade dell’adolescenza, se non fosse per il verificarsi del destino che unisce tutte le donne della famiglia Lee che affrontano l’appuntamento con la pubertà: la metamorfosi in panda rosso, in concomitanza di picchi emotivi potenti e incontrollabili.

La metamorfosi in panda rosso è una brillante metafora della tensione al cambiamento che sta avvenendo nella giovane e, più in generale, del processo formativo dell’adolescenza. Innanzitutto, la metamorfosi è un artificio simbolico antico e potente, presente in moltissime produzioni narrative, dalla mitologia alla fiaba: quando un personaggio attraversa una metamorfosi, la storia ci suggerisce un cambiamento profondo, che origina dall’interiorità, destinato a creare squilibrio e a smuovere l’inconscio, e che generalmente produce un cambiamento evolutivo della personalità. In questo caso, Mei Lee si trasforma in animale, un evidente richiamo ad una natura arcaica e pulsionale, di cui si sottolineano per lo più gli aspetti selvaggi (viene chiamata più volte “la bestia”). Ma la simbologia non si ferma qui: come nelle fiabe, i colori assumono un significato intuitivo. Si tratta di un panda rosso, un colore che, nella narrativa fiabesca, si associa generalmente all’Eros, la pulsione sessuale, generatrice di vita, ma anche di passioni incontrollabili (Cfr. Bastone 2021).

L’associazione con gli impulsi sessuali è testimoniata dall’equivoco in cui incappa la madre: quando Mei Lei si chiude in bagno per celare la trasformazione, la madre è convinta che il motivo sia l’arrivo della prima mestruazione (definita, con il pudore tipico della madre, “la peonia rossa”). L’equivoco in realtà esplicita il significato fondamentale di tutta la trama: la pubertà risveglia la femminilità pulsionale, una dimensione tradizionalmente messa a tacere dalla cultura, perché crea sconforto, timore, vergogna, ma impossibile da reprimere definitivamente. Tutte le donne della famiglia di Mei Lee hanno ovviato al rischio di sopravvento della natura bestiale femminile con un antico rituale, finalizzato ad intrappolare il panda rosso in un amuleto. L’energia femminile, fluttuante nella sua ciclicità, inopportuna nelle sue manifestazioni più intense, espressione di una dimensione emotiva impetuosa, deve essere repressa.

Mei Lei, da sempre leale e accondiscendente verso il modello materno, si sottopone al rituale. Ma il cambiamento interiore è già in atto, perché non riesce a separarsi dal panda rosso, è parte di sé, della sua natura, della donna che vuole realizzare. Mei Lee fugge, perché c’è un altro rito di passaggio da compiere quella stessa sera: il primo concerto con le amiche, uno di quegli eventi speciali che segna in molti adolescenti il passaggio all’adultità, o più semplicemente, alla consapevolezza di essere grandi. Al rito arcaico della tradizione si sostituisce il rito moderno del concerto, fatto innanzitutto di amicizie sororali, musica ipnotica, corpi che ballano all’unisono. Uno strappo alla tradizione secolare di donne caste, pure, controllate che non può che esplodere nel conflitto finale: anche la mamma di Mei Lee risveglia la sua natura primordiale, liberando il proprio panda rosso – inaspettatamente enorme, feroce, temibile – e scontrandosi direttamente con la figlia ribelle.

Il film ci ricorda che nell’epopea dell’adolescenza, il conflitto generazionale è inevitabile, fisiologico, potenzialmente sano. Ed è necessario stare nel conflitto (non ignoralo, né evitarlo) per poterlo gestire come occasione di apprendimento. La madre viene colpita violentemente dalla figlia, non solo fisicamente, ma con un affondo che non lascia dubbi “Ho 13 anni, accettalo!”. E si scopre che così era stato anche nella generazione precedente, anche la mamma e la nonna di Mei Lee erano state protagoniste di un feroce conflitto irrisolto, produttore di cicatrici ancora aperte.

In definitiva, Mei Lee fa la sua scelta, con la caparbietà e l’indipendenza che la caratterizza fin dall’inizio: non vuole abbandonare il panda rosso, perché è una dimensione fondamentale della sua natura femminile, seppur lontana dal modello tradizionale. E ci sembra di leggere le parole di Pinkola Estés (2016) in questo finale, sulla necessità di preservare integralmente la natura femminile:

Siamo pervase dalla nostalgia per l'antica natura selvaggia. Pochi sono gli antidoti autorizzati a questo struggimento. Ci hanno insegnato a vergognarci di un simile desiderio. Ci siamo lasciate crescere i capelli e li abbiamo usati per nascondere i sentimenti. Ma l'ombra della Donna Selvaggia ancora si appiatta dentro di noi, nei nostri giorni, nelle nostre notti. Ovunque e sempre, l'ombra che ci trotterella dietro va indubbiamente a quattro zampe (Estés 2016).

Riferimenti bibliografici
A. Bastone, Le fiabe raccontate agli adulti. Storie di ieri e di oggi per la formazione, Celid, Torino 2021.
C.P. Estés, Donne che corrono coi lupi, Sperling & Kupfer, Milano 2016.

Red. Regia: Domee Shi; sceneggiatura: Domee Shi; musiche: Ludwig Goransson; interpreti: Rosalie Chiang, Sandra Oh, Ava Morse, Maitreyi Ramakrishnan, Hyein Park, Orion Lee, Wai Ching Ho, Tristan Allerick Chen, Addie Chandler, Anne-Marie, Jordan Fisher, Josh Levy, Topher Ngo, Finneas O’Connell, Grayson Villanueva, James Hong; produzione: Pixar Animation Studios, H Brothers, HB Wink Animation, Walt Disney Pictures; distribuzione: Walt Disney, Studio Motion Pictures; origine: USA; durata: 99’; anno: 2022.

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