Un bicchiere che cade. Un posto pieno di vento. Una libellula che vola. L’accostamento di queste frasi produce uno strano senso figurativo nelle immagini di un film, come se fossero costrette ad una convivenza singolare, eppure non stridente. Sono le parole pronunciate in risposta ad una domanda banale, nello spazio anonimo di una struttura che ospita una gita post oncologica per adolescenti: “Come vi sentite?”.
La struttura, volutamente indefinita, riflette quel particolare momento del post oncologico definito “periodo specchio”, in cui la sorveglianza di medici e genitori diventa opprimente per i giovani. Non vediamo i volti dei personaggi che parlano, ne sentiamo solo la voce, mentre il movimento di macchina si sofferma sul corpo di una ragazza: Clara (Camilla Brandenburg). Il secondo lungometraggio di Sironi si misura con il racconto della scomparsa progressiva di un corpo, pur rimanendo sempre visibile nei confini dell’immagine. A produrre questo lento sfaldarsi è, da un lato, l’onnipresenza della morte e della malattia (che non viene mai espressamente rivelata) anche in giovane età, dall’altro la sua totale negazione, accantonata in favore della libertà estiva. Un binomio su cui poggia l’arco narrativo – co-sceneggiato da Sironi con Silvana Tamma – che porta Clara a conoscere Irène (Noée Abita). Una ragazza dal forte accento francese che le chiede dapprima se vuole un gelato, poi la prega di cederle la parte finale del suo cono.
L’amicizia tra le due ragazze ha echi primitivi e sacrali che contribuiscono al racconto dell’adolescenza come esperienza vitale, dove si spezza ogni possibile legame con la socialità. Gli anni novanta diventano lo scenario temporale che fa da sfondo agli eventi, negando qualsiasi attinenza con la realtà del periodo. La fuga che Clara e Irène mettono in atto per vivere la loro prima (forse unica?) vacanza al mare, diventa un eterno presente che sfrutta il mezzo cinematografico per imprimere la fugacità delle prime volte.
La vita degli adulti che si affaccia nel film, ora con una telefonata materna, ora con il proprietario che gestisce l’affitto della casa vacanza, non è che una figura fuori campo di cui si avverte solo la presenza acustica. Come se la crescita fosse il presagio di un divenire futuro a cui le due amiche non possono accedere, rendendo il film volutamente teen, cristallizzato in un coming of age da sogno ad occhi aperti. Da qui deriva l’ambientazione naturale che ospita Clara e Irène, un’isola della Sicilia, Favignana, circondata dal mar Mediterraneo, dove l’acqua diviene un elemento fluido designata ad accogliere i corpi femminili.
L’isola è un mondo altro in cui le due amiche sono finalmente libere di co-esistere, trasformando lo spazio iconografico in un luogo assoluto proprio grazie al loro autodeterminarsi. Si affianca l’idea di un’ancestralità naturale, restituita dall’accostarsi dei due corpi femminili all’ambiente mediterraneo. Le figure, cromaticamente opposte nella loro carnagione fatta risaltare dai costumi da bagno, appaiono incorniciate dalla natura incontaminata dell’isola: connesse agli scogli che sbucano dall’acqua, o alle cave di tufo abbandonate che diventano antri accoglienti.
Questo senso di naturalezza adolescenziale è in contrasto con il mondo reale che vede nelle due amiche corpi deboli da tenere sotto una campana di vetro. Dunque, il proteggersi costante impartito alle ragazze diventa la possibilità di ricerca della propria identità, che passa attraverso la metamorfosi in creatura del folklore. È il tema del vampirismo che fa la sua comparsa nella simbologia del film, legato soprattutto alla figura di Irène che rivela, in diverse scene, una dentatura finta con canini aguzzi.
Un corpo–vampiro affamato di vita, che pur inserito in un habitat che non gli appartiene, succhia alla malattia la sua vitalità. Il sole estivo, un monito della realtà che le due ragazze cercano di rifuggire, viene affrontato con abbondante crema solare e strati di abiti che proteggono la pelle. Alcuni oggetti feticcio, i cappelli di paglia e gli occhiali da sole che coprono lo sguardo, allontanano il pericolo, diventano armature-scudo. Se Irène è una vampira che, incapace di accettare la sua condizione, si trasforma lentamente in un fantasma che vive nelle immagini (una scena in particolare la mostra appena sveglia nascosta sotto un lenzuolo che la copre interamente), Clara invece si apre alle prime esperienze, quindi alla possibilità di un futuro.
Come già accennato, la progressiva sparizione del corpo, che segna un confine nell’infinità adolescenziale di Clara e Irène, viene affrontata da Sironi cercando di conservare nelle immagini le sagome dei corpi delle protagoniste: ad aiutare una camera analogica super 8 ritrovata nella casa vacanza dalle due amiche ed utilizzata per produrre dei filmini, a cui le ragazze affidano l’esperienza vissuta sull’isola, ma soprattutto la loro identità. Una performatività giocosa che si unisce alle azioni delle protagoniste, permettendo alla creazione amatoriale di co-abitare il film con segmenti visivi che si intervallano a scene narrative.
Si costruisce una dimensione fluida in divenire, respingendo la possibilità di avere un finale netto dell’estate di Clara e Irène, il cui cuore pulsante è rappresentato – come sottolineato dal regista – dai brani scelti per la colonna sonora. Un film-jukebox, dove si trova spazio per il folk anni venti, lo jodel tirolese ed il brano dei The Cure To Wish Impossible Things, che ha suggerito al regista l’idea di realizzare il film. Al centro dell’opera di Sironi vi è la concezione del cinema come archivio a cui affidare la memoria del corpo e la conoscenza del mondo, in cui il valore del ricordo diventa al contempo presenza ed assenza. Il tutto affidato a quell’età in cui, fra tutte, si ha l’impressione fittizia di immortalità.
Quell’estate con Irène. Regia: Carlo Sironi; sceneggiatura: Carlo Sironi, Silvana Tamma; fotografia: Gergely Poharnok; montaggio: Chiara Dainese; musiche: Lionel Boutang; interpreti: Noée Abita, Camilla Brandeburg; produzione: Kino produzioni, Rai Cinema, June Films; distribuzione: Fandango; origine: Italia; durata: 90’; anno: 2024.